Archivi giornalieri: 1 maggio 2024

La voce degli ultimi

Oggi, 30 aprile 2024, sul quotidiano on line “In Terris.

La voce degli ultimi”
30 aprile 1975: la fine della guerra in Vietnam

di Carlo Felice Casula

Il 30 aprile del 1975 truppe nordvietnamite e Vietcong, appoggiate da un centinaio di carri armati, dall’artiglieria pesante e anche da alcuni aerei da caccia, s’impadroniscono di tutti obiettivi strategici di Saigon. Nel Palazzo presidenziale il colonnello Bui Tin dei Vietcong riceve la capitolazione senza condizioni del generale sudvietnamita Dương Văn Minh, da pochi giorni Presidente della Repubblica del Vietnam del Sud. Saigon è ribattezzata Ho Chi Mihn Ville. Quasi in contemporanea i Kmer Rossi entrano vittoriosi in Phnom Penh e i Pathet Lao occupano Vientiane. È la fine della Guerra del Vietnam: tre milioni di vittime, un numero anche più elevato di feriti e invalidi, in gran parte civili, donne e bambini; milioni di sfollati, distruzioni d’interi paesi e distretti agricoli; danni ambientali incalcolabili di lunga durata per l’uso sistematico e massiccio, durante i bombardamenti, di defolianti che hanno creato, per decenni, malattie genetiche.
Gli Stati Uniti, che dal luglio del 1973, avevano, per deliberazione del Congresso, avviato il proprio disimpegno in Indocina, subiscono la prima sconfitta militare della loro storia non solo per la perdita di sessanta mila morti e ben centomila mutilati nel corpo e nell’anima come hanno raccontato molti film, tra i quali “Nato il 4 di luglio” di Oliver Stone. La capitolazione senza condizioni accettata imposta dall’ultimo presidente del paese subalterno alleato degli Stati Uniti è, in fondo, la riproposizione rovesciata dell’Unconditional Surrender imposta dagli Stati Uniti ai paesi sconfitti dell’Asse alla fine della Seconda guerra mondiale.
Proviamo a riassumere la storia del Vietnam che, nel secolo scorso, è stato il punto di confluenza di due dinamiche globali: quella della decolonizzazione, da un lato, e quella della guerra fredda, dall’altro. Alle istanze nazionaliste dei popoli un tempo sotto dominio coloniale si è andato rapidamente sovrapponendo il crescente conflitto politico e ideologico tra i due blocchi internazionali, di matrice statunitense e sovietica. Il Vietnam nella seconda metà dell’Ottocento fu progressivamente conquistato dai Francesi e nel 1887 divenne parte dell’Indocina francese. Nel primo Novecento si sviluppa un forte movimento nazionalista che, nel 1941, si struttura nella Lega per l’indipendenza del Vietnam (Viet-minh), fondata sull’alleanza fra i nazionalisti e i comunisti guidati da Ho Chi Minh e Võ Nguyên Giáp.
Nel frattempo, il Vietnam, come gran parte della Cina, tutto il Sudest Asiatico e i grandi arcipelaghi dell’Indonesia e delle Filippine, sono stati occupati dal Giappone. Le truppe coloniali francesi si arrendono senza quasi combattere, mentre il Viet-minh organizza una forte resistenza. Nel marzo 1945 i Giapponesi, ormai avviati alla sconfitta nel colossale scontro con gli Americani, riconobbero l’indipendenza del Vietnam, sotto la sovranità, quanto mai effimera, dell’imperatore Bao Dai. Grazie anche a un’insurrezione contadina del Nord del paese, il Viet-minh conquista Hanoi nell’agosto 1945 e dopo la resa del Giappone e l’abdicazione di Bao Dai, si giunge alla proclamazione della Repubblica democratica del Vietnam con Ho Chi Minh presidente. I Francesi della IV Repubblica, pur nata dalla resistenza contro l’occupazione nazista, non si rassegnano a perdere la colonia d’oriente nella quale avevano maggiormente investito in infrastrutture e anche emozioni, com’è magistralmente descritto nel bellissimo romanzo, “L’amante” di Marguerite Duras, dal quale è stato tratto il film omonimo di Jean Jacques Annaud, del 1992. Dalla fine del 1946 la Francia tenta di rioccupare il paese e dà vita, nel 1949, subisce, nel 1954, la sconfitta di Dien Bien Phu, evento anche simbolico della crisi del dominio coloniale, che contribuì non poco a creare il mito strategico del generale Giap e dei contadini-soldati vietnamiti.
