Archivi giornalieri: 7 febbraio 2012

ABOLIAMO L’ART.12 DELLA LEGGE 122/2010

NO ALLA RICONGIUNZIONE ONEROSA DEI CONTRIBUTI PENSIONISTICI

Facebook – 925 membri

 

Nell’estate del 2010 la Legge 122/2010 ha modificato, rendendole onerose,  le operazioni  di ricongiunzione o trasferimento dei contributi da Fondi esclusivi o sostitutivi verso il regime generale dell’Assicurazione Generale Obbligatoria  (I.N.P.S).

 

Questa modifica introdotta dal precedente governo e per sua stessa ammissione realizzata per impedire che le donne del settore pubblico, raggiunto il 60° anno di età, potessero spostare gratuitamente  i loro contributi dall’INPDAP all’INPS per andare in pensione anticipatamente senza dover raggiungere i 65 anni, di fatto colpisce tutti i lavoratori in regola con i requisiti pensionistici in modo indiscriminato.

 

Per far fronte ad una emergenza di carattere transitorio, come appariva l’esigenza di impedire l’aggiramento della norma sull’elevazione dell’età pensionabile da parte delle donne del pubblico impiego, è stata soppressa una norma fondamentale dell’ordinamento come la legge 322/58.

 

L’effetto pratico di questa modifica è che tutti quei lavoratori che hanno avuto una vita lavorativa svolta in aziende private e/o pubbliche diverse, oggi per poter accedere alla propria pensione per la quale hanno sempre versato regolarmente i contributi dovuti, devono pagare ulteriori, spesso insostenibili, oneri.

 

Il problema tocca migliaia e migliaia di lavoratori:

– dipendenti pubblici che sono  passati a lavorare nel settore privato;

– insegnanti che hanno lavorato presso scuole private e poi presso istituti pubblici;

– dipendenti delle società afferenti a Poste Italiane dapprima iscritti all’INPS e  successivamente ad IPOST;

– dipendenti delle aziende municipalizzate (con iscrizione INPDAP) il cui contratto è stato “ceduto” alla società subentrata

  nel servizio;

– lavoratori del settore telefonico, elettrico, ecc.

 

Dopo l’intervento dell’art. 12 delle legge 122/2010 qualsiasi movimento di contribuzione (anche quelli verso INPS da sempre gratuito) è divenuto oneroso.

 

Se un lavoratore può vantare complessivamente, tra tutte le gestioni a cui è stato assicurato, un’anzianità contributiva e un’età anagrafica sufficienti a realizzare il diritto a pensione, di fatto, non può esercitare tale diritto perché l’INPS, per ricongiungere o trasferire i periodi contributivi, richiede improponibili ed ingiustificati oneri di ricongiunzione, in alcuni casi di centinaia di migliaia di euro.

 

Chiediamo pertanto che venga ripristinato il principio di matrice Costituzionale espresso dalla soppressa legge 322/58, secondo il quale chiunque cessi l’attività lavorativa senza aver maturato il diritto a pensione nel proprio fondo, ma avendo maturato complessivamente la medesima contribuzione richiesta a qualsiasi altro lavoratore rimasto continuativamente nella stessa azienda,  ha diritto a far confluire gratuitamente tutta la sua contribuzione verso il regime generale dell’ INPS.  

Chiediamo che le norme che regolano l’accesso alla pensione,  valide per tutti i lavoratori, esplichino i loro effetti anche per quelli, come noi, che hanno avuto la fortuna o sfortuna di cambiare durante la vita lavorativa più posti di lavoro.

Chiediamo che vengano immediatamente sospesi i pagamenti di quanti hanno “dovuto” soccombere ad una simile ingiustizia e vengano rimborsati i versamenti già effettuati.

A parità di anzianità contributiva analoghi diritti e stesse regole “certe” per tutti.

 

L’impossibilità sopravvenuta di trasferire gratuitamente la contribuzione maturata nel fondo esclusivo o sostitutivo verso l’INPS in molti casi ha reso sterile l’utilizzo di quella contribuzione incrementando il numero delle posizioni silenti in contraddizione con il dettato costituzionale. 

 

L’introduzione della norma lede diritti acquisiti durante un’intera vita lavorativa e scelte effettuate dai lavoratori in funzione di regole in vigore fin dal 1958 e confermate negli anni dagli uffici INPS e dai diversi Patronati che hanno sempre suggerito, ante Legem,  di non effettuare la ricongiunzione ma di attendere l’approssimarsi della fine dell’attività lavorativa, considerato che la ricongiunzione era gratuita.

