Archivi giornalieri: 8 ottobre 2023

CONNOSCHERE SU TEATRU IN LIMBA SARDA: Berto Cara (1906 – 1964)

CONNOSCHERE SU TEATRU IN LIMBA SARDA: Berto Cara (1906 – 1964)

di Francesco Casula

Berto (Filiberto) Cara nasce a Barisardo, il 12 aprile 1906. Finito il ginnasio, impossibilitato a proseguire gli studi per motivi economici, viene assunto come impiegato nelle Poste nel suo paese. Verrà poi trasferito a Mamoiada e, quindi, ad Orotelli, dove nel 1925 conosce e poi sposerà Salvatora Pintori, la madre dei suoi 5 figli.
Il giovane Cara, intanto, continua a pubblicare poesie, novelle, atti unici, riflessioni varie sulla società sarda, saggi di critica letteraria in diversi giornali dell’Isola e della Penisola. In questa sede ci interessano solo le sue opere teatrali e dunque ricorderemo Sa Lampana, dragma in tres actos, pubblicata nel 1929.
Sa Lampana è scritta in sardo-nuorese. A questo proposito Tonino Loddo, valente studioso di Berto Cara, ricorda che esso scrisse l’opera,”più che per i cosiddetti istruiti, principalmente per il popolo, per il popolo sardo, che non ha ancora una letteratura o, meglio, un teatro suo proprio. Or ecco – sostiene Cara – perché ho anche preferito scrivere la triste storia di Manzela e di Stene Mura in dialetto, e nel loro dialetto, anziché in lingua italiana o anche semplicemente logudorese. Il mio lavoro è scritto nella lingua della taciturna Barbagia, alla quale lo dedico e consacro come una primizia del genere”.
Nel tempo libero dagli impegni di lavoro, Cara si dedica allo studio, nel tentativo di realizzare un suo antico sogno: laurearsi in Lettere.
Nel 1936 riesce a fare il primo passo in tale direzione, ottenendo a Cagliari il diploma magistrale.
Nello stesso anno scriverà Marytria, la sua opera teatrale più importante. Questa appena pubblicata, verrà ritirata dalla circolazione con un decreto della censura fascista, perché vi comparirebbero alcune figure con connotazioni ritenute offensive per il regime: ad iniziare da Nanni Dore, il podestà di Araè. Questi invaghitosi della sorellastra Marytria Albais, con prepotenza e brutalità, approfittando del suo ruolo politico e amministrativo, condanna al confino Badore ‘e Ligios il giovane poeta amante di Marytria, da cui aspetta un figlio segreto, In tal modo pensa di eliminare il suo competitore.
A parte questo, di per sé si tratta di un’opera “antifascista” se pensiamo che già nella prefazione al testo, in evidente polemica col divieto fascista della lingua sarda, Berto Cara scriveva: Custa limba podet esprimere totu sos sentimentos, finzas sos pius tragicos e soberanos. E custa limba tantu donosa, meritat abberu sa morte e s’esiliu?
Commenterà Francesco Masala: Il fascismo non riuscì a eliminare il bilinguismo e neppure riuscì a eliminare dalle scene sarde, le antiche farse in limba, esse continuarono ad essere allestite nelle filodrammatiche parrocchiali nei villaggi di Sardegna.
Nel 1947 partecipa e vince il Concorso per Direttore didattico: gli verrà assegnata la sede di Orbetello. Nel 1948 da Cagliari si trasferisce a Siena.
Giunto in Toscana, per prima cosa, il Cara pone mano alla versione italiana di Marytria il cui titolo modifica in Paska che conserva però alla lettera lo svolgimento scenico di Marytria.
Lavora, contestualmente, alla redazione del suo primo romanzo, Dio non si cura dei funghi. Contemporaneamente, apre un’intensa e lunga collaborazione poetica con la prestigiosa rivista sarda S’Ischiglia, fondata da Angelo Dettori, che nella sua lunga storia ospiterà e sarà palestra di una buona parte dei poeti in lingua sarda, strumento indispensabile perché la stessa continui a vivere anche nei momenti più difficili.
Dopo quindici anni egli si trasferirà a Grosseto dove morirà il 31 luglio 1964. Per sua volontà le spoglie furono riportate in Sardegna, precisamente a Cagliari, dove riposano nel monumentale cimitero di Bonaria.

Quando a scuola si insegnava la lingua sarda

Con Daniele Altieri Giuseppe Melis Giordano Antonio Appeddu Brigida Carta Giampiero Casula Eliano Cau

QUANDO A SCUOLA SI INSEGNAVA LA LINGUA SARDA.

