Archivi giornalieri: 3 agosto 2011

Analisi tendenziale della Cassa Integrazione Guadagni nel Lazio Giugno 2011

 

 

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A cura del Centro Studi di Confindustria Lazio[1]

 

 

In Italia, nel periodo gennaio-giugno 2011 si rileva un decremento della cassa integrazione totale del 19,3% (da 633,6 a 511,1 milioni) rispetto al 2010. Rispetto allo stesso periodo  dello scorso anno, per la CIG ordinaria si osserva un calo delle ore totali (-44,3%), di quelle autorizzate nell’Industria (-52,3%) e di quelle autorizzate nell’Edilizia (-7,0%).

In aggiunta, la cassa integrazione straordinaria diminuisce del 9,4% in totale (da 246,3 a 223 milioni), dell’11,1% nell’Industria, del 78,3% nell’Artigianato e del 14,8% nel Commercio, mentre aumenta del 142,9% nell’Edilizia.

Da segnalare, infine, il calo del 2,8% (da 174,4 a 169,5 milioni) della cassa integrazione guadagni in deroga.

Con riferimento alla media nazionale è disponibile anche il dato, aggiornato a marzo 2011, relativo al rapporto tra ore autorizzate ed ore utilizzate di CIG. Per la cassa integrazione totale il tiraggio è pari al 38,8%; per quella ordinaria è del 44,8% e per la cassa integrazione straordinaria e in deroga è del 36,7%.

Nel Lazio si osserva una diminuzione della CIG totale (-13,7%, da 38,9 a 33,6 milioni) meno ampia di quella nazionale.Nel dettaglio, le ore di cassa integrazione ordinaria diminuiscono del 5,8% (da 7,4 a 7 milioni), quelle autorizzate nell’Industria scendono del 15,3% (da 5,1 a 4,3 milioni), mentre si assiste ad una crescita del 15,6% (da 2,3 a 2,6 milioni) nell’Edilizia.

Per la cassa integrazione straordinaria si rileva, invece, una contrazione superiore a quella nazionale; la variazione osservata è infatti pari a –28,1% (da 24,4 a 17,6 milioni).

 

Le ore autorizzate di CIGS calano del 29,8% (da 23,3 a 16,4 milioni) nell’Industria, del 20,8% (da 726 a 575 mila) nel Commercio ma aumentano del 59,5% (da 398 a 635 mila) nell’Edilizia.

Infine la CIG in deroga risulta in controtendenza con il dato nazionale: la variazione rilevata è pari a +27,4% (da 7,1 a 9 milioni).

In provincia di Roma, diversamente dall’andamento laziale, si osserva un incremento delle ore autorizzate in totale pari a +46,3% (da 15,2 a 22,2 milioni). Nel dettaglio, la CIG ordinaria fa registrare un +17,2% per il totale (da 2,8 a 3,3 milioni), un +7,2% per l’Industria (da 1,4 a 1,5 milioni) e un +27,5% per l’Edilizia (da 1,4 a 1,7 milioni). Per la cassa integrazione straordinaria totale si rileva una crescita pari a 38,7%, (da 9,4 a 13 milioni); un incremento particolarmente significativo emerge anche per l’Industria (+43%, da 8,3 a 11,9 milioni) e per l’Edilizia (+45,2%, da 364 a 529 mila). Invece si assiste ad una riduzione del 18,4% delle ore di CIGS autorizzate nel Commercio (da 656 a 535 mila).

Si segnala l’incremento della CIG in deroga (da 3 a 5,9 milioni), la cui variazione risulta pari a +96,7%.

Anche in provincia di Latinasi registra una aumento delle ore totali di cassa integrazione, pari a +15,5% (da 2,5 a 2,9 milioni), al contrario di quanto osservato per il Lazio. Tuttavia, diminuiscono la CIG ordinaria totale (-14,6%, da 611 a 522 mila) e la CIGO nell’Industria (-22,4%, da 475 a 369 mila), mentre si osserva un incremento nell’Edilizia (+12,8% da 136 a 153 mila).