Seguono, nel 1954, gli Accordi di Ginevra, che dividono temporaneamente il Vietnam in due Stati al 17° parallelo, con l’impegno che non sarà mai mantenuto di libere elezioni per la sua riunificazione. Il Vietnam del Nord, con il riconoscimento e il sostegno della Cina e dell’Unione Sovietica, si struttura come regime comunista, mentre il Vietnam de Sud, a differenza di quello del Nord, è sempre connotato da instabilità e corruzione diffusa, anche quando, Ngô-Dinh-Diem depone l’imperatore Bao Dai e proclamò la Repubblica, legandosi sempre più agli Stati Uniti. Nel 1960 si forma un ampio schieramento di opposizione, il Fronte di liberazione nazionale (FLN), che riprende anche nel nome esperienza della Resistenza europea, nel quale assumono progressivamente un ruolo preminente i comunisti, appoggiati dal Vietnam del Nord e con un crescente sostegno popolare: diventano internazionalmente noti come Vietcong. Sempre a partire dal 1960, in aggiunta agli aiuti finanziari gli USA inviano equipaggiamento e consiglieri militari, senza che questo diminuisca la presenza e l’influenza nel paese del FLN. Nel 1963 il regime autoritario e corrotto di Diem è rovesciato da un colpo di Stato militare e, dopo un periodo d’instabilità, nel 1965 s’insedia al potere una giunta presieduta da Nguyên-Van-Thiêu.
Nello stesso anno gli USA iniziano massicci bombardamenti nel Vietnam del Nord, giustificati dai cosiddetti “Incidenti del Tonchino”, che oggi sappiamo essere stati un pretesto propagandistico. Alla metà degli anni Sessanta il contingente americano inviato in Vietnam raggiunge gli oltre cinquecentomila effettivi con un dispiegamento di carri armati, aerei ed elicotteri impressionante. La permanenza dei soldati in Vietnam è di breve durata e questo comporta che milioni di giovani americani sono coinvolti nella “sporca guerra”, essendo stata reintrodotta la coscrizione obbligatoria, pur con episodi isolati, ma di grande impatto mediatico, di renitenza alla leva, come quello del campione del mondo dei pesi massimi, Cassius Clay-Muhammad Alì. Nel gennaio 1968 i nordvietnamiti lanciano un’offensiva generalizzata che spinge l’amministrazione statunitense a riconsiderare i termini del proprio coinvolgimento. Washington avviò una graduale diminuzione delle forze presenti nel Vietnam, mentre a Parigi iniziano colloqui di pace. Ciononostante, negli anni successivi il conflitto conobbe un’ulteriore intensificazione raggiungendo il Laos e la Cambogia; nel corso del 1972 i bombardamenti statunitensi sul Nord riprendono con rinnovata violenza. Un accordo per il cessate il fuoco è infine firmato nel gennaio 1973.
Rinvio al libro, “La guerra del Vietnam”, pubblicato da Il Mulino nel 2020, di Mitchell K. Hall. È uno studioso americano, specialista di studi di pace e guerra, che è stato anche presidente della “Peace History Society”. Per Hall, che ricostruisce sia gli avvenimenti militari sia le dinamiche del contesto internazionale dell’intervento americano e le ripercussioni interne agli Stati Uniti, lo scontro fra il Golia americano e il Davide vietnamita fu un drammatico banco di prova per gli equilibri del mondo bipolare e per l’opinione pubblica occidentale. Un altro storico, il tedesco Marc Frey, nel libro “Storia della Guerra del Vietnam”, pubblicato da Einaudi, dà grande rilievo alle vicende interne degli Usa legate alla guerra e ai loro effetti sul lungo periodo: il movimento pacifista e le lotte studentesche, lo sviluppo della controcultura, la loro influenza sulla pubblica opinione.
La Guerra del Vietnam è stata, infatti, anche un’esemplare guerra mediatica: giornalisti, reporter e fotografi americani e occidentali, sono sempre presenti a ridosso delle operazioni militari. Personalità del cinema e della musica sono impegnate contro la guerra: l’attrice Jane Fonda si reca anche nel Nord Vietnam in compagnia della cantante Joan Baez, già in precedenza fortemente impegnata contro la coscrizione negli Stati Uniti. In forma altrettanto convinta compone e canta contro la guerra Bob Dylan. Nella primavera del 1971 il movimento pacifista negli Stati Uniti diventa molto ampio e una parte maggioritaria della popolazione sviluppa un sentimento di stanchezza e anche di disgusto verso la “sporca guerra” che sembra non finire più.
La Guerra del Vietnam ha rappresentato uno spartiacque decisivo nell’opposizione alla guerra della generazione del Sessantotto. Nel corso del biennio 1967-68, infatti, accanto alle contestazioni della selezione di classe nella scuola e nell’accesso all’università, recependo la lezione di “Lettera a una professoressa” di don Lorenzo Milani, nonché dei programmi scolastici tradizionali, il Vietnam che resiste e che, alla fine, è vittorioso, può giustamente essere considerato come il vero catalizzatore dei movimenti giovanili di protesta e proposta che investono i paesi occidentali dall’America, all’Europa, fino al Giappone.

Valeria Vittimberga è il nuovo Direttore Generale INPS

Valeria Vittimberga è il nuovo Direttore Generale INPS

Con questa nomina prende il via definitivamente il nuovo corso dell’INPS presieduto da Gabriele Fava.

Pubblicazione: 30 aprile 2024

Con la nomina di Valeria Vittimberga a Direttore Generale prende il via definitivamente il nuovo corso dell’INPS presieduto da Gabriele Fava.

Valeria Vittimberga, già Direttore centrale Risorse strumentali e Centrale acquisti, fonda le basi della sua azione manageriale su un solido curriculum di studi e su una lunga carriera nei ruoli dirigenziali.

La DG sarà a capo di una macchina complessa, pilastro del welfare del Paese, chiamata ad alimentare e sostenere una rete di protezione sociale fatta di più di 400 prestazioni erogate a 42 milioni di cittadini-utenti.

Questa nomina avviene in un momento importante, in una fase di ricambio generazionale dell’Istituto e di definizione di nuovi equilibri tra il centro e il territorio.

“L’INPS è attivamente ingaggiato nell’attuazione del PNRR ed è protagonista della digitalizzazione della PA. In questo senso, tra gli indirizzi del mio mandato – ha affermato Valeria Vittimberga – ci saranno la trasparenza e il rigore morale come riferimenti di una rinnovata azione amministrativa: per ampliare ancor più il suo ruolo di presidio di legalità, l’INPS dovrà presentarsi come una casa di vetro, dove proprio la trasparenza nei confronti dei cittadini, degli stakeholder e dell’ecosistema comunicativo, non deve essere solo uno slogan o un dettato normativo, ma una prassi interiorizzata”.

