Archivi giornalieri: 14 ottobre 2023

San Callisto I

 

San Callisto I


San Callisto I

autore: scuola lombarda anno: XVII sec titolo: San Callisto I luogo: Pinacoteca Ambrosiana
Nome: San Callisto I
Titolo: Papa e martire
Nascita: II secolo , Roma
Morte: 222, Roma
Ricorrenza: 14 ottobre
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione

Il nome di questo grande Papa è celebre per il cimitero che da lui prende il nome. Sulla porta d’ingresso sta scritto: « Chi entra in questo cimitero contrito e confessato, otterrà la remissione dei peccati per i meriti di centosettantamila martiri qui sepolti con 46 Papi morti per Gesù Cristo ».

Catacombre di San Callisto

Catacombre di San Callisto

Il suo nome, che deriva dal greco, significa « bellissimo » e ben gli conveniva per le sue rare doti e per le belle opere che seppe compiere. Romano, di famiglia patrizia, egli nacque in Trastevere nel luogo detto « Urbs Ravennatum », quartiere dei « Ravennati », perchè ivi avevano avuto la loro dimora marinai e militari che l’imperatore Augusto richiamò a Roma dalla città di Ravenna. S. Callisto successe a S. Zeffirino sulla cattedra di S. Pietro l’anno 220 e resse la Chiesa per cinque anni e due mesi.

Oltre le catacombe da lui abbellite ed ingrandite, altre tre opere resero glorioso il suo pontificato: la basilica di S. Maria in Trastevere, il digiuno stabilito nelle Quattro Tempora ed il luminoso suo martirio.

Si racconta che a Roma, in Trastevere, in un giorno di Natale sia prodigiosamente scaturita una fonte d’olio che zampillò per un giorno intero. Per tale fatto si radunavano numerosi i Cristiani per celebrare i santi misteri. Ma molti signori, approfittando di questi raduni, pensarono di aprirvi bettole, dove i Cristiani erano continuamente disturbati. Morto l’imperatore Eliogabalo e succedutogli Alessandro Severo, sembrò opportuno ai Cristiani ricorrere a lui dopo aver pregato inutilmente quegli osti di togliere le loro bettole. Gli esercenti fecero anch’essi ricorso, ma l’imperatore, esaminata attentamente la questione, disse: « Qual è quel Dio che colà volete adorare? ». Gli fu risposto: « Il Dio dei Cristiani ». « Certo, soggiunse l’imperatore, è meglio che quel luogo sia destinato al culto di qualsiasi Dio, che dato in potere degli osti ». E questi ultimi dovettero ritirarsi e lasciar liberi i Cristiani. A tale notizia S. Callisto provò tanta gioia che, per gratitudine a Dio, volle erigere in quel luogo la prima chiesa ad onore della Gran Madre di Dio.

A S. Callisto si attribuisce la proibizione del matrimonio tra i consanguinei; confermò le Quattro Tempora, e convertì il console Palmazio e i due senatori Felice e Simplicio. Questa sua attività gli attirò l’odio dei pretoriani che lo uccisero gettandolo in una cisterna. I Cristiani ne presero il corpo e lo seppellirono sotto l’altare di S. Maria in Trastevere.

PRATICA. impariamo da questo grande Papa a suffragare ed a rispettare i poveri morti.

PREGHIERA. O Dio, che ci allieti con l’annua solennità del tuo beato martire e Pontefice Callisto, concedici propizio che come ne celebriamo la festa così usufruiamo della sua protezione.

MARTIROLOGIO ROMANO. San Callisto I, papa, martire: da diacono, dopo un lungo esilio in Sardegna, si prese cura del cimitero sulla via Appia noto sotto il suo nome, dove raccolse le vestigia dei martiri a futura venerazione dei posteri; eletto poi papa promosse la retta dottrina e riconciliò con benevolenza i lapsi, coronando infine il suo operoso episcopato con un luminoso martirio. In questo giorno si commemora la deposizione del suo corpo nel cimitero di Calepodio a Roma sulla via Aurelia.

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Oggi 14 ottobre si venera:

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VOGLIONO UCCIDERE LA STORIA!

