Archivi giornalieri: 14 novembre 2008

Sicurezza sul lavoro

 
La sicurezza sul lavoro

La sicurezza sul lavoro continua a essere uno dei temi drammatici che la cronaca non smette di portare in evidenza quasi cantiere.jpgogni giorno. Ogni anno mediamente il 6% dei lavoratori italiani subisce un incidente sul lavoro. Si tratta di quasi un milione di incidenti di diversa natura e gravità, dei quali circa 600 mila con esiti di inabilità superiore a tre giorni, oltre 27 mila determinano una invalidità permanente nella vittima, e più di 1.300 ne causano la morte. Ciò equivale a dire che ogni giorno tre persone perdono la vita per disgrazie legate alla propria attività lavorativa.
Tappa fondamentale in tal senso è la legge 626, che ha introdotto importanti innovazioni nel campo della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro, focalizzando l’attenzione sulle regole e gli strumenti operativi.

Temi di interesse
Più sicurezza per le lavoratrici gestanti
Le altre norme per la sicurezza
Le innovazioni della legge 626
I fattori generatori di rischio

Le nuove patologie

 
Più sicurezza per le lavoratrici gestanti

La legge italiana per la tutela delle lavoratrici madri è stata modificata con il decreto numero 645 del 25 novembre 1996, che ha dato attuazione ad una direttiva dell’Unione Europea in materia. Il decreto contiene lievi modifiche e integrazioni alla legge italiana, già molto avanzata rispetto a quelle degli altri Paesi dell’Unione Europea.

In particolare, viene integrato l’elenco delle attività ritenute insalubri per le lavoratrici gestanti e viene loro riconosciuta la possibilità di assentarsi dal lavoro per effettuare, durante l’orario di lavoro, gli esami prenatali che non possono essere svolti in orario diverso, senza perdita della retribuzione.

La legge prevede, inoltre, l’obbligo di informare adeguatamente la lavoratrice dei rischi connessi allo svolgimento dell’attività lavorativa contemplando, però, la possibilità di adibire la lavoratrice ad altre mansioni, anche prevedendo orari diversi da quelli normalmente svolti.

Dispone poi, che il datore di lavoro debba eseguire, nel caso si rivelino necessarie, le modifiche temporanee alle condizioni, all’organizzazione e all’orario di lavoro, per evitare che la gestante o puerpera sia esposta a rischi sul lavoro.
Qualora non fosse possibile effettuare alcuna modifica nell’organizzazione e/o nell’orario di lavoro, il datore di lavoro deve assegnare la lavoratrice ad altre mansioni. Se nemmeno l’assegnazione ad altre mansioni fosse possibile, le lavoratrici sono dispensate in anticipo dal lavoro (rispetto al periodo obbligatorio di due mesi prima e tre mesi dopo il parto), così come previsto dal Testo unico sulla maternita’.

Una novità importante consiste nel fatto che, mentre prima era l’ispettorato del lavoro a disporre l’astensione anticipata, ora è lo stesso datore di lavoro che può farlo, informandone successivamente l’ispettorato.

  Le altre norme per la sicurezza

Per completezza di esposizione, è utile ricordare che il 626 è solo il primo (e senz’altro il più importante) dei decreti legislativi attuativi delle direttive comunitarie in materia di igiene e sicurezza sul lavoro, ma non il solo. Tra il 1996 e il ’97 sono state recepite in Italia numerose direttive UE nel campo della sicurezza. Tra le più importanti ricordiamo:

  • il D. l.vo n. 493/96 concernente le prescrizioni minime per la segnaletica di sicurezza e salute sul luogo di lavoro;
  • il D. l.vo n. 494/96 concernente la sicurezza nei cantieri temporanei o mobili.

Nel 2001 l’Inail ha avviato un nuovo sistema di incentivi per la prevenzione degli infortuni e la sicurezza sul lavoro destinati alle aziende.
Si tratta di finanziamenti per le aziende che effettueranno interventi a sostegno dei programmi di adeguamento delle strutture e dell’organizzazione alle normative di sicurezza e igiene delle piccole e medie imprese e dei settori agricolo e artigianale in attuazione della legge 626/94.