In linea con quanto rilevato per la regione, a Latina la cassa integrazione straordinaria totale si contrae del 21,9% (da 1,5 a 1,2 milioni); tale risultato è imputabile sia all’Industria, che fa registrare una variazione pari a  -20,3% (da 1,5 a quasi 1,2 milioni), che al Commercio, per cui si rileva un calo delle ore autorizzate del 72,7% (da 47 a 13 mila).

Infine, per le ore di cassa integrazione in deroga, si osserva un incremento del 259,3% (da 313 mila a 1,1 milioni).

Le ore di cassa integrazione totali della provincia di Frosinonediminuiscono in misura maggiore rispetto alla regione; nello specifico la variazione rilevata è pari a  –68,7% (da 17,4 a 5,4 milioni). Allo stesso modo, la CIGO provinciale fa registrare contrazioni più ampie di quelle laziali: -38,7% il totale (da 3,1 a 1,9 milioni), -41,8% l’Industria (da 2,6 a 1,5 milioni) e –22,1% l’Edilizia (da 484 a 378 mila).

Diminuisce anche la cassa integrazione straordinaria: -79,9% (da 11,9 a 2,4 milioni) in totale, -80,5% (da 11,9 a 2,3 milioni) per l’Industria. Al contrario, aumentano le ore di CIGS autorizzate nel Commercio e nell’Edilizia che crescono rispettivamente del 17% (da 17 a 19 mila) e del 187% (da 19 a 55 mila).

Le ore di CIG in deroga in provincia di Frosinone, diversamente da quanto registrato a livello regionale, scendono da 2,3 a 1,1 milioni, facendo rilevare una variazione negativa pari a –51,3%.

Anche per  la provincia di Rietisi osserva un calo del totale delle ore di cassa integrazione pari a –18,8% (da 444 a 360 mila). Inoltre, si rilevano incrementi delle ore di CIG ordinaria in totale (+24,8%, da 189 a 236 mila) e nell’Industria (+46,9%, da 104 a 152 mila), ma anche un decremento per l’Edilizia (-1,8%, da 86 a 84 mila). Anche per la CIGS la variazione (-85,8%) risulta negativa ed è principalmente spiegata dalla riduzione delle ore autorizzate nell’Industria (-85,1%) che passano da 124 a 18 mila. Infine, al contrario del trend regionale, in provincia di Rieti si osserva una diminuzione della CIG in deroga del 15,1% (da 124 a 105 mila).

In provincia di Viterbosi registra una diminuzione della cassa integrazione pari a –21,2% (da 3,5 a 2,7 milioni), da  attribuire al decremento delle ore autorizzate di CIGS. Nel dettaglio, la riduzione del 34,2% di cassa integrazione straordinaria è imputabile all’Industria, per cui si assiste ad un –37,5% (da 1,4 milioni a 906 mila).

Per quanto riguarda la CIGO, invece, si assiste ad una crescita del totale pari a +48,1% (da 705 mila a un milione) a cui concorrono sia il +55% rilevato nell’Industria (da 488 a 757 mila) che l’aumento del 32,6% fatto registrare dall’Edilizia (da 217 a 287 mila). Infine, nel periodo osservato, la CIG in deroga risulta in calo (-44%) e le ore autorizzate passano da 1,3 milioni a 738 mila.

 

 

 

 

Centro Studi Confindustria Lazio

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[1] Elaborazioni su dati INPS

Morena Piccinini ricorda l’anniversario della tragedia di Marcinelle

 

NEWS

L’8 agosto l’Inca  ricorda le vittime

L’8 agosto del 1956 alle 8 e 10 del mattino, una gabbia parte dal punto d’invio 975 del pozzo d’estrazione con un vagoncino male agganciato. Ha inizio la tragedia che vedrà la morte di 136 lavoratori italiani, 95 belgi, 8 polacchi, 6 greci, 5 tedeschi, 5 francesi, 3 ungheresi, un inglese, un olandese, un russo e un ucraino.

Soltanto 13 superstiti saranno tirati fuori il primo giorno. L’interminabile attesa dei familiari continua in ogni modo fino al 22 agosto quando i soccorritori pronunciano le fatidiche parole “Tutti cadaveri”.