Pochi sanno che c’è stato un periodo della nostra storia in cui a scuola si insegnava la cultura, la storia e la lingua sarda. Paradossalmente proprio durante i primi anni di quel regime, che poi sarebbe stato il nemico più brutale e feroce nei confronti di tutto quello che atteneva al locale e alla specificità sarda.
Siamo negli anni 1922–1924 quando il valente e avveduto pedagogista Giuseppe Lombardo Radice, alle dirette dipendenze dell’allora ministro della Pubblica Istruzione Giovanni Gentile, come direttore generale dell’Istruzione primaria e popolare, provvide alla stesura dei programmi ministeriali per le scuole elementari, prevedendo fra le altre anche l’uso delle lingue regionali nei testi didattici per le scuole con il programma Dal dialetto alla lingua, nel rispetto delle differenze storiche degli italiani e per facilitare l’apprendimento e lo sviluppo intellettuale degli scolari, partendo dalla lingua viva: a questo proposito rimando alle sue magistrali Lezioni di Didattica, (l’ultima edizione, in versione anastatica, è del 1970).
In seguito all’approvazione dei nuovi Programmi per le scuole elementari (17 novembre 1923) in Sardegna furono adottati per l’anno scolastico 1924-25 testi scolastici di vari autori ma uno in particolare, Sardegna-Almanacco per ragazzi di Pantaleo Ledda.
Con questo sussidiario nelle scuole primarie della nostra Isola irrompeva l’intero universo culturale sardo: dalla cultura materiale e dalle risorse e attività economiche e produttive (agricoltura, pastorizia, miniere, pesca, saline, acque termali) alla cultura immateriale (letteratura in primis); dalla geografia alla storia: dalle origini alla civiltà nuragica alle invasioni straniere. Con gli uomini sardi più famosi :da Amsicora a Mariano IV, da Eleonora d’Arborea a Leonardo d’Alagon; da Giovanni Maria Angioy a Gianbattista Tuveri; da Grazia Deledda e Montanaru. Ma anche da uomini (poeti, scrittori, storici, letterati, vescovi e giuristi, scienziati e medici) meno conosciuti ma ugualmente illustri e che comunque hanno fatto la storia della Sardegna, arricchendola con la loro opera.
Catalogati per singole città e paesi nativi, e ricordati in brevi ritratti, i Sardi li conoscono oggi quasi esclusivamente perché hanno loro intitolato qualche via, piazza o qualche scuola: penso a Sigismondo Arquer (l’intellettuale cagliaritano vittima dell’Inquisizione e condannato al rogo in Spagna), o penso a Vincenzo Sulis e a Domenico Millelire, due dei protagonisti nella lotta vittoriosa contro i Francesi nel 1793. O penso ancora al bosano Nicolò Canelles che introdusse la stampa in Sardegna; al medico di Arbus Pietro Leo, che contribuì grandemente alla rigenerazione della medicina sarda; allo storico Pietro Martini, uno dei fondatori della storiografia isolana; all’archeologo e linguista ploaghese Giovanni Spano (autore di un dizionario sardo-logudorese); all’oristanese Salvator Angelo de Castro, che si adoperò per l’istituzione delle scuole elementari in molti comuni della Sardegna. E a tanti altri ricordati in questo sussidiario.
Insieme alla storia, la protagonista assoluta del libro di Pantaleo Ledda è la lingua sarda: nelle sue varianti e varietà ma anche nelle Isole alloglotte (è presente il Gallurese come il Sassarese). Il Sardo viene utilizzato nelle poesie: ad ogni stagione ne viene dedicata una. Ma anche nelle preghiere e nei precetti, nelle canzoni e canzoncine, nei proverbi e nei motti, negli scongiuri e nei dicius, negli scioglilingua,nelle cantilene e nelle ninne nanna, nei giochi, negli indovinelli e nelle leggende. Ad esprimere una vastissima e ricchissima tradizione culturale, soprattutto orale, una saggezza antica che ha sostenuto e guidato i sardi nella loro millenaria storia.
Con la storia e la lingua sarda sono presenti le città, le località e i paesi sardi: con le feste e le sagre, i costumi e i riti. E le attività produttive, specie quelle legate alla campagna e all’agricoltura: con l’aratura e la semina, la fienagione,la mietitura e la trebbiatura, la raccolta delle ortaglie, la vendemmia e la panificazione. Ma anche la pesca: soprattutto del tonno. Il sussidiario rappresenta così per gli scolari del triennio delle elementari una vera e propria full immersione nelle cultura locale e nella sua economia.
Purtroppo questa ventata liberalizzatrice di lingua e cultura locale durò pochissimo: con il consolidarsi del regime fascista specie dopo l’assassinio di Matteotti, inizia a prevalere l’enfasi unificatrice, omologatrice e livellatrice tanto che fu avviata un’azione repressiva nei confronti degli alloglotti e, per quanto ci riguarda, della lingua e cultura sarda: fu vietato non solo l’uso della lingua sarda ma le stesse gare poetiche estemporanee. Anzi, il Fascismo ben presto, ad iniziare dagli anni trenta, imboccata la strada dell’imperialismo e dell’autarchia, tenterà di cancellare il concetto stesso di civiltà regionale e di regione e abolirà l’uso del Sardo, in nome dell’italianità, minacciata a suo dire da tutto quanto era “locale”.
Sul’uso del Sardo abbiamo una vasta eco in una polemica scoppiata nel 1933 fra un certo Gino Anchisi, giornalista dell’Unione Sarda e il nostro grande poeta Montanaru, in occasione della pubblicazione dei suoi Sos cantos de sa solitudine. In un articolo Anchisi esortava Montanaru a scrivere in Italiano perché un poeta come lui aveva diritto a un pubblico più vasto. E concludeva affermando che la poesia dialettale era anacronistica, roba d’altri tempi e come tale andava relegata nel regno d’oltretomba.
Montanaru rispondeva, sullo stesso giornale, affermando che i rintocchi funebri per la fine dei dialetti, da qualunque parte venissero, erano per lo meno immaturi. Seguiva la replica dell’Anchisi che ribadiva l’anacronismo e la fine dei dialetti e della regione: Morta o moribonda la regione, è morto o moribondo il dialetto.
Scriverà Cicitu Masala: E’ morto il fascismo ma la lingua sarda, bene o male continuò a vivere. E quel sussidiario di Pantaleo Ledda, un vero e proprio frutto fuori stagione, rivisitato e depurato della retorica patriottarda e italocentrica del Fascismo, sarebbe ancora utile, anche per l’apprendimento della lingua sarda.

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