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AranSegnalazioni
Newsletter del 1/7/2019
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Attività istituzionale dell’Agenzia
Pubblicazioni e Statistiche
Aggiornamento delle elaborazioni statistiche sulle retribuzioni medie pro-capite per compartoSono state pubblicate, nella sezione Pubblicazioni e Statistiche, gli aggiornamenti delle elaborazioni sulle retribuzioni medie pro-capite di comparto, distinte in retribuzione fissa e retribuzione accessoria, secondo le risultanze provenienti dal Conto annuale RGS, per l’anno 2017.

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Sezione Giuridica
Corte Costituzionale
Sentenza n. 146 del 19/6/2019
Pubblico impiego – trattamento giuridico ed economico di dipendenti pubblici – competenze esclusive del legislatore statale – illegittimità costituzionale dell’art. 2 legge regione Campania n. 20/2002 e art. 1 comma 1 legge n. 25/2003  

Segnalazione da U.O. Monitoraggio contratti e legale
La Corte dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2 della legge n. 20/2000 e dell’art. 1 comma 1 della legge n.25/2003 della regione Campania che istituivano fondi aggiuntivi per finanziare le indennità da versare al personale comandato o distaccato in servizio presso uffici di diretta collaborazione e supporto ai Presidenti di commissione, membri dell’ufficio di presidenza e dei gruppi consiliari, e per il personale in servizio presso le strutture organizzative del Consiglio regionale. Si tratta di fondi illegittimi perché istituiti dalla regione “Al di fuori di quanto previsto dalle fonti normative costituzionalmente previste (legge statale e contratti collettivi di comparto), quindi illegittimi perché lesivi della competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile – art. 117 secondo comma lettera l, Cost. – e degli equilibri complessivi della finanza pubblica e della sostenibilità del debiti, di cui lo stato è garante e custode ex art. 81 e 97 primo comma Cost.“. Dicono i giudici “Le norme regionali hanno introdotto la previsione di un nuovo trattamento economico accessorio per il personale regionale che, oltre a non essere coerente con i criteri indicati dai contratti collettivi di comparto, è innanzi tutto in contrasto con la riserva di competenza esclusiva assegnata al legislatore statale dall’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. in materia di ordinamento civile. A questa materia, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 175 e n. 72 del 2017; n. 257 del 2016; n. 180 del 2015; n. 269, n. 211 e n. 17 del 2014), deve ricondursi la disciplina del trattamento giuridico ed economico dei dipendenti pubblici e quindi anche regionali, «retta dalle disposizioni del codice civile e dalla contrattazione collettiva» nazionale, cui la legge dello Stato rinvia (sentenza n. 196 del 2018). Non è superfluo rimarcare che lo spazio della contrattazione decentrata e integrativa, individuato dall’art. 40, comma 3-bis, del d.lgs. n. 165 del 2001 come sede idonea per la destinazione di risorse aggiuntive relative al trattamento economico accessorio collegato alla qualità del rendimento individuale, è uno spazio circoscritto e delimitato dai contratti nazionali di comparto. La contrattazione non potrà che svolgersi «sulle materie, con i vincoli e nei limiti stabiliti dai collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono». Come questa Corte ha recentemente evidenziato «[i] due livelli della contrattazione sono […] gerarchicamente ordinati, in specie nel settore del lavoro pubblico, poiché solo a seguito degli atti di indirizzo emanati dal Ministero e diretti all’ARAN per l’erogazione dei fondi, secondo quanto previsto dalla contrattazione collettiva nazionale, può aprirsi la sede decentrata e sotto-ordinata di contrattazione» (sentenza n. 196 del 2018)”.Vai al documento

Corte Costituzionale
Sentenza n. 154 del 21/6/2019
Pubblico impiego – trattamento giuridico ed economico di dipendenti pubblici – competenze esclusive del legislatore statale – illegittimità costituzionale dell’art. 2 della legge n. 21/2018 della regione Sardegna  

Segnalazione da U.O. Monitoraggio contratti e legale
L’ art. 2 della legge n. 21/2018 (Disciplina del personale regionale e dell’organizzazione degli uffici della Regione) della regione Sardegna stabilisce che “Al personale non dirigente preposto al coordinamento delle Unità di cui al comma 1 – (Unità di progetto per il conseguimento di obiettivi specifici) è riconosciuta una indennità aggiuntiva equiparata alla retribuzione di posizione spettante al direttore di servizio e alla relativa retribuzione di risultato commisurata al raggiungimento degli obiettivi.” Dicono i giudici “La disposizione dispone l’attribuzione di un’indennità aggiuntiva ai dipendenti che, pur non in possesso della qualifica dirigenziale, siano incaricati di coordinare le suddette Unità di progetto. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, a seguito della privatizzazione del rapporto di pubblico impiego, la disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione è retta dalle disposizioni del codice civile e dalla contrattazione collettiva (tra le ultime, sentenze n. 62 e n. 10 del 2019). In particolare, dall’art. 2, comma 3, terzo e quarto periodo, del d.lgs. n. 165 del 2001, emerge il principio per cui il trattamento economico dei dipendenti pubblici è affidato ai contratti collettivi. Anche la posizione dei dipendenti regionali è attratta dalla citata disciplina del trattamento economico e giuridico dei dipendenti pubblici, ai sensi dell’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001. Di conseguenza, il rapporto di impiego dello stesso personale delle Regioni è regolato dalla legge dello Stato e, in virtù del rinvio da questa operato, dalla contrattazione collettiva In relazione al riparto delle competenze tra Stato e Regioni, ciò comporta che la disciplina di tale trattamento economico e, più in generale, quella del rapporto di impiego pubblico, rientri nella materia «ordinamento civile», riservata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato (sentenze n. 175 e n. 160 del 2017).” La Corte dichiara pertanto la illegittimità costituzionale dell’art. 2 Legge n. 21/2018 della regione Sardegna.Vai al documento

Corte Costituzionale
Sentