Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale Sentenza 73/2024 Impiego pubblico – Dipendenti degli enti pubblici economici appartenenti al ruolo professionale legale – Indennità di anzianità – Esclusione dalla base di calcolo delle competenze

Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale Sentenza 73/2024 Impiego pubblico – Dipendenti degli enti pubblici economici appartenenti al ruolo professionale legale – Indennità di anzianità – Esclusione dalla base di calcolo delle competenze

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La Corte si pronuncia nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 13 della legge 20 marzo 1975, n. 70 (Disposizioni sul riordinamento degli enti pubblici e del rapporto di lavoro del personale dipendente), promosso dal Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza del 5 aprile 2023, iscritta al n. 86 del registro ordinanze 2023 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell’anno 2023. In particolare il Tribunale ordinario di Roma ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13 della legge 20 marzo 1975, n. 70, nella parte in cui, nell’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità assurta a diritto vivente, non consente che la quota delle competenze e degli onorari giudizialmente liquidati in favore degli enti pubblici non economici e attribuita, ai sensi dell’art. 26, quarto comma, della stessa legge, agli appartenenti al ruolo professionale legale da essi dipendenti, sia computata, neanche in parte, nel calcolo dell’indennità di anzianità a costoro spettante. L’indennità di anzianità, al pari dell’indennità di buonuscita per i dipendenti civili e militari dello Stato disciplinata dal d.P.R. n. 1032 del 1973, e l’indennità premio di servizio per i dipendenti degli enti locali di cui alla legge n. 152 del 1968, si inscrive, pertanto, nel novero dei trattamenti di fine servizio per i dipendenti pubblici – come il resistente nel giudizio principale – soggetti alla disciplina, di matrice pubblicistica, anteriore alla privatizzazione del pubblico impiego. Successivamente, all’interno della sezione lavoro della Corte di Cassazione si è delineato un orientamento di segno contrario. Il contrasto interpretativo è stato composto dalle Sezioni unite civili con la sentenza n. 7158 del 2010, la quale, ha enunciato il principio di diritto secondo il quale l’art. 13 della legge n. 70 del 1975 di riordinamento degli enti pubblici non economici e del rapporto di lavoro del relativo personale detta una disciplina del trattamento di quiescenza o di fine rapporto – rimasta in vigore, pur dopo la contrattualizzazione dei rapporti di pubblico impiego, per i dipendenti in servizio alla data del 31 dicembre 1995 che non abbiano optato per il trattamento di fine rapporto di cui all’art. 2120 cod. civ. – non derogabile, neanche in senso più favorevole ai dipendenti, costituita dalla previsione di un’indennità di anzianità pari a tanti dodicesimi dello stipendio annuo in godimento quanti sono gli anni di servizio prestato. Rimane rimessa all’autonomia regolamentare dei singoli enti solo l’eventuale disciplina della facoltà, per il dipendente, di riscattare, a totale suo carico, periodi diversi da quelli di effettivo servizio. Deve ritenersi esclusa la computabilità di voci retributive diverse dallo stipendio tabellare. La giurisprudenza successiva ha dato continuità a tali enunciazioni Tutto ciò premesso, nel merito, la questione di legittimità costituzionale sollevata in riferimento all’art. 3 Cost., sotto i diversi profili dedotti, non è fondata. Deve, anzitutto, escludersi che la nozione di stipendio assunta dalla disposizione in esame a parametro di calcolo dell’indennità di anzianità così come ricostruita dalla giurisprudenza di legittimità, continuando ad ancorare la determinazione dell’indennità di anzianità «ad un dato formale del 1975», senza che su di essa possa incidere la contrattazione collettiva, alla quale, tuttavia, nell’attuale contesto la stessa legge attribuisce «il dominio […] sugli assetti dei trattamenti economici», riveli una intrinseca irrazionalità. La regola espressa dall’art. 13 della legge n. 70 del 1975 non può essere derogata dalla fonte regolamentare, né dall’autonomia collettiva. Per quanto riguarda il trattamento di quiescenza, la disciplina dell’indennità di anzianità, come ricordato, è quasi integralmente compendiata nell’art. 13 della legge n. 70 del 1975, posto che alla fonte regolamentare è rimessa la definizione di soli aspetti marginali – e, in particolare, del riscatto degli anni di servizio ai fini del computo del trattamento –, mentre non viene riconosciuta alcuna competenza alla contrattazione collettiva. La predeterminazione legale delle modalità di calcolo del trattamento di quiescenza risponde ad esigenze di controllo e di prevedibilità della spesa pubblica. Ciò posto, la qualificazione giuridica cristallizzatasi nel diritto vivente oggetto di censura valorizza congruamente le specificità connotative del termine «stipendio» impiegato nell’art. 13 della legge n. 70 del 1975, il quale non può essere considerato come sinonimo di retribuzione, ma deve essere inteso nella sua specifica valenza assunta nel contesto della legge di riforma del parastato e, più in generale, nella disciplina del pubblico impiego. Tale sistema di calcolo, essendo ancorato, a vantaggio del lavoratore, allo stipendio dell’ultimo anno di servizio («all’atto della cessazione dal servizio»), non è compatibile con il conteggio di componenti retributive variabili, posto che tali emolumenti, nell’annualità