Commentando la nomina, il Presidente Gabriele Fava ha affermato: “La tempestività della decisione tra l’insediamento del nuovo CDA, la proposta del nome del nuovo Direttore Generale e l’effettiva nomina rappresenta un segnale forte che vogliamo dare al Paese e di cui ringrazio il Ministro Marina Elvira Calderone e il Governo tutto. Ringrazio inoltre Antonio Pone (DG facente funzioni) e tutti i dirigenti e funzionari che con spirito di servizio hanno guidato questa delicata fase di passaggio. Con il nuovo assetto organizzativo prende il via quel progetto di INPS su cui il Parlamento mi ha dato fiducia e che ha l’obiettivo di supportare l’evoluzione del nostro sistema di welfare da difensivo a generativo, puntando sulla effettiva centralità delle persone, che sarà connotato da concretezza, efficienza e semplificazione su obiettivi definiti”.

I salari non sono ancora tornati ai livelli pre-Covid Europa

I salari non sono ancora tornati ai livelli pre-Covid Europa

Il lockdown ha avuto un impatto considerevole su molti aspetti del mondo del lavoro tra cui anche i salari. Sono 12 i paesi europei in cui in media nel 2022 non sono ancora tornati ai livelli del 2019 e tra questi c’è anche l’Italia.

 

La pandemia ha avuto un impatto notevole sul mondo del lavoro. Molte persone hanno infatti perso il proprio impiego nel periodo di lockdown oppure hanno dovuto ridurre il numero di ore lavorate (secondo la banca centrale europea, si tratta del calo maggiore mai registrato). In questo scenario, i salari non hanno costituito un’eccezione: la massa salariale totale, anche in conseguenza di queste dinamiche, ha subito una riduzione. Molti degli effetti negativi fortunatamente sono stati contenuti grazie a interventi statali volti ad aiutare le famiglie tramite indennità, ma anche a bloccare i licenziamenti. Nonostante ciò, l’impatto è stato visibile.

Oggi che l’emergenza sanitaria è finita e che tutte le attività, anche non essenziali, hanno ripreso il loro corso, anche il mondo del lavoro si è normalizzato. La massa salariale è aumentata, il tasso di disoccupazione è diminuito e quello di occupazione ha superato i livelli precedenti al lockdown. Tuttavia ha gravato su tutto il continente una forte spinta inflazionistica che ha avuto un duro impatto sui bilanci familiari, come abbiamo raccontato in un recente approfondimento, a cui però non sempre è corrisposto un incremento dei redditi.

A ben vedere infatti non sempre, o non ancora, i salari lordi sono tornati alla situazione pre-Covid. Come evidenzia anche l’Ocse, il riallineamento non si può ancora dire completato. L’Italia è uno dei 12 paesi in cui nel 2022 (l’ultimo anno per cui sono disponibili i dati) i salari medi annui risultavano più bassi rispetto al 2019.

Sono forti le disparità salariali tra stati membri

Tra 2019 e 2022 l’entità dei salari medi lordi dei cittadini europei è cambiata, come abbiamo accennato, anche a causa del lockdown e del suo impatto sul mondo del lavoro. Osservando i dati dell’Ocse possiamo rilevare che le disparità di reddito medio lordo tra i paesi europei risultano più evidenti nel 2022 rispetto al 2019.

Le differenze di salario medio reale tra stati si sono ampliate.

Lo stato in cui si registravano i valori più elevati (il Lussemburgo) ha registrato un incremento del proprio salario medio annuo pari al 5,3%. Mentre la Grecia, il paese membro con il dato più basso, ha riportato un calo del 5,9%. La distanza tra questi due stati si è ampliata e oggi in media i lussemburghesi guadagnano 3 volte rispetto i greci. Una differenza di oltre 52mila dollari che nel 2019 era di meno di 47mila.