La tragedia di Marcinelle rievoca gli anni più bui della storia. Dopo la Liberazione, la necessità di una ricostruzione industriale porta il governo belga a lanciare la “battaglia del carbone”. La prima volontà delle autorità  era quella di evitare di ricorrere alla manodopera straniera, ma ben presto si rendono conto che l’obiettivo non potrà mai essere raggiunto contando unicamente sulla manodopera belga. Si rende obbligatorio il ricorso all’immigrazione massiccia degli stranieri e poiché l’Europa dell’est e, più in particolare, la Polonia non sembrava più una potenziale riserva di manodopera, il Belgio si rivolgerà all’Italia che usciva, esangue dalla II guerra mondiale dopo 20 anni di fascismo.

Il protocollo di intesa italo-belga del 23 giugno 1946 prevedeva l’invio di 50.000 lavoratori italiani in cambio della fornitura annuale di un quantitativo di carbone, a prezzo preferenziale, compreso tra le due e le tre milioni di tonnellate. Per convincere questi uomini a lavorare nelle miniere belghe, si affiggono in tutta Italia manifesti che presentano unicamente gli aspetti allettanti di questo lavoro (salari elevati, carbone e viaggi in ferrovia gratuiti, assegni familiari, ferie pagate, pensionamento anticipato …). In realtà le condizioni di vita e di lavoro erano veramente dure. All’arrivo a Bruxelles cominciava lo smistamento verso le differenti miniere dopodiché i lavoratori venivano accompagnati nei loro “alloggi”: le famose “cantines”: baracche, insomma, o “hangar”, gelidi d’inverno e cocenti d’estate, veri e propri campi di concentramento dove pochi anni prima erano stati sistemati i prigionieri di guerra.

La mancanza di alloggi convenienti, previsti peraltro dall’accordo italo-belga, impediva alla maggior parte dei minatori il ricongiungimento con la propria famiglia, Trovare un alloggio in affitto era infatti quasi impossibile all’epoca. Senza contare la discriminazione. Spesso sulle porte delle case da affittare, i proprietari scrivevano a chiare lettere “ni animaux, ni etranger”: né animali, né stranieri. Un’integrazione difficile, dunque, a cui si sommavano le condizioni di lavoro particolarmente dure e insalubri nonchè le scarse misure di igiene e sicurezza. Tra il 1946 e il 1955, quasi 500 operai italiani trovarono così la morte nelle miniere belghe, senza contare il lento flagello delle malattie d’origine professionale. La più pericolosa di queste era la silicosi, causata dalle polveri della miniera che depositandosi nei polmoni, creava insufficienze respiratorie.

“Marcinelle oltre a rievocare una grave sciagura sul lavoro ci ricorda anche – dice Morena Piccinini, presidente dell’Inca – il contributo di qualità, di solidarietà, di umanità espresso dall’Inca in quel terribile frangente. Il patronato della Cgil in quel lontano 1956 ha assistito i singoli lavoratori, le loro famiglie, ha messo in campo i suoi legali per ottenere il riconoscimento dei diritti e l’accertamento delle responsabilità; oltre a dare un fondamentale contributo affinché in Belgio si desse luogo al riconoscimento della silicosi, (cosiddetta malattia dei “musi neri”), malattia di origine professionale per la quale l’Inca si era tanto battuto in Italia”.

“Marcinelle – prosegue la Piccinini – è stata una grande tragedia che vogliamo ricordare insieme a tanti altri disastri che continuano a colpire i lavoratori nel mondo. Ci inchiniamo a tutte le vittime, ma guardiamo a noi stessi impegnandoci a garantire maggiori tutele ai tanti, troppi morti per il lavoro, ai quali ancor oggi non viene assicurato il diritto a lavorare in sicurezza”.

Indebiti su pensioni Inps …

NEWS

…. e problemi tecnici Inps

In queste ultime settimane molti pensionati stanno ricevendo lettere di indebito da parte dell’Inps con la  motivazione che nel 2008 avrebbero percepito la somma aggiuntiva prevista dalla legge n. 127/2007 (la “quattordicesima” ) senza averne diritto.

Per le vie brevi abbiamo appreso dall’Istituto che ci sono stati problemi tecnici nelle sue procedure; la grande maggioranza dei pensionati a cui é contestato l’indebito, quindi, in realtà aveva pienamente diritto a percepire la prestazione.