Per conoscere tutte le norme di particolare rilievo riguardanti gli infortuni sul lavoro rimandiamo al sito dell’Inail

Link consigliati
Normativa e atti ufficiali – Inail
Prevenzione e rischio – Inail

  Le innovazioni della legge 626

Il decreto legislativo comunemente noto come “la 626” ovvero “la legge sulla sicurezza nel lavoro”, ha introdotto importanti innovazioni nel campo della salute e sicurezza dei lavoratori sui luoghi di lavoro e, pur senza sostituirsi alla disciplina precedente, cambia completamente l’impostazione della tecnica di prevenzione.
Si passa, infatti, da una normativa incentrata su un tipo di intervento sostanzialmente “riparatorio” ad una focalizzata sulla prevenzioneinformazione. e sull’

Questa legge, infatti, non riserva più la gestione della sicurezza al datore di lavoro e ai suoi più stretti collaboratori ma, in considerazione della sua importanza, coinvolge tutti i lavoratori nella messa a punto del sistema di sicurezza, sancendo così il passaggio da un sistema incentrato sulle regole ad uno incentrato principalmente sulle singole persone.

In primo luogo, la 626 prevede un intervento organico all’interno dell’azienda che coinvolge tutti i soggetti del processo produttivo nel coordinamento della prevenzione: dalle tecnologie (che devono essere in regola con i canoni di sicurezza) ai lavoratori (con i rappresentanti per la sicurezza), dalla struttura medica (che per le grandi aziende è obbligatorio prevedere al proprio interno) ai segnali di sicurezza e alle stesse attrezzature di sicurezza.

La legge è incentrata essenzialmente sull’obbligo del datore di lavoro di portare a conoscenza dei propri dipendenti i rischi connessi alla prestazione lavorativa: “informare per prevenire e quindi ridurre al minimo i rischi“.

Dal 3 febbraio 2005 è in vigore l’obbligo del “Pronto soccorso aziendale”, istituito dal Decreto Ministeriale numero 388 del 2003. Ogni azienda, di piccole e grandi dimensioni, deve essere dotata di una cassetta o pacchetto di primo intervento, di personale specializzato per la gestione degli interventi di soccorso e di un collegamento con il servizio di emergenza sanitario.

Il sistema di pronto soccorso si differenzia, comunque, in base all’azienda; in merito il Decreto identifica tre diversi gruppi di imprese, la cui classificazione deve essere autocertificata dal datore di lavoro, tenuto conto della tipologia di attività svolta, del numero dei lavoratori occupati e dei fattori di rischio.

  I fattori generatori di rischio

Tra i fattori generatori di rischio, alle inadempienze da parte delle aziende rispetto alla normativa vigente in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro va sommata: la disattenzione dei lavoratori che sottovalutano i rischi, la perdita di concentrazione e di attenzione alle circostanze e alle macchine pericolose in quei lavoratori sottoposti ad elevati ritmi di lavoro, e la tendenza ad evitare dispositivi di protezione allo scopo di manovrare più agevolmente ed aumentare così la produttività.

  Le nuove patologie

Il fenomeno infortunistico è strettamente legato alle trasformazioni nel mercato del lavoro. Di conseguenza  si affermano nuovepatologie legate a rischi emergenti. Tra queste: le malattie del sistema muscolo scheletrico, le patologie associate a stress (burn- out, mobbing, malattie cardiovascolari), le patologie da sensibilizzazione o da contatto con agenti biologici e chimici.

 

Tra i rischi emergenti c’è anche la cancerosi professionale: si stima che nel nostro Paese i lavoratori esposti potenzialmente a sostanze cancerogene sia pari al 24% degli occupati. Anche per far fronte al rischio della cancerosi professionale è stata redatta la legge 626/1994. Con essa sono stati introdotti i principi di sostituzione e riduzione di sostanze cancerogene o mutagene alla cui attuazione deve provvedere il datore di lavoro. 

Per quanto riguarda in particolare i lavoratori esposti a rischio amianto, il decreto 257/06, in attuazione delle direttive europee, introduce importanti novità come l’obbligo del datore di lavoro di adottare ogni misura per individuare la presenza di materiali a rischio e di effettuare la notifica all’Asl, con l ‘indicazione della data di inizio lavori, sottoponendo i dipendenti a controllo sanitario e a iscrizione nel Registro degli esposti. Si abbassa, inoltre, il valore limite di esposizione per l’amianto, fissato a 0,1 fibre per centimetro cubo di aria.

 

Infortuni

Sentenza della Cassazione: “Casalinghe lavoratrici a tutti gli effetti”

20 marzo 2009. Accolto il ricorso di una donna vittima di un incidente stradale alla quale era stato riconosciuto solo il danno biologico e morale e non quello relativo all’attività professionale. La Suprema Corte: “Quella domestica è un’occupazione da indennizzare se non può più essere svolta”

ROMA – Quello della casalinga, anche se non produce reddito, è un lavoro vero e proprio che “non si esaurisce nell’espletamento delle sole faccende domestiche, ma si estende al coordinamento della vita familiare”. E’ questo l’orientamento espresso nella sentenza 6658 della Cassazione, che ha stabilito che, in caso di incidente, la donna che lavora in casa ha diritto al risarcimento come se l’infortunio capitasse a un qualunque lavoratore.