GRAFICO
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DA SAPERE

I dati si riferiscono ai salari medi nel 2022, nei paesi europei membri dell’Ocse (escludendo quindi Romania, Bulgaria, Croazia, Malta e Cipro). Il valore è in dollari convertiti in Ppps (purchasing power parities, una misura che permette di appianare le differenze tra diverse valute) con valore di riferimento al 2021. Per calcolare i valori nazionali, l’Ocse divide la massa salariale totale per il numero medio di impiegati dell’economia totale, che viene poi convertito in unità di full-time equivalenti (calcolati in base alle ore mediamente dichiarate da un impiegato full-time). Non sono disponibili i dati dell’Irlanda.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Ocse
(consultati: martedì 23 Aprile 2024)

 

Il Lussemburgo è quindi il paese Ue con i salari medi annui più elevati: quasi 80mila dollari nel 2022. Seguono Belgio, Danimarca, Austria e Paesi Bassi con valori superiori ai 60mila dollari. Ultimi invece i paesi dell’Europa centro-orientale e meridionale, in particolare Grecia, Slovacchia e Ungheria con cifre inferiori ai 30mila dollari l’anno. L’Italia, con un valore pari a circa 45mila, è undicesima in Europa.

È importante sottolineare che le differenze salariali possono dipendere da numerosi fattori tra cui anche la prevalenza di lavoratori in specifici settori. Per esempio l’incidenza del lavoro nel settore tecnologico rispetto a quello manuale.

Il valore che l’Ocse utilizza per rilevare le differenze tra paesi sono i dollari convertiti in Ppps (purchasing power parities, una misura che permette di appianare le differenze tra diverse valute). Per calcolare i valori nazionali, l’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico divide la massa salariale totale per il numero medio di impiegati dell’economia totale, che viene poi convertito in unità di full-time equivalenti (calcolati in base alle ore mediamente dichiarate da un impiegato full-time).

In oltre la metà degli stati Ue Ocse i salari sono in calo rispetto al periodo pre-pandemico

I salari hanno subito l’impatto della pandemia e in molti casi sono diminuiti senza riuscire a ritornare ai livelli precedenti. Il calo più marcato si è verificato tra il 2021 e il 2022 e ha riguardato tutti gli stati Ue membri dell’Ocse tranne la Francia (+0,4%) e l’Ungheria, dove la situazione è rimasta invariata.

In 12 dei 21 paesi europei membri dell’Ocse i salari reali sono diminuiti tra prima e dopo lo scoppio della pandemia. Il calo maggiore si è verificato in Repubblica Ceca (-7,2%), seguita dalla Grecia (-5,9%). Mentre l’aumento maggiore si è registrato in Lettonia (+6,8%) e Lussemburgo (5,3%). L’Italia è il quarto stato membro insieme ai Paesi Bassi con il calo più pronunciato.

-3,4% il salario annuo medio italiano tra 2019 e 2022.

Nel nostro paese i salari medi lordi nel 2019 erano pari a 46.460 dollari a parità di potere d’acquisto, mentre nel 2022 il valore è sceso sotto i 45mila. A differenza della maggior parte degli altri paesi analizzati, in Italia il calo più marcato si è verificato tra 2019 e 2020, quando la variazione è stata pari al -4,8%.

I salari non sono ancora tornati ai livelli pre-Covid Europa

I salari non sono ancora tornati ai livelli pre-Covid Europa

Il lockdown ha avuto un impatto considerevole su molti aspetti del mondo del lavoro tra cui anche i salari. Sono 12 i paesi europei in cui in media nel 2022 non sono ancora tornati ai livelli del 2019 e tra questi c’è anche l’Italia.

 

La pandemia ha avuto un impatto notevole sul mondo del lavoro. Molte persone hanno infatti perso il proprio impiego nel periodo di lockdown oppure hanno dovuto ridurre il numero di ore lavorate (secondo la banca centrale europea, si tratta del calo maggiore mai registrato). In questo scenario, i salari non hanno costituito un’eccezione: la massa salariale totale, anche in conseguenza di queste dinamiche, ha subito una riduzione. Molti degli effetti negativi fortunatamente sono stati contenuti grazie a interventi statali volti ad aiutare le famiglie tramite indennità, ma anche a bloccare i licenziamenti. Nonostante ciò, l’impatto è stato visibile.