assunta a parametro, non necessariamente potrebbero essere stati percepiti dall’interessato. Gli elementi che, alla stregua della disciplina positiva, accomunano i trattamenti di fine servizio sopra indicati all’indennità di anzianità vanno, dunque, individuati nella predeterminazione legale e nella tassatività delle componenti retributive utili al loro calcolo. A tale riguardo, la giurisprudenza amministrativa afferma costantemente che «per stabilire l’idoneità di un certo compenso a far parte della base contributiva dell’indennità di buonuscita non rileva il carattere sostanziale dello stesso (ossia se abbia o meno natura retributiva), ma esclusivamente il dato formale: vale a dire il regime impresso dalla legge a ciascun emolumento» Disciplina «esaustiva, non concorrente ed incompatibile con deroghe provenienti dalla privata autonomia, in quanto espressione di un regime pubblicistico, improntato alla cura di interessi generali, che si correlano all’onere sopportato dalla finanza pubblica». La Corte ha chiarito che la retribuzione contributiva alla quale si commisura tale trattamento è costituita dai soli emolumenti testualmente considerati dall’art. 11, quinto comma, della legge n. 152 del 1968, la cui elencazione ha carattere tassativo. L’art. 2, commi 5 e 7, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare) ha, infatti, previsto che, per i dipendenti assunti dal 1° gennaio 1996, i trattamenti di fine servizio, comunque denominati, sarebbero stati regolati in base a quanto previsto dall’art. 2120 cod. civ., in materia di trattamento di fine rapporto, mentre per i dipendenti già occupati alla data del 31 dicembre 1995 – termine poi prorogato al 31 dicembre 2000 dall’art. 1, comma 1, lettera b), del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 2 marzo 2001 (Trattamento di fine rapporto e istituzione dei fondi dei pubblici dipendenti) – erano rimesse alla contrattazione collettiva nazionale le sole modalità per l’applicazione della disciplina, di fonte legislativa, del trattamento in materia di fine rapporto. La Corte ha, infatti, chiarito che «il fatto che alcuni dipendenti delle pubbliche amministrazioni godano del trattamento di fine servizio ed altri del trattamento di fine rapporto è conseguenza del transito del rapporto di lavoro da un regime di diritto pubblico ad un regime di diritto privato e della gradualità che, con specifico riguardo agli istituti in questione, il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, ha ritenuto di imprimervi» (sentenza n. 244 del 2014). Non deve, infatti, trascurarsi che, come osservato da questa Corte, gli avvocati dipendenti degli enti pubblici costituiscono un unicum e pertanto non possono essere paragonati ad altre categorie di dipendenti (sentenza n. 33 del 2009). In definitiva, il diverso status giuridico ed economico delle categorie di lavoratori poste a raffronto inficia il giudizio di comparazione richiesto dal rimettente (sentenza n. 200 del 2023). La disciplina dei trattamenti di fine servizio anteriore alla privatizzazione del pubblico impiego è caratterizzata dalla preminenza della fonte legale, la quale si coniuga con l’indole pubblicistica del rapporto di lavoro non contrattualizzato e risponde ad esigenze di razionalizzazione e di chiarezza, di prevedibilità e di controllabilità della spesa pubblica. Va, inoltre, ribadito che, in tale contesto normativo, spetta alla discrezionalità del legislatore individuare, nel rispetto del principio di eguaglianza e delle garanzie sancite dall’art. 36 Cost., la base retributiva delle singole indennità di fine servizio nonché i modi e la misura delle stesse (sentenze n. 278 del 1995, n. 243 del 1993, n. 151 del 1976 e n. 251 del 1974). Tanto premesso, l’interpretazione della Corte di cassazione, secondo la quale la “quota onorari”, riconosciuta dall’art. 26, quarto comma, della legge n. 70 del 1975 agli avvocati degli enti pubblici non economici, non rientra nella nozione di retribuzione fondamentale, non determina la violazione dell’art. 36 Cost. Secondo la giurisprudenza di legittimità, tali competenze costituiscono un’attribuzione di carattere accessorio e variabile che si aggiunge alla retribuzione contrattuale (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze 11 dicembre 2018, n. 31989; 5 luglio 2017, n. 16579). Indici rivelatori del carattere premiale degli onorari in disamina si rinvengono anche nella disciplina riguardante i legali degli enti locali, i quali condividono con gli avvocati dipendenti degli altri enti pubblici la matrice normativa. Il carattere di retribuzione ordinaria dell’emolumento in esame non può trarsi neppure dalla sua pur significativa entità rispetto alla retribuzione complessiva. La Corte ha, in particolare, osservato che le cosiddette propine spettanti agli avvocati e ai procuratori dello Stato sono di natura variabile «perché dipendenti dalla sorte del contenzioso» ed hanno carattere premiale (sentenza n. 128 del 2022) e non intaccano lo stipendio tabellare, che costituisce il nucleo del profilo retributivo della categoria interessata (sentenza n. 236 del 2017). Alla luce delle considerazioni che precedono, le questioni devono, pertanto, essere dichiarate non fondate.

 

Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale Sentenza 73/2024 Impiego pubblico – Dipendenti degli enti pubblici economici appartenenti al ruolo professionale legale – Indennità di anzianità – Esclusione dalla base di calcolo delle competenzeultima modifica: 2024-05-02T19:07:18+02:00da vitegabry
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