Archivi giornalieri: 5 ottobre 2009

Congedi parentali

Famiglia riunita

Non sempre è facile conciliare famiglia e lavoro e per trovare chi si occupi del bebè prima dell’asilo ci vuole tempo; i nonni spesso abitano altrove, o lavorano ancora, o sono troppo anziani. E poi ci sono sempre gli imprevisti: una malattia del bambino, il pediatra, le vaccinazioni. Dopo il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro, la legge 53 del 2000 ha introdotto i congedi parentali, cioè dei periodi di tempo che danno la possibilità a mamma e papà di astenersi legalmente dal lavoro per stare accanto al figlio.

Mamma che lavora 

Il congedo di maternità (obbligatorio)

Le lavoratrici dipendenti, ma anche quelle con un contratto a progetto e quelle autonome, quando sono in attesa di un bebè hanno l’obbligo di rimanere a casa dal lavoro per un periodo di 5 mesi (da ripartirsi tra pre e post parto). Tuttavia se ci sono complicazioni che possono mettere a rischio la salute della madre o del nascituro, la donna ha diritto ad astenersi dal lavoro con un congedo anticipato (prima del settimo mese). Durante questo periodo si ha diritto a un’indennità di maternità, pari all’80% dello stipendio o del reddito (se si è libere professioniste).


Papà che lavora

 Il congedo parentale (facoltativo)

Dopo il periodo di astensione obbligatoria, i genitori (entrambi o l’uno o l’altro), possono astenersi dall’azienda fino a  che il bambino non compie 8 anni. Questo periodo di lontananza è consentito per un massimo di 10 mesi per coppia, 11 se il padre usufruisce di almeno tre mesi consecutivi. Si può scegliere di prendere i permessi in modo continuativo, oppure di suddividerlo in più parti. L’importante è che tra un congedo e l’altro venga svolta almeno una giornata lavorativa. Durante l’assenza il genitore riceve il 30% del suo stipendio, indennità che viene corrisposta per i primi 6 mesi; per i periodi successivi non si ha più diritto ad alcun compenso. 

 

Parti gemellari

L’articolo 32 della legge dice che “per ogni bambino, nei suoi primi 8 anni, di vita, ciascun genitore…”, quindi i permessi facoltativi vanno rapportati a ogni figlio. In parti plurimi, o adozione di più bambini contemporaneamente, i permessi sono raddoppiati. L’astensione obbligatoria, invece resta sempre di 5 mesi anche in caso di parti gemellari. 

 

Permessi giornalieri

I congedi parentali non vanno confusi con i permessi giornalieri; nel primo anno di vita del piccolo, l’azienda deve consentire alle mamme che lavorano due periodi di riposo, se il lavoro è part-time il riposo è uno solo. I permessi hanno la durata di un’ora ciascuno e danno alla mamma la possibilità di uscire dall’azienda.

 Genitori con bimbo piccolo

Come presentare la domanda

Per avere i vari congedi, bisogna consegnare al proprio datore e all’Inps la domanda compilata su un apposito modulo, disponibile negli uffici Inps o sul sito ufficiale , nella sezione moduli. È necessario allegare il certificato medico per il congedo di maternità; per quello parentale invece, bisogna allegare il certificato di nascita del piccolo. La domanda va inviata per posta o presentata ai Caf. In tutti i casi bisogna avvisare il datore di lavoro, possibilmente con 15 giorni di anticipo, salvo oggettive impossibilità.

Notizie

Ammortizzatori sociali. L’Italia agli ultimi posti

Rischio povertà nell’UE

poveri.jpg

Occupati, ma poveri: accade in Europa e ancora di più in Italia. L’8% dei lavoratori nell’Ue è a rischio povertà, e la percentuale sale al 10% nel nostro Paese, dove l’effetto degli ammortizzatori sociali è tra i più bassi dell’Unione.

Per la prima volta un Rapporto della Commissione europea analizza l’impatto che l’occupazione e le misure di protezione sociale hanno avuto per ridurre la povertà e per migliorare le condizioni di vita dei più vulnerabili. Con la crescita economica è aumentato il tenore di vita, ma sono cresciute anche le disuguaglianze, e la povertà resta un problema che non si è modificato negli anni.

È  a rischio povertà, secondo gli ultimi dati disponibili relativi al 2007, il 17% della popolazione in Ue e il 20% in Italia, dove gli ammortizzatori sociali hanno un impatto molto limitato nel combattere la povertà. I motivi, secondo la Commissione europea, sono da ricercare nel fatto che in Italia non c’è un reddito minimo, considerato uno strumento molto forte di contrasto all’indigenza.

su www.osservatorioinca.org