Oggi che l’emergenza sanitaria è finita e che tutte le attività, anche non essenziali, hanno ripreso il loro corso, anche il mondo del lavoro si è normalizzato. La massa salariale è aumentata, il tasso di disoccupazione è diminuito e quello di occupazione ha superato i livelli precedenti al lockdown. Tuttavia ha gravato su tutto il continente una forte spinta inflazionistica che ha avuto un duro impatto sui bilanci familiari, come abbiamo raccontato in un recente approfondimento, a cui però non sempre è corrisposto un incremento dei redditi.

A ben vedere infatti non sempre, o non ancora, i salari lordi sono tornati alla situazione pre-Covid. Come evidenzia anche l’Ocse, il riallineamento non si può ancora dire completato. L’Italia è uno dei 12 paesi in cui nel 2022 (l’ultimo anno per cui sono disponibili i dati) i salari medi annui risultavano più bassi rispetto al 2019.

Sono forti le disparità salariali tra stati membri

Tra 2019 e 2022 l’entità dei salari medi lordi dei cittadini europei è cambiata, come abbiamo accennato, anche a causa del lockdown e del suo impatto sul mondo del lavoro. Osservando i dati dell’Ocse possiamo rilevare che le disparità di reddito medio lordo tra i paesi europei risultano più evidenti nel 2022 rispetto al 2019.

Le differenze di salario medio reale tra stati si sono ampliate.

Lo stato in cui si registravano i valori più elevati (il Lussemburgo) ha registrato un incremento del proprio salario medio annuo pari al 5,3%. Mentre la Grecia, il paese membro con il dato più basso, ha riportato un calo del 5,9%. La distanza tra questi due stati si è ampliata e oggi in media i lussemburghesi guadagnano 3 volte rispetto i greci. Una differenza di oltre 52mila dollari che nel 2019 era di meno di 47mila.

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DA SAPERE

I dati si riferiscono ai salari medi nel 2022, nei paesi europei membri dell’Ocse (escludendo quindi Romania, Bulgaria, Croazia, Malta e Cipro). Il valore è in dollari convertiti in Ppps (purchasing power parities, una misura che permette di appianare le differenze tra diverse valute) con valore di riferimento al 2021. Per calcolare i valori nazionali, l’Ocse divide la massa salariale totale per il numero medio di impiegati dell’economia totale, che viene poi convertito in unità di full-time equivalenti (calcolati in base alle ore mediamente dichiarate da un impiegato full-time). Non sono disponibili i dati dell’Irlanda.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Ocse
(consultati: martedì 23 Aprile 2024)

 

Il Lussemburgo è quindi il paese Ue con i salari medi annui più elevati: quasi 80mila dollari nel 2022. Seguono Belgio, Danimarca, Austria e Paesi Bassi con valori superiori ai 60mila dollari. Ultimi invece i paesi dell’Europa centro-orientale e meridionale, in particolare Grecia, Slovacchia e Ungheria con cifre inferiori ai 30mila dollari l’anno. L’Italia, con un valore pari a circa 45mila, è undicesima in Europa.

È importante sottolineare che le differenze salariali possono dipendere da numerosi fattori tra cui anche la prevalenza di lavoratori in specifici settori. Per esempio l’incidenza del lavoro nel settore tecnologico rispetto a quello manuale.

Il valore che l’Ocse utilizza per rilevare le differenze tra paesi sono i dollari convertiti in Ppps (purchasing power parities, una misura che permette di appianare le differenze tra diverse valute). Per calcolare i valori nazionali, l’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico divide la massa salariale totale per il numero medio di impiegati dell’economia totale, che viene poi convertito in unità di full-time equivalenti (calcolati in base alle ore mediamente dichiarate da un impiegato full-time).