Giunto finalmente il momento,  la stessa ricongiunzione diventa talmente onerosa da non poter più essere effettuata.

Scelte di una vita lavorativa sono state assunte in virtù di norme vigenti e consolidate, ed il peso delle modifiche apportate oggi assume valenza retroattiva (si sarebbe potuto decidere di non cambiare lavoro o si sarebbe potuto ricongiungere in età giovanile a costi di molto inferiori).

In taluni, purtroppo non sporadici, casi assistiamo inoltre a contribuzione originariamente versata all’INPS e già ricongiunta in INPDAP la cui inevitabile ricongiunzione nuovamente  in INPS oggi costa oneri improponibili (a suo tempo qualora le regole fossero state diverse nessuno avrebbe ricongiunto in INPDAP per non aggravare l’onere).

 

 

Come riconosciuto nella precedente legislatura dal Parlamento e dallo stesso Governoin più occasioni e con una produzione di atti parlamentari abbastanza cospicua la questione nasce da un errore legislativo.

Se una norma è errata o sbagliata (ed è stata riconosciuta tale da organi parlamentari e di governo) non può continuare ad esplicare i suoi effetti nell’ordinamento. Né vi possono essere perplessità sui costi dell’operazione poiché il danno che ne deriva ai lavoratori che si vedono negare il diritto a pensione è ben più alto.

 

La norma sbagliata deve essere rimossa dall’ordinamento con la medesima urgenza con cui vi è stata introdotta, altrimenti diventa odiosa e intollerabile.

 

Creare differenziazioni in funzione degli Enti presso cui viene versata la contribuzione (cosa che per di più non rientra nelle libere scelte del dipendente), e chiedere poi esorbitanti oneri per ricongiungere i periodi contributivi, diventa oggi ancor più incomprensibile ed ingiustificabile a seguito della fusione dei vari Enti, tra cui l’INPDAP, nella nuova  “SUPER INPS” che è subentrata in tutti i rapporti attivi e passivi degli Enti incorporati: tutti tranne quelli verso i lavoratori.

 

L’art. 12 delle legge 122/2010 discrimina le scelte pensionistiche fatte dai lavoratori, che hanno mostrato una lodevole flessibilità ad adattarsi alle diverse forme lavorative.

Ciò appare peraltro in netto contrasto con quanto asserito oggi dall’attuale capo del Governo, il  Presidente Monti, che invita ad una maggiore mobilità lavorativa ed ad abbandonare la monotonia del “posto fisso” .

 

Chiediamo pertanto che venga abrogata la legge 122/2010 nella consapevolezza che non si chiede di mantenere privilegi ma di ripristinare diritti legittimi.

 

 

                                                                                                                                       Raccolte 925 Firme                

                                                                                                                                        Gruppo Facebook                                

                                                                                                             “Aboliamo l’art.12 della Legge 122”                                                                                                            

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                 

 

 

 

 

 Riepilogo Atti Parlamentari

 

 

Già lo stesso Governo Berlusconi si era reso dei guasti, prodotti dalla Legge 122/2010,

1. L’11 luglio 2011 la Camera ha approvato all’unanimità la mozione 1-00690 concernente “Iniziative relative alla disciplina dei contributi pensionistici”. Nella dichiarazioni di voto della mozione, il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali, Luca Bellotti, esprimendo il parere del Governo, ha riconosciuto che: “gli effetti concreti che la riforma ha  prodotto sul tessuto sociale hanno in parte travalicato le iniziali intenzioni del legislatore.” – L’On.le Giuliano Cazzola del PDL ha dichiarato che “le norme del decreto-legge n. 78 del 2010 erano finalizzate ad impedire che una disposizione assunta in materia di età pensionabile su indicazione dell’Unione europea (l’equiparazione dell’età di vecchiaia tra uomini e donne nel pubblico impiego) potesse essere elusa mediante il trasferimento della posizione contributiva all’ Inps, per chi ne avesse, ovviamente, la possibilità. Tale trasferimento avrebbe comportato l’applicazione del requisito dei 60 anni, anziché di quello dei 65 anni a regime nel 2012. Il fatto è – e il Governo lo ha riconosciuto – che lo strumento assunto per disincentivare tale trasferimento (quello di rendere onerosa la ricongiunzione anche nei casi in cui prima era gratuita) è divenuta una norma di carattere generale, valida per chiunque avesse il problema di congiungere periodi lavorativi effettuati in differenti gestioni o enti. Di conseguenza, tanti lavoratori che contavano sulla possibilità di ricongiungere gratuitamente storie contributive distinte, si sono trovati  all’improvviso a doverlo fare in modo oneroso, a volte anche parecchio oneroso.” – L’On.le Emanuela Munerato della Lega Nord Padania ha dichiarato che “è necessario tornare al principio che, se le ricongiunzioni vengono fatte verso enti con trattamenti meno favorevoli rispetto all’ente di provenienza, l’operazione deve avvenire senza oneri a carico del lavoratore”. La mozione impegnava il Governo ad assumere le iniziative di competenza, ove  possibile anche in sede di interpretazione autentica, per chiarire ab initio i casi di effettiva applicabilità di quanto previsto, in materia di ricongiunzione onerosa, nel decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.

