Archivi giornalieri: 14 novembre 2008
Sicurezza sul lavoro
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Infortuni
Sentenza della Cassazione: “Casalinghe lavoratrici a tutti gli effetti”
20 marzo 2009. Accolto il ricorso di una donna vittima di un incidente stradale alla quale era stato riconosciuto solo il danno biologico e morale e non quello relativo all’attività professionale. La Suprema Corte: “Quella domestica è un’occupazione da indennizzare se non può più essere svolta”
ROMA – Quello della casalinga, anche se non produce reddito, è un lavoro vero e proprio che “non si esaurisce nell’espletamento delle sole faccende domestiche, ma si estende al coordinamento della vita familiare”. E’ questo l’orientamento espresso nella sentenza 6658 della Cassazione, che ha stabilito che, in caso di incidente, la donna che lavora in casa ha diritto al risarcimento come se l’infortunio capitasse a un qualunque lavoratore.
La Suprema Corte, così, ha dato ragione a una casalinga di Latina, Flavia V. che, nel febbraio 2006, era stata travolta, insieme al marito (un comandante dell’Alitalia in pensione), da una macchina. La Corte di Appello di Roma aveva riconosciuto alla coppia il diritto a riscuotere dall’assicurazione dell’auto investitrice solo il risarcimento del danno biologico e morale, escludendo invece quello relativo all’attività lavorativa (in quanto lei casalinga e lui pensionato). La sentenza della Cassazione adesso apre la strada per concedere all’interessata anche il risarcimento del danno patrimoniale, stabilendo che il lavoro domestico sia un’occupazione da indennizzare se non può più essere svolta.
“La casalinga, pur non percependo reddito monetizzato, svolge un’attività suscettibile di valutazione economica, che non si esaurisce nell’espletamento delle sole faccende domestiche, ma si estende al coordinamento della vita familiare”, ha evidenziato la Terza sezione civile, accogliendo il ricorso della signora Flavia, “per cui costituisce danno patrimoniale, (come tale autonomamente risarcibile rispetto al danno biologico) quello che la predetta subisca in conseguenza della riduzione della propria capacità lavorativa”.
Corte di giustizia europea
Pensioni: la Corte di giustizia europea condanna l’Italia |
giovedì 13 novembre 2008 | |
Violato il principio della parità di trattamento uomo-donna
Il regime pensionistico dei dipendenti pubblici, stabilito dal decreto legislatico n. 421 del 23 ottobre 1992, che fissa a 60 anni l’età pensionabile delle donne e a 65 per gli uomini viola il principio generale della parità di trattamento, garantito dall’art.141 CE. Lo ha affermato la Corte di giustizia europea che ha condannato l’Italia per il mancato rispetto degli obblighi comunitari dopo un ricorso della Commissione europea contro il sistema “discriminatrio” gestito dal’Inpdap.
L’elemento discriminatorio, secondo la Corte, sta nel fatto che la pensione viene calcolata sulla base degli anni di servizio prestati e in base all’ultimo stipendio del dipendente pubblico. E quindi, andando in pensione cinque anni prima degli uomini, le donne percepiscono una pensione inferiore. La Corte ha pertanto sottolineato che la fissazione, ai fini del pensionamento, di una condizione d’età diversa a seconda del sesso “non compensa gli svantaggi ai quali sono esposte le carriere dei dipendenti pubblici donne e non le aiuta nella loro vita professionale né pone rimedio ai problemi che esse possono incontrare durante la loro carriera professionale”.
La decisione della Corte con sede in Lussemburgo non ha colto di sorpresa la senatrice Emma Bonino che ha ricordato come si sia, quando era ministro per le Politiche europee del governo Prodi, “letteralmente sgolata a questo proposito, anticipando una condanna che era scritta nel marmo”.
Evidentemente, ha osservato Bonino, “neppure la ‘minaccia’ europea è servita a fare un passo avanti rispetto a quello che in Italia è un vero tabù a destra come a sinistra, per non parlare dei sindacati di ogni colore. Ciò che deve preoccupare, non è solo il fatto di essere messi all’indice dall’Europa su di una questione che non dovrebbe neppure essere di attualità in uno Stato moderno, come la disparità di trattamento uomo-donna, ma che in Italia esista una legge che stabilisce che una donna debba avere meno anni di contributi di un uomo, comportando così una discriminazione retributiva a tutti gli effetti”.
Secondo la Bonino “una maggiore flessibilità per tutti nel momento del pensionamento, oltre che non-discriminatorio, sarebbe pienamente compatibile con il nostro regime pensionistico. Se l’Italia non si conforma alla pronuncia rischia di pagare una multa salatissima, multa che ricadrà nelle tasche dei contribuenti”. Infatti, ha ammonito Bonino, “la Commissione europea può proporre un nuovo ricorso chiedendo l’applicazione delle sanzioni che decorrono da domani e che vanno da un minimo giornaliero di 11.904 euro a un massimo di 714.240 e l’irrogazione di una sanzione forfettaria nella misura minima di 9.920.000 euro. Come dire: all’autolesionismo non c’è mai fine evidentemente”
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