In oltre la metà degli stati Ue Ocse i salari sono in calo rispetto al periodo pre-pandemico

I salari hanno subito l’impatto della pandemia e in molti casi sono diminuiti senza riuscire a ritornare ai livelli precedenti. Il calo più marcato si è verificato tra il 2021 e il 2022 e ha riguardato tutti gli stati Ue membri dell’Ocse tranne la Francia (+0,4%) e l’Ungheria, dove la situazione è rimasta invariata.

In 12 dei 21 paesi europei membri dell’Ocse i salari reali sono diminuiti tra prima e dopo lo scoppio della pandemia. Il calo maggiore si è verificato in Repubblica Ceca (-7,2%), seguita dalla Grecia (-5,9%). Mentre l’aumento maggiore si è registrato in Lettonia (+6,8%) e Lussemburgo (5,3%). L’Italia è il quarto stato membro insieme ai Paesi Bassi con il calo più pronunciato.

-3,4% il salario annuo medio italiano tra 2019 e 2022.

Nel nostro paese i salari medi lordi nel 2019 erano pari a 46.460 dollari a parità di potere d’acquisto, mentre nel 2022 il valore è sceso sotto i 45mila. A differenza della maggior parte degli altri paesi analizzati, in Italia il calo più marcato si è verificato tra 2019 e 2020, quando la variazione è stata pari al -4,8%.

Il salario medio lussemburghese è tre volte quello greco

Il salario medio lussemburghese è tre volte quello greco

I salari medi annui nei paesi Ue (2022)

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DESCRIZIONE

Il Lussemburgo è il paese Ue con i salari medi annui più elevati: quasi 80mila dollari nel 2022. Seguono Belgio, Danimarca, Austria e Paesi Bassi con valori superiori ai 60mila dollari. Ultimi invece i paesi dell’Europa centro-orientale e meridionale, in particolare Grecia, Slovacchia e Ungheria con cifre inferiori ai 30mila dollari l’anno. L’Italia, con un valore pari a circa 45mila, è undicesima in Europa.

DA SAPERE

I dati si riferiscono ai salari medi nel 2022, nei paesi europei membri dell’Ocse (escludendo quindi Romania, Bulgaria, Croazia, Malta e Cipro). Il valore è in dollari convertiti in Ppps (purchasing power parities, una misura che permette di appianare le differenze tra diverse valute) con valore di riferimento al 2021. Per calcolare i valori nazionali, l’Ocse divide la massa salariale totale per il numero medio di impiegati dell’economia totale, che viene poi convertito in unità di full-time equivalenti (calcolati in base alle ore mediamente dichiarate da un impiegato full-time). Non sono disponibili i dati dell’Irlanda.

Sa repressione de sos tirannos sabaudos

Sa repressione de sos tirannos sabaudos

di Francesco Casula

In occasione di Sa Die de sa Sardigna l’Associazione “Assemblea nazionale sarda” (ANS), ha organizzato il 27/28 aprile scorso una serie di belle iniziative a Cagliari. Invitato in una di queste, ho parlato in Piazza Yenne della repressione dei tiranni sabaudi, in particolare alla fine del ‘Settecento e all’inizio dell’Ottocento. Ecco il mio intervento in lingua sarda.