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di Francesco Casula

Una società (e una civiltà) tutta concepita e vissuta sull’hinc e nunc (Qui ed ora) e su un apprendimento solo orizzontale e viepiù appiattito, soprattutto sulla rete, in cui si naviga di link in link e quindi viene meno quell’approfondimento verticale che è alla base di ogni conoscenza, considera ormai la storia un utensile inutile e inservibile.
La pensa così anche la politica: nel 2022 il governo, nel quadro della sua più volte conclamata «nuova attenzione alla scuola», ha deciso di eliminare dalle prove dell’esame di Stato il tema di storia. In tal modo la storia viene declassata a cenerentola delle discipline scolastiche, se ormai la società civile nel suo complesso ritiene possibile farne a meno, come sembra non solo dalla recente decisione governativa, ma anche da moltissimi altri segni che vanno appunto dalla scuola all’editoria e alla vita civile in genere.
Evidentemente non comprendendo che senza memoria storica le società, e in particolare la nostra moderna società occidentale, siano candidate alla autodistruzione. Se non a quella fisica: certamente a quella morale e culturale.
La storia infatti serve certo a conoscere il passato: ma in funzione del presente e nella prospettiva del futuro. Davanti alle grandi crisi che ci aspettano e che dovremo affrontare, (dalle guerre alle disuguaglianze crescenti, territoriali e sociali, al riscaldamento del pianeta e alla questione energetica a), se non si hanno modelli desunti dal passato su cui riflettere non si può costruire nessuna ipotesi di sviluppo nel presente e nel futuro.
La maggior parte dei giovani, alla fine del secolo, è cresciuta in una sorta di presente permanente, nel quale manca ogni tipo di rapporto organico con il passato storico del tempo in cui essi vivono.
“Il lavoro degli storici, il cui compito è ricordare ciò che altri dimenticano, è ancora più essenziale ora di quanto mai lo sia stato nei secoli scorsi”: nel suo lavoro più conosciuto Il Secolo breve, Eric Hobsbawm, il grande storico inglese, parlava così. Erano gli anni Novanta, e si iniziava a fare i conti con quel “Secolo breve” che stava cambiando radicalmente, secondo lo storico, il modo in cui l’uomo si relazionava al progresso e al proprio futuro. La necessità palesata da Hobsbawm è oggi passata sotto silenzio: scegliere di privare i giovani degli strumenti essenziali di lettura della realtà storica vuol dire privarli della possibilità di scegliere e determinare il loro futuro. La storia infatti è il presente che in qualche modo è già stato sperimentato, analizzato e vissuto: senza di esso, siamo come ciechi senza una guida. la storia serve a impadronirsi sempre più della nostra vita presente e futura; la storia serve a farci sentire e ad essere in realtà più liberi.
Dunque la storia non serve soltanto a divenire un po’ più colti, quindi un po’ meno ignoranti. Serve per saper “leggere” e interpretare la realtà, i fatti gli accadimenti: a tal fine la storia, che già per Cicerone era magistra vitae, non costituisce una semplice raccolta di fatti, date o nomi noiosissimi da imparare, come le genealogie dei carolingi o merovingi o il numero di battaglie vinte da Napoleone e Cesare o le date esatte di una serie indefinita di eventi: insomma l’equivalente di un concorso a quiz.
Al contrario la storia serve per conoscere il passato del mondo, la sua struttura geografica, gli eventi sociali, l’arte e la religione, la filosofia, l’economia, le scienze.
Liberissimo il governo di ritenere che i ragazzi debbano studiare solo cose utili. Ma, chiediamoci, utili a chi? Utili a che cosa? Utili a tranquillizzare le scarse e distratte opinioni delle famiglie che spesso vogliono inserirsi nei programmi scolastici senza capirne un accidente? Utili forse ai ragazzi stessi, molti dei quali sembrano credere che, nelle migliori delle ipotesi, si va a scuola solo per cercare di imparare un mestiere più redditizio, qualcosa che serva a far subito soldi?
Ma allora se la storia è inutile, magari come il greco o il latino o la musica e l’arte, o la poesia e la letteratura, che cosa mai sarà utile? L’inglese? L’informatica? O quale altra materia?
La verità è che la scuola non può essere impostata in modo utilitaristico, né secondo le mode e i gusti del tempo, ma deve essere impostata in modo formativo..
Dobbiamo essere consapevoli che la storia, il passato non è mai del tutto passato ma è ancora e sempre presente, nei suoi riverberi nell’oggi: E comunque la storia è la radice del nostro essere, della nostra realtà e identità collettiva e individuale: nessun individuo come nessun popolo può realmente e autenticamente vivere senza la conoscenza e coscienza della sua identità, della sua biografia, dei vari momenti del suo farsi capace di ricostruire il suo vissuto personale.
Sostiene Umberto Eco nel suo monumentale romanzo L’Isola del giorno prima: “Io sono memoria di tutti i miei momenti passati, la somma di tutto ciò che ricordo”. Mentre Benedetto Croce a chi gli chiedeva cosa sia il carattere di un popolo rispose che “Il carattere di un popolo è la sua storia, tutta la sua storia”. Parole non nuove – ricorda Corrado Augias in I segreti d’Italia – più volte ripetute, fra gli altri da Ugo Foscolo, che nell’orazione inaugurale all’Università di Pavia (22 gennaio 1809) conosciuta con il titolo Dell’origine e dell’ufficio della letteratura ammoniva: “Vi esorto alle storie…”
E l’afgano Khaled Hosseini, nel suo primo romanzo di grande successo Il cacciatore di aquiloni, scrive che: “Non è vero come dicono molti che si può seppellire il passato. Il passato si aggrappa con i suoi artigli al presente”.
E dunque, se non è una scempiaggine, è per lo meno un’ingenuità ritenere che il passato sia passato del tutto o stia sepolto o per lo meno fermo nella teca del tempo. Al passato, anche il più gravoso – certo se ne abbiamo la forza e la capacità –, può essere restituita energia, fino a farne sprizzare fuori qualcosa di utile non solo per il presente ma anche per il futuro.