Abbiamo richiesto alla Direzione centrale pensioni dell’Istituto di porre riparo nel più breve tempo possibile e, insieme allo Spi, siamo intervenuti  affinché l’Istituto blocchi le trattenute sul rateo di settembre per rimediare agli errori causati dalle sue procedure e dare tempo ai pensionati, attraverso il patronato, di presentare domanda di ricostituzione.

Le sedi dell’Inca dislocate su tutto il territorio nazionale sono comunque a disposizione per fornire ulteriori approfondimenti.

Riordino delle regole in materia di permessi, congedi e aspettative

 

NEWS

 

Il decreto legislativo n. 119/11, che entrerà in vigore il prossimo 11 agosto,  attua la delega prevista all’articolo 23 della legge n. 183/2010 che aveva disposto l’emanazione da parte del governo di “uno o più decreti legislativi finalizzati al riordino della normativa vigente in materia di congedi, aspettative e permessi, comunque denominati, fruibili dai lavoratori dipendenti di datori di lavoro pubblici o privati”. 
Le nuove norme, che valgono per i lavoratori del settore pubblico e del settore privato, per la loro attuazione devono attendere l’emanazione delle circolari applicative dell’ Inps e del Dipartimento della Funzione Pubblica.

Cosa cambia per i genitori che assistono un figlio disabile

Permessi orari

Non sono stati oggetto di modifiche e pertanto continuano ad essere un diritto dei genitori di figli disabili dal 1° anno di vita e sino al compimento del 3° anno (nel 1° anno di vita vige la possibilità di usufruire dei permessi (2 ore) per allattamento). Sono pari a due ore per ogni giorno lavorativo con orario di lavoro pari o superiore a 6 ore (un’ora se l’orario di lavoro é inferiore alle 6 ore giornaliere).

Prolungamento del congedo parentale

Le novità vanno individuate nella durata – 36 mesi complessivi – e nella possibilità di fruirne entro i primi 8 anni di vita del figlio.  Il termine di 36 mesi vale per ogni figlio disabile ed é il massimo fruibile complessivamente non solo dal padre e dalla madre ma anche fra congedo parentale e prolungamento dello stesso.

Vengono concessi per riconoscimento dello stato di grave handicap del figlio; età del bambino: entro il compimento dell’ottavo anno; non ricovero a tempo pieno in istituto specializzato salvo il caso in cui la presenza del genitore sia richiesta dagli stessi sanitari.

Possono essere fruiti in maniera continuativa o frazionata, a giorni, a settimane o a  mesi. I genitori si possono alternare nella fruizione sia del congedo parentale sia del prolungamento del congedo parentale.

Va sottolineata l’introduzione di una novità importante quale quella di non essere più obbligati a fruire (anche solo in linea teorica) del congedo parentale prima di poter beneficiare del prolungamento. Una pre-condizione incomprensibile e inutile, giustamente archiviata in un’ottica di semplificazione delle procedure.
In altre parole, i genitori di un figlio disabile sanno di poter contare su 36 mesi di congedo parentale, un congedo prolungato rispetto a quello “normale”, che potranno decidere come e quando utilizzare, sapendo che i 36 mesi sono complessivi anche fra i due genitori, se ne fruiscono alternandosi. La possibilità di “spalmare” il prolungamento del parentale sino al compimento degli 8 anni del figlio, permette ai genitori di un bambino disabile di decidere, in base alle esigenze proprie e del bambino, come avvalersi di tale diritto utilizzandone anche la maggiore flessibilità. Il diritto riguarda entrambi i genitori poiché, in linea con la legge sui congedi parentali (legge 53/2000) ad ambedue viene riconosciuto il diritto di accudire il figlio.

La retribuzione è quella riconosciuta durante il congedo parentale: il 30% dell’ultima retribuzione percepita, sia nel settore pubblico sia nel settore privato. Laddove la contrattazione collettiva avesse stabilito norme di maggior favore, valgono queste ultime.

L’accredito contributivo è figurativo, nel pubblico e nel privato, e il valore retributivo della contribuzione figurativa é pari al 100%.

Permessi mensili (tre giorni al mese)

I requisiti per ottenerli sono: il figlio disabile non deve essere ricoverato a tempo pieno  salvo il caso in cui la presenza del genitore sia richiesta dai sanitari della struttura;  età del bambino: dalla nascita.