2.             La Commissione Lavoro della Camera, in sede referente, ha approvato Martedì 26 luglio 2011 – Presidente Silvano MOFFA – la proposta di legge: Disposizioni in materia di totalizzazione dei periodi assicurativi e di estensione del diritto alla pensione supplementare. C. 3871 Gnecchi, C. 4260 Cazzola, C. 4384 Poli. Unificando in un unico testo (bi-partisan) tre diverse proposte di legge.

3.             Il 27 luglio, nella seduta n. 508, il Parlamento all’unanimità ha approvato la mozione che impegnava il Governo a “mantenere l’impegno assunto per realizzare le iniziative di competenza, ove possibile anche in sede di interpretazione autentica, per chiarire ab initio i casi di effettiva applicabilità di quanto previsto, in materia di ricongiunzione onerosa, nel decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122”.

4.             Il 14 settembre 2011 sono stati presentati in Parlamento: la interrogazione n. 9/04612/109, da parte dell’on. Maria Luisa Gnecchi (PD), e  l’ordine del giorno 9/04612/017  a firma dell’On. Santo Versace (PDL), finalizzati a capire le reali intenzioni del governo.

 

 

Pensioni: CGIL, il Senato deve intervenire per cambiare le norme

 
Migliaia i lavoratori che rischiano di rimanere senza stipendio e senza pensione. La CGIL rilancia l’allarme: ecco un primo elenco delle aziende coinvolte
04/02/2012 Condividi su:  condividi su Facebook condividi su Twitter

“Si deve trovare subito una soluzione per tutti i lavoratori in mobilità, per tutti gli esodi, per tutti gli accordi individuali e collettivi, insomma per tutti quei lavoratori che per diversi motivi rischiano di rimanere senza lavoro, quindi senza stipendio, ma anche senza pensione”. L’allarme viene lanciato da Vera Lamonica, Segretaria confederale della CGIL con delega ai problemi previdenziali e del welfare.

Secondo la CGIL, non è dato sapere quanti siano effettivamente i lavoratori coinvolti perché le fattispecie interessate sono tantissime (accordi collettivi, accordi individuali, piccole e piccolissime aziende, uscite senza ammortizzatori, ecc.). “Comunque si tratta di un numero molto superiore a quello che il Governo lascia intendere e di quel bacino coperto dalle risorse stanziate finora – spiega Lamonica – ma in questo momento è sicuro che vengono rimessi in discussione anche accordi di aziende grandi e importanti, o perché sono stati sottoscritti nel lasso di tempo tra il 4 e il 31 dicembre 2011, o perché prevedono la risoluzione effettiva del rapporto di lavoro successivamente al dicembre 2011”.

La drammaticità della situazione per migliaia di lavoratori e lavoratrici è resa evidente dai primi elenchi parziali delle aziende interessate.

Per il settore metalmeccanico, Agile/Eutelia (386 esuberi), Alenia (747), Fiat Irisbus (653), FIAT Termini Imerese (640), Fincantieri (1240), Selex Elsag (230), Wirpool (495). Per il settore edile: Rdb (137), Unical (50).  Per il farmaceutico, Sanofi (460), Sigma Tau (569). Nel settore dei servizi: Poste italiane (2000), Defendini (400), Telepost (125). Per il trasporto aereo: Alitalia/Meridiana e altre (5000, 4 anni di CIG più 3 di mobilità dal 2008).  Poi ci sono tante altre procedure ancora aperte, tanto per citarne una, l’Alcoa con 1000 lavoratori coinvolti.

“Ma tutti questi casi – spiega Vera Lamonica – sono purtroppo solo la punta di un iceberg molto consistente. Si tratta di un drammatico limbo, di migliaia di storie individuali di persone a cui non si dà ancora nessuna risposta certa”.
“Abbiamo conquistato il risultato che la Camera riaprisse la discussione – dice ancora Lamonica – ma le modifiche apportate non sono sufficienti. Bisogna garantire a tutte le fattispecie interessate la data del 31 dicembre. Bisogna aumentare le risorse previste, non bisogna fare riferimento alla data effettiva di risoluzione del rapporto di lavoro, bensì a quella di sottoscrizione degli accordi”.

“Come è evidente – conclude la dirigente della Cgil – i guasti provocati al mercato del lavoro da una riforma violenta quanto immotivata, sono molto pesanti e vanno immediatamente affrontati e risolti. E ora il Senato può farlo”.

Cgil- Sulle pensioni il Senato deve intervenire per cambiare le norme

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“Si deve trovare subito una soluzione per tutti i lavoratori in mobilità, per tutti gli esodi, per tutti gli accordi individuali e collettivi, insomma per tutti quei lavoratori che per diversi motivi rischiano di rimanere senza lavoro, quindi senza stipendio, ma anche senza pensione”. L’allarme viene lanciato da Vera Lamonica, Segretaria confederale della Cgil con delega ai problemi previdenziali e del welfare.
 
Secondo la Cgil, non è dato sapere quanti siano effettivamente i lavoratori coinvolti perché le fattispecie interessate sono tantissime (accordi collettivi, accordi individuali, piccole e piccolissime aziende, uscite senza ammortizzatori, ecc.). “Comunque si tratta di un numero molto superiore a quello che il Governo lascia intendere e di quel bacino coperto dalle risorse stanziate finora – spiega Lamonica – ma in questo momento è sicuro che vengono rimessi in discussione anche accordi di aziende grandi e importanti, o perché sono stati sottoscritti nel lasso di tempo tra il 4 e il 31 dicembre 2011, o perché prevedono la risoluzione effettiva del rapporto di lavoro successivamente al dicembre 2011”.
 
La drammaticità della situazione per migliaia di lavoratori e lavoratrici è resa evidente dai primi elenchi parziali delle aziende interessate.
 
Per il settore metalmeccanico, Agile/Eutelia (386 esuberi), Alenia (747), Fiat Irisbus (653), Fiat Termini Imerese (640), Fincantieri (1240), Selex Elsag (230), Wirpool (495).

Per il settore edile: Rdb (137), Unical (50). 

Per il farmaceutico, Sanofi (460), Sigma Tau (569).

Nel settore dei servizi: Poste italiane (2000), Defendini (400), Telepost (125).

Per il trasporto aereo: Alitalia/Meridiana e altre (5000, 4 anni di CIG più 3 di mobilità dal 2008). 

Poi ci sono tante altre procedure ancora aperte, tanto per citarne una, l’Alcoa con 1.000 lavoratori coinvolti. 

“Ma tutti questi casi – spiega Vera Lamonica – sono purtroppo solo la punta di un iceberg molto consistente. Si tratta di un drammatico limbo, di migliaia di storie individuali di persone a cui non si dà ancora nessuna risposta certa”.

“Abbiamo conquistato il risultato che la Camera riaprisse la discussione – dice ancora Lamonica – ma le modifiche apportate non sono sufficienti. Bisogna garantire a tutte le fattispecie interessate la data del 31 dicembre. Bisogna aumentare le risorse previste, non bisogna fare riferimento alla data effettiva di risoluzione del rapporto di lavoro, bensì a quella di sottoscrizione degli accordi”.

Ernia discale lombare e lavoro

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Organizzato dall’Università di Milano e dalla Fondazione don Carlo Gnocchi, con il patrocinio della regione Lombardia, si tiene oggi, nell’aula magna dell’Università lombarda, il seminario sullo stato attuale delle conoscenze e prospettive future  sulle correlazioni tra ernia discale lombare e il lavoro.

Con il nuovo elenco delle malattie professionali, negli ultimi anni si è assistito ad un notevole incremento delle denunce per malattie professionali, passate da circa 26.000 a oltre 42.000 con il 60% rappresentato da patologie muscolo sceheletriche.

E l’ernia discale è tra quelle patologie soggette all’obbligo di denuncia e inserita nell’elenco la cui origine professionale è giudicata con elevata probabilità. La comunità scientifica non ha ancora espresso un metodo per indagare quale rapporto esista fra la movimentazione manuale dei carichi e l’insorgenza dell’ernia discale lombare. L’obiettivo di
questo seminario, a cui partecipa l’Inca con la propria consulenza medico legale nazionale, si pone proprio l’obiettivo di mettere a confronto le varie conoscenze, sia per risolvere i problemi che per programmare un’attività di ricerca che coinvolga la comunità scientifica e le parti sociali.

