Archivi giornalieri: 23 dicembre 2008

Età Pensionabile Donne P.I.

Eta’ pensionabile delle donne nel pubblico impiego: cosa dice esattamente la sentenza della Corte europea

È discriminatorio mantenere in vigore un regime pensionistico professionale che consente alle lavoratrici del pubblico impiego di andare in pensione prima degli uomini: per questo il 13 novembre 2008 la Corte di giustizia europea ha condannato l’Italia, che ora dovrà pertanto adeguare le proprie leggi se non vorrà essere soggetta a severe sanzioni.

Un nuovo dossier dell’Osservatorio  spiega cosa dice esattamente la sentenza, e mostra come un eventuale intervento legislativo del Governo non debba necessariamente mirare all’innalzamento dell’età pensionabile delle donne.


L’Europa infatti non mette in discussione la possibilità per uno Stato membro di fissare un’età pensionabile diversa per uomini e donne. Questo diritto è anzi esplicitamente stabilito dalla Direttiva 79/7/CEE del 19 dicembre 1978  relativa alla “graduale attuazione del principio di parità di trattamento tra uomini e donne in materia di sicurezza sociale”.

La Corte di giustizia ha condannato l’Italia, dando quindi ragione alla Commissione europea, poiché ritiene che il sistema previdenziale gestito dall’INPDAP non sia un regime legale del primo pilastro, ma un regime “professionale discriminatorio”,  riguardante cioè solo una specifica categoria di lavoratori (il pubblico impiego appunto), per il quale non sarebbe d’applicazione la Direttiva 79/7/CEE, ma l’art. 141 del Trattato CE  che stabilisce il principio della “parità di retribuzione tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile”.

Nel determinare se una pensione prevista dalla legge, che lo Stato corrisponde ad un ex dipendente, rientri nel campo di applicazione dell’art. 141 CE oppure in quello della direttiva 79/7/CEE, la Corte ha utilizzato infatti tre criteri, ed è su questi che il Governo italiano potrebbe eventualmente intervenire per superare il contenzioso con l’Europa:

1. la pensione interessa soltanto una categoria particolare di lavoratori;

2. è direttamente funzione degli anni di servizio prestati;

3. il suo importo viene calcolato in base all’ultimo stipendio del dipendente pubblico.

Indubbiamente il Governo italiano avrebbe dovuto far valere prima e meglio le proprie ragioni.

È imbarazzante, ad esempio, leggere nella sentenza che la “Repubblica italiana ha risposto con una lettera in data 10 gennaio 2005 – Governo Berlusconi II – alla quale è stata allegata una relazione dell’INPDAP del 23 dicembre 2004” e poi che l’Italia contesta le argomentazioni della Commissione fondate sui contenuti della relazione INPDAP poiché quest’ultima sarebbe in verità “basata su disposizioni precedenti alla messa in mora”.

E sconcerta leggere che “il 18 luglio 2005 – Governo Berlusconi III – la Commissione ha inviato alla Repubblica italiana una lettera di costituzione in mora alla quale tale Stato membro non ha risposto”.

In sostanza, il Governo italiano produce una relazione ormai superata, chiede di non tener conto della documentazione la lui stesso prodotta e non risponde alla lettera ufficiale di costituzione in mora.

Il Governo italiano non ha saputo spiegare, inoltre, che le donne del settore pubblico, così come quelle del settore privato, non sono “costrette” al pensionamento al raggiungimento dei 60 anni: la parità di trattamento è garantita infatti dalla possibilità per la donna di lavorare fino a 65 anni, fatta salva la possibilità di scegliere di anticipare il pensionamento a 60 anni. Non a caso questa disposizione è stata introdotta proprio con la legge 903 del 1977 sulla parità.

(Dicembre 2008)

 

 

Per saperne di più:

Dossier dell’Osservatorio INCA CGIL per le politiche sociali in Europa  (dicembre 20085)

Sentenza della Corte europea del 13 novembre 2008   (IT)

Ricorso presentato dalla Commissione europea il 1 febbraio 2007  (IT)