I beneficiari dei permessi mensili sono i genitori (anche adottivi o affidatari), oppure un parente o affine entro il 2° grado (ad es. nonni, fratelli) del bambino.

I permessi possono essere fruiti da un solo genitore oppure da entrambi in maniera alternativa. Naturalmente, qualora la contrattazione collettiva abbia stabilito condizioni di miglior favore, valgono queste ultime.

Il congedo biennale retribuito (due anni retribuiti)

Ne hanno diritto i  genitori del figlio disabile.
Può essere accordato ad ogni età del figlio che però non deve essere ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati, salvo che la presenza del genitore sia richiesta dai sanitari.

Può essere fruito alternativamente dal padre o dalla madre, per un massimo complessivo di 2 anni. Il lavoratore richiedente ha diritto ad usufruire del congedo entro 60 giorni dalla richiesta. La durata del congedo si intende per ogni figlio disabile e nell’arco della vita lavorativa di ogni genitore.
La legge così modificata nel confermare il diritto all’alternatività nella fruizione del congedo da parte dei due genitori, conferma anche l’impossibilità del padre (o viceversa), mentre la madre (o viceversa) sta usufruendo del congedo, di beneficiare negli stessi giorni dei permessi mensili o del prolungamento del congedo parentale o dei permessi orari.
Il padre, invece può beneficiare di un periodo di congedo retribuito anche quando la madre del bambino disabile é in congedo di maternità o in congedo parentale.

Il periodo di congedo é coperto da contribuzione figurativa. Non è chiaro se questa disposizione vale solo per il settore privato o anche per quello pubblico.

Ferie

Nel decreto viene riportata una norma della Finanziaria 2007 che prevede, nel caso in cui il lavoratore fruisca di un periodo di congedo retribuito non superiore a 6 mesi, il diritto ad assentarsi dal lavoro per un numero di giorni di permesso non retribuito pari al numero dei giorni di ferie che avrebbe maturato in costanza di rapporto di lavoro. Questi giorni di congedo non retribuito non sono coperti da alcuna contribuzione.
Infine, il decreto dispone esplicitamente che durante il periodo di congedo non maturano le fiere, la 13sima mensilità e il trattamento di fine rapporto. Per quanto non espressamente previsto dai commi 5, 5-bis, 5-ter e 5 quater si applicano le disposizioni dell’articolo 4, comma 2, della legge 8 marzo 2000, n. 53.”.

Il passo indietro é notevole. Le nuove disposizioni fanno compiere ai diritti dei lavoratori un drastico passo indietro e non considerano la norma antidiscriminatoria di cui al dlgs 216/2003. Se la maturazione delle ferie è un aspetto controverso, così non é per la 13ma e 14ma mensilità.

Cosa cambia per i lavoratori che assistono un familiare disabile

Permessi mensili ( tre giorni al mese)

Per ottenerli il familiare disabile  non deve essere ricoverato a tempo pieno, deve essere il coniuge, o un parente o affine entro il 2° grado (genitori, figli, suoceri, nuore, generi, nonni, nipoti, fratelli, sorelle, cognati);  oppure, entro il 3° grado se i genitori o il coniuge del disabile hanno compiuto i 65 anni oppure sono affetti da patologie invalidanti oppure  sono deceduti o mancanti.

Quando più lavoratori assistono lo stesso familiare disabile, resta ferma la regola che non é possibile riconoscere i permessi a più di un lavoratore per assistere la stessa persona disabile.

Tuttavia il lavoratore può assistere più familiari, a condizione che si tratti del coniuge o di un parente/affine entro il 1° grado (figli, genitori). La possibilità di assistere più familiari disabili entro il 2° grado invece é concessa nel caso in cui i genitori o il coniuge della persona disabile hanno compiuto i 65 anni oppure sono affetti da patologie invalidanti oppure sono deceduti oppure sono mancanti.

Viene introdotta una novità che riguarda l’assistenza a familiari residenti lontano dal lavoratore richiedente i permessi. Infatti, se il familiare disabile é residente in un comune situato ad una distanza stradale superiore a 150 km da quello del lavoratore richiedente i permessi, quest’ultimo  deve attestare con titolo di viaggio o altra documentazione idonea, il raggiungimento del luogo di residenza dell’assistito (biglietto del treno, biglietto aereo, ticket autostrada, telepass, ….).

Congedo biennale retribuito – Cosa cambia per i lavoratori che assistono un familiare

E’ quello maggiormente modificato poiché é stato aggiornato sulla base delle sentenze della Corte Costituzionale.  Il giudice delle leggi ha stabilito un ordine di priorità fra gli aventi diritto a richiedere il congedo, sulla base del grado di parentela con la persona disabile e cioè il coniuge; i genitori; i figli; i fratelli o le sorelle.
 
In caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge, il diritto a fruire del congedo passa alla madre o al padre (anche adottivi) del disabile, i quali, a loro volta, se mancanti o deceduti o affetti da patologie invalidanti, passano il diritto ai figli, e così via.
Il diritto a fruire del congedo si concretizza entro 60 giorni dalla richiesta. La persona da assistere non deve essere ricoverata salvo che la presenza del familiare sia richiesta dai sanitari. Non può superare la durata complessiva di due anni per ogni familiare disabile e nell’arco della vita lavorativa di ognuno. Nel caso in cui il lavoratore fruisce di un periodo di congedo retribuito non superiore a 6 mesi, ha diritto ad assentarsi dal lavoro per un numero di giorni di permesso non retribuito pari al numero dei giorni di ferie che avrebbe maturato in costanza di rapporto di lavoro. Questi giorni di congedo non retribuito non sono coperti da alcuna contribuzione.

La  norma precisa che “il richiedente ha diritto a percepire un’indennità corrispondente all’ultima retribuzione” facendo riferimento alle voci fisse e continuative.
Il periodo é coperto da contribuzione figurativa; la contribuzione é già figurativa nel caso dei dipendenti privati e sembrerebbe diventarlo anche per i pubblici.
Il periodi di congedo biennale retribuito non incide sulla maturazione delle ferie né  della 13ma né del TFR.

Il congedo per cure per gli invalidi

Si tratta della possibilità di assentarsi legittimamente dal posto di lavoro e interessa quelle  lavoratrici e quei lavoratori affetti da patologie (comportanti una riduzione della capacità lavorativa superiore al 50%) che richiedono lunghi periodi di cura  (non superiori a 30 giorni) non rinviabili e utili ad un suo recupero fisico.
La conservazione del posto di lavoro durante il periodo di malattia é stabilita dai CCNL che determinano e regolano il cosiddetto “periodo di comporto”, superato il quale il lavoratore rischia il licenziamento. Relativamente a questo aspetto, la maggior parte dei CCNL prevede per i lavoratori affetti da patologie che comportano, fra l’altro, anche la necessità di trattamenti salvavita, un comporto più elastico rispetto a quello della malattia comune. 
Si conferma che non si tratta di congedo per cure termali per i dipendenti pubblici, il quale continua ad essere regolato dalla normativa vigente.

Per accedere al congedo per cure è necessario oltre all’accertamento di un’invalidità civile superiore al 50% anche la richiesta del medico convenzionato con il SSN o appartenente ad una struttura sanitaria pubblica dalla quale risulti la necessità della cura in relazione all’infermità invalidante riconosciuta

La domanda va presentata al datore di lavoro con allegato il verbale Asl di accertamento e la richiesta del medico.

Il lavoratore deve documentare in maniera idonea l’avvenuta sottoposizione alle cure e, in caso di trattamenti terapeutici continuativi, la documentazione che giustifica l’assenza può essere cumulativa.

I giorni di assenza per “congedo per cure” vengono retribuiti dal datore di lavoro  con le  regole delle assenze per malattia. Pertanto, nel settore pubblico, durante i primi 10 giorni di assenza per congedo per cure, la retribuzione del dipendente potrebbe subire la decurtazione stipendiale stabilita con legge 133/08.

Ricordiamo che vigono alcune deroghe al regime della decurtazione che  riguardano le assenze dovute a trattamenti terapeutici conseguenti a infortunio sul lavoro o causa di servizio e a patologie gravi che richiedono terapie salvavita

Nel settore privato, il CCNL normalmente prevede che il datore di lavoro retribuisca i primi 3 giorni di malattia (cosiddetta carenza) ed integri l’indennità di malattia erogata all’Inps nei giorni successivi al 3°. Pertanto, sembra di capire che i giorni di assenza relativi al congedo per cure saranno retribuiti con il solo importo a carico del datore di lavoro così come previsto dal CCNL di riferimento, cioè quello che va ad integrare l’indennità dell’Inps. Se così fosse, il danno retributivo per i lavoratori privati potrebbe essere maggiore che per i dipendenti pubblici.
Per quanto riguarda il comporto, la norma stabilisce chiaramente che i giorni di congedo non rientrano nel periodo di comporto.

Presso le sedi dell’Inca, dislocate su tutto il territorio nazionale, gli operatori di patronato sono a disposizione di coloro che vogliono avere informazioni più approfondite sulla materia.

Modifiche ai congedi di maternità e paternità

 

NEWS

 

Dopo numerose e reiterate affermazioni sull’urgenza di armonizzare, razionalizzare ed implementare la normativa in materia di congedi, aspettative e permessi, per conciliare lavoro e vita familiare è stato approvato il Decreto legislativo n.119/11 in attuazione della L.183/2010, cosiddetto “ collegato lavoro”.

Nel  testo dei lavori preparatori del decreto in oggetto, contrariamente alle aspettative create, viene affermato che “ non si è proceduto al riordino dell’intera normativa in materia in quanto, considerati anche i tempi ridotti ed il complesso iter di approvazione, si è preferito optare per  un’ impostazione minimale e settoriale”.

Ciononostante, all’art. 1 del Decreto leggiamo che la finalità è quella “ di ridefinire i presupposti oggettivi e precisare i requisiti soggettivi, i criteri e le modalità per la fruizione dei congedi, dei permessi e delle aspettative comunque denominati , nonché di razionalizzare e semplificare i documenti da presentare ai fini della loro fruizione.” Nulla di tutto ciò si ritrova poi nei 9  articoli che compongono il citato decreto.

Rientro al lavoro

Per quel che concerne la tutela della maternità e paternità, all’art. 2 del decreto in oggetto  riscontriamo un’acquisizione significativa. Infatti, nel caso di interruzione spontanea o terapeutica della gravidanza successiva al 180° giorno dall’inizio della gestazione, come anche in caso di morte del bimbo alla nascita o durante il congedo di maternità , le lavoratrici possono tornare a lavorare.

Per interrompere il congedo obbligatorio di maternità, la lavoratrice deve avvisare il datore di lavoro con un preavviso di dieci giorni. Inoltre, il medico specialista del SSN o con esso convenzionato ed il medico competente per la prevenzione e la salute sui luoghi di lavoro devono attestare che il rientro non provoca danno alla salute.

Riposi in caso di adozioni ed affidamenti

L’art.8 del Dlgs recepisce la sentenza di Corte Costituzionale 104/2003 che permette di usufruire dei riposi orari ex allattamento, in caso di adozione e di affidamento, non entro il primo anno di vita del bambino, ma entro il primo anno dall’ingresso del minore nella famiglia.

Un’ inclusione normativa corretta e doverosa,  ma tardiva, dato che questo diritto era stato riconosciuto ed applicato già  fin dall’ emanazione della sentenza.

Avvicinamento di genitori dipendenti da amministrazioni pubbliche.

Sempre all’art.8 del  Dlgs, viene esteso il diritto, per i dipendenti di amministrazioni pubbliche, ad essere assegnati ad una sede di servizio nella stessa provincia o regione  nella quale l’altro genitore lavora, in caso di adozione ed affidamento,  entro i primi tre anni dall’ingresso del minore nella famiglia, indipendentemente dall’età’ del minore.

Anche in questo caso, ci si allinea alla normativa, in particolare alla legge 244/2007 ed alla  giurisprudenza, quasi sempre  della Corte Costituzionale, che hanno completamente equiparato, sotto l’influenza ulteriore delle Direttive europee, le nascite biologiche, ed i conseguenti diritti, a quelle adottive, in un’ottica totalmente condivisibile di miglioramento della tutela.