Eternit, il Comune di Casale rinuncia al risarcimento di Stephan Schmidheiny

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La Giunta comunale di Casale Monferrato ha deciso di rinunciare all’offerta di oltre 18 milioni di euro presentata dall’imputato svizzero Stephan Schmidheiny, a titolo di transazione nel processo “Eternit”. Schmidheiny è l’ex proprietario della multinazionale e principale imputato al processo  che riguarda oltre allo stabilimento di Casale (1.700 morti) anche gli altri di proprietà del colosso svizzero, Cavagnolo (Torino), Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli).

A poco più di una settimana dalla sentenza, “l’amministrazione comunale – spiega una nota – ha deciso di rifiutare la proposta presentata da Schmidheiny e di proseguire lungo il percorso delineato a livello istituzionale con il ministro della Salute e con il ministro dell’Ambiente”. Un passo indietro rispetto alla scelta fatta dal Comune, lo scorso dicembre, di accettare i soldi in cambio del ritiro della giunta cittadina dall’attuale e dai futuri giudizi. Un passo indietro motivato dalle polemiche esplose nelle scorse settimane, oltre che dall’intervento del ministero.

I motivi per cui in prima istanza era stato accettato quel denaro, secondo l’amministrazione comunale, “continuano a rimanere validi, perché si sarebbe potuto aiutare la ricerca scientifica sul mesotelioma e sulle malattie derivanti dall’amianto, nonché a concludere le bonifiche sul territorio” ma oltre alla reazione della città, fondamentale è stato l’intervento del ministro della Salute, che ha permesso di avere risorse anticipate. E’ stato infatti confermato il trasferimento di 9 milioni e 740mila euro e interventi per quanto riguarda il problema della discarica.

Immigrazione: due class action dell’Inca per il diritto di cittadinanza e la concessione del permesso Ce-Slp

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Comunicato stampa

Il 2 febbraio scorso sono state depositate presso il TAR del Lazio due class action sul diritto di cittadinanza degli immigrati. La prima, promossa da 46 cittadini stranieri, insieme al Patronato Inca, Federconsumatori e  Cgil, per chiedere la riduzione dei tempi di istruttoria attualmente necessari per il riconoscimento della cittadinanza italiana, considerati inaccettabili .

L’Inca denuncia che sono in media 730 giorni (2 anni) i limiti di tempo a disposizione dell’Amministrazione per effettuare le verifiche necessarie ad accordare la cittadinanza. Spesso però i tempi si allungano ulteriormente fino ad arrivare a 3-4 anni senza peraltro ottenere risposte adeguate.

Con la class action i promotori del ricorso amministrativo chiedono la verifica, con un apposito monitoraggio, delle procedure in essere e propongono soluzioni operative che, senza costituire un onere aggiuntivo per lo Stato, potrebbero migliorare i tempi di istruttoria attualmente troppo lunghi per un Paese civile. 

Il secondo ricorso, promosso da 13 cittadini stranieri, insieme  alle altre associazioni già citate, denuncia il comportamento adottato da alcune Questure in merito alla concessione del permesso CE-SLP ai familiari di soggiornanti di lungo periodo (già “carta di soggiorno”).

Alcune sedi, infatti, interpretando in modo restrittivo la norma, prolungano l’attesa per ottenere lo stesso documento di ulteriori 5 anni + 90 giorni per i familiari di coloro che sono già in possesso di permesso di soggiorno di lungo periodo.

I ricorrenti ritengono che lo straniero in possesso dei requisiti reddituali e di idoneità alloggiativa necessari all’ottenimento del permesso CE-SLP possa richiedere lo stesso documento per i familiari a suo carico rientrando anch’essi nelle condizioni del richiedente.

Il Ministero dell’Interno è tenuto, per legge, a pubblicare l’iniziativa sul proprio sito internet così come di darne comunicazione anche al Ministro per la Pubblica Amministrazione e Innovazione.

La formula dell’azione collettiva consente alle persone e alle associazioni che si riconoscono nei casi oggetto dell’iniziativa legale attivata ieri, di aderire anche a ricorso presentato. Le associazioni ricorrenti si rendono quindi disponibili a raccogliere eventuali richieste di adesione.