Mescamente a s’acabu de su Setighentos e a su cominzu de s’Otighntos sos tirannos sabaudos iscadenant una repressione contra a sos angioyanos, cun disacatos degoglios e titulias de cada casta.
Tocat peroe de narrere che dae semper, sos sabaudos, dae cando ant ocupadu su Rennu sardu in su 1720, ant semper praticadu sa repressione cruele, de tipu militare.
Amento unu tzertu marchese di Rivarolo chi in tres annos de vitzereame at cundannadu a morte 432 sardos.
Sa resone? O mezus, su pretestu? Su banditismu. E subra custu un’ateru vitzere, Alessandro Doria Del Maro iscriet: ”La causa del male (=banditismo) sta nella natura dei sardi che sono poveri, feroci, ostili alla fatica e dediti al vizio”!
Custa paraula “natura dei sardi” at a torrare a sa fine de s’Otoghentos in sa psichiatria criminale de Niceforo e Lombroso, Sergi e Orano, pro sos cales sos sardos sunt criminales “pro natura”!
Ma fia narende chi est subratotu a pustis su tentativu, zenerosu e eroicu ma isfortunadu de Zuanne Maria Angioy, de liberare sa Sardigna dae s’opressione feudale, chi s’iscadenat sa repressione.
Incomintzant cun duas biddas:
sa ‘e una: Bono, sa bidda nadìa de Angioy;
sa ‘e duas: Thiesi, unu tzentru de su Logudoro, famadu pro sas rebellias e sa resitentzia anti feudale.
Intra su 19 e 20 de triulas 900 ziannitzeros, sos sordados mertzenarios prus crueles, arribant a Bono cun bator cannones, pro la bombardare devastare e derruere.
Pro fortuna sos abitantes avertidos dae sas biddas acante, si nche sunt fuios.
Agantant una femina de 60 annos, paralitica, Maria Ambrogia Soddu: ”Le strappano le mammelle, la violentano e la uccidono”. In custa manera contant su fatu totus sos istoricos de tando. Finas Giuseppe Manno, s’istoricu ufitziale de sos sabaudos at a iscriere: ”Non hanno avuto pietà di una povera disabile”!
Sistemada Bono tocat a Thiesi su degogliu. Su 6 de santu aine de su 1800, arribant dae Tatari, mandados dae su frade minore de Carlo Felice, su duca di Mortiana, 1500 sordados armaos (su prus restos de galera a sos cales aiant promitidu s’amnistia): bochint deghena de thiesinos, brusiant sas domos e violentant sas feminas chi pro si podere defendere sunt custrintas a impreare ispidos arroventados e fustes, grussos e mannos.
Gal’oe, cad’annu Thiesi, su 6 de santu aine, amentat custu eventu, chi jamat “Sa Die de s’atacu”.
Sistemadas sas duas biddas sa repressione s’iscadenat contra a sos patriotas sardos comente a Frantziscu Cillocco e Frantziscu Sanna Corda (unu preideru), chi in su 1802, beninde dae sa Coprsica, in Santa Teresa Gallura, tentant una rebellia pro instaurare in Sardigna una Republica indipendente. O comente a sos martires de Palabanda in su 1812.
Sa fine chi faghent sos reverdes angioyanos est semper sa matessi: benint impicados, nche li segant sa conca chi acorrant in una gabia de ferru chi esponent a s’intrada de sas biddas “come monito”. Sos boias sabaudos, non cuntentos de custa “balentia”, su restu de su cospus l’isperrant in bator lados (comente si faghiat cun s’anzone o su porcu).
No a casu est abarrada in sa limba sarda sa locutzione “Iscuartaradu sias”, su peus irrocu, su peus frastimu chi si potat faghere a una persone.
Chie b’est in segus de custos degoglios e mortorgios? Mesche Carlo “ferotze”. Ma in custa manera no lu jamant sos sardos ma sos piemontesos liberales. Ferotze e “ottuso e famelico”, pro contu de s’istoricu sardu Remundu Carta Raspi.
E un ateru’istoricu, filo sabaudo e filo monarchico comente a Perdu Martini, unu de sos fundadores de s’istoriografia sarda, iscriet” “Carlo Felice era alieno dalle lettere e da ogni attività che gli ingombrasse la mente”! Un pigro imbecille!
Bene, custu cane de istergiu, galu “troneggia” in una de sas mezus pratzas de sa capitale sarda, cun una bell’istatua. Una brigongia manna.
Usque tandem, abutere patientia nostra, comune de Casteddu?