Cgil – Super ticket da abolire

 

NEWS

Un atto irresponsabile

In un comunicato stampa la Cgil denuncia che “il decreto del governo per applicare i super ticket nelle singole regioni è un atto irresponsabile, che aggrava ulteriormente una situazione già difficile. Ormai, come ha denunciato il Presidente della Conferenza delle regioni, “questa è una situazione di emergenza”.

I superticket – continua il comunicato del sindacato di Corso d’Italia – vanno aboliti perchè sono una vergognosa tassa sui malati e un vero regalo al mercato privato della sanità, a danno del serviziopubblico.

La miscela esplosiva ticket più tagli (otto miliardi in due anni) mette a rischio i Livelli Essenziali di Assistenza sanitaria e spinge al disavanzo tutte le regioni, stroncando il risanamento di quelle impegnate nei piani di rientro.

Bisogna rovesciare – conclude il comunicato – questa impostazione recessiva, che penalizza ogni investimento per la salute invece che considerarlo un bene prezioso per garantire i diritti delle persone e per dare più forza allo stesso sviluppo economico.

dm ticket.pdf

Ricongiungimenti familiari: una nuova sentenza a favore dei lavoratori stranieri

Grazie ad una azione legale dell’Inca, il Tribunale di Biella impone il rilascio del visto di ingresso ad un giovane marocchino di vent’anni 

Un’altra vittoria dell’Inca per il riconoscimento del visto di ingresso ad un giovane marocchino di vent’anni. Questa volta a chiudere la controversia è stato il Tribunale di Biella che, con un decreto ingiuntivo (emesso il primo luglio), ha ordinato il rilascio del visto di ingresso a favore di un marocchino al quale il Consolato Generale d’Italia ha negato la possibilità di ricongiungimento con il fratello, già con cittadinanza italiana.

Secondo il ministero degli esteri, che si è costituito in giudizio contro il ricorso presentato dal familiare del giovane marocchino, per autorizzare il ricongiungimento, il ricorrente avrebbe dovuto presentare una documentazione che attestasse la presa in carico del familiare, considerando non sufficiente l’istituto di diritto islamico della Kafala (basato su una dichiarazione giurata di dodici testimoni che dichiarano l’effettiva presa in carico di un soggetto da parte di un altro, sotto il profilo del suo materiale mantenimento) a testimoniare la condizione di dipendenza economica e materiale del giovane marocchino al fratello.

L’amministrazione, che avrebbe dovuto provvedere al rilascio del visto di ingresso ha negato il titolo una prima volta nel 2009, quando l’attuale ventenne marocchino era minorenne, motivando il rifiuto sia con il fatto che a chiederlo non fosse stato uno dei due genitori esercitanti la patria potestà, ma un altro familiare; sia perché, a suo giudizio, l’istituto della Kafala è incompatibile con il diritto italiano; perciò, secondo il ministero degli esteri mancava il presupposto legislativo della adottabilità del minore, nonostante il ricorrente avesse effettivamente a carico il fratello minore.

Ma il visto è stato negato una seconda volta, nel 2010, nonostante il giovane avesse raggiunto la maggiore età. Da qui il pronunciamento favorevole del Tribunale di Biella che, richiamando il rispetto dell’articolo 30 del Testo unico sull’immigrazione, ha ordinato all’autorità consolare competente l’emissione del visto di ingresso per il fratello del ricorrente; sottolineando, peraltro, che “la lentezza complessiva dei procedimenti amministrativi che si sono succeduti (oltre due anni)  e la rilevanza del diritto sotteso al ricorso, giustificano la declaratoria di immediata efficacia del provvedimento “.

“Per l’ennesima volta – spiega Enrico Moroni, coordinatore degli uffici immigrazione dell’Inca – è dovuta intervenire la magistratura per ripristinare il rispetto delle legittime istanze dei lavoratori stranieri che contribuiscono in modo significativo alla crescita della ricchezza del nostro paese. Dopo tante sentenze favorevoli ad una interpretazione estensiva dei diritti degli immigrati, sarebbe auspicabile una cambiamento radicale dell’orientamento, finora espresso da questo governo e dalla dai partiti che lo sostengono, per cambiare il quadro normativo del tutto incongruente rispetto alla domanda di tutela di tante lavoratrici e lavoratori stranieri”.