La Suprema Corte, così, ha dato ragione a una casalinga di Latina, Flavia V. che, nel febbraio 2006, era stata travolta, insieme al marito (un comandante dell’Alitalia in pensione), da una macchina. La Corte di Appello di Roma aveva riconosciuto alla coppia il diritto a riscuotere dall’assicurazione dell’auto investitrice solo il risarcimento del danno biologico e morale, escludendo invece quello relativo all’attività lavorativa (in quanto lei casalinga e lui pensionato). La sentenza della Cassazione adesso apre la strada per concedere all’interessata anche il risarcimento del danno patrimoniale, stabilendo che il lavoro domestico sia un’occupazione da indennizzare se non può più essere svolta.

“La casalinga, pur non percependo reddito monetizzato, svolge un’attività suscettibile di valutazione economica, che non si esaurisce nell’espletamento delle sole faccende domestiche, ma si estende al coordinamento della vita familiare”, ha evidenziato la Terza sezione civile, accogliendo il ricorso della signora Flavia, “per cui costituisce danno patrimoniale, (come tale autonomamente risarcibile rispetto al danno biologico) quello che la predetta subisca in conseguenza della riduzione della propria capacità lavorativa”.

Corte di giustizia europea

Pensioni: la Corte di giustizia europea condanna l’Italia PDF Stampa E-mail
giovedì 13 novembre 2008
pensione_donne.jpgViolato il principio della parità di trattamento uomo-donna
 
Il regime pensionistico dei dipendenti pubblici, stabilito dal decreto legislatico n. 421 del 23 ottobre 1992, che fissa a 60 anni l’età pensionabile delle donne e a 65 per gli uomini viola il principio generale della parità di trattamento, garantito dall’art.141 CE. Lo ha affermato la Corte di giustizia europea che ha condannato l’Italia per il mancato rispetto degli obblighi comunitari dopo un ricorso della Commissione europea contro il sistema “discriminatrio” gestito dal’Inpdap.
 
L’elemento discriminatorio, secondo la Corte, sta nel fatto che la pensione viene calcolata sulla base degli anni di servizio prestati e in base all’ultimo stipendio del dipendente pubblico. E quindi, andando in pensione cinque anni prima degli uomini, le donne percepiscono una pensione inferiore. La Corte ha pertanto sottolineato che la fissazione, ai fini del pensionamento, di una condizione d’età diversa a seconda del sesso “non compensa gli svantaggi ai quali sono esposte le carriere dei dipendenti pubblici donne e non le aiuta nella loro vita professionale né pone rimedio ai problemi che esse possono incontrare durante la loro carriera professionale”.
 
La decisione della Corte con sede in Lussemburgo non ha colto di sorpresa la senatrice Emma Bonino che ha ricordato come si sia, quando era ministro per le Politiche europee del governo Prodi, “letteralmente sgolata a questo proposito, anticipando una condanna che era scritta nel marmo”.
 
Evidentemente, ha osservato Bonino, “neppure la ‘minaccia’ europea è servita a fare un passo avanti rispetto a quello che in Italia è un vero tabù a destra come a sinistra, per non parlare dei sindacati di ogni colore. Ciò che deve preoccupare, non è solo il fatto di essere messi all’indice dall’Europa su di una questione che non dovrebbe neppure essere di attualità in uno Stato moderno, come la disparità di trattamento uomo-donna, ma che in Italia esista una legge che stabilisce che una donna debba avere meno anni di contributi di un uomo, comportando così una discriminazione retributiva a tutti gli effetti”.
 
Secondo la Bonino “una maggiore flessibilità per tutti nel momento del pensionamento, oltre che non-discriminatorio, sarebbe pienamente compatibile con il nostro regime pensionistico. Se l’Italia non si conforma alla pronuncia rischia di pagare una multa salatissima, multa che ricadrà nelle tasche dei contribuenti”. Infatti, ha ammonito Bonino, “la Commissione europea può proporre un nuovo ricorso chiedendo l’applicazione delle sanzioni che decorrono da domani e che vanno da un minimo giornaliero di 11.904 euro a un massimo di 714.240 e l’irrogazione di una sanzione forfettaria nella misura minima di 9.920.000 euro. Come dire: all’autolesionismo non c’è mai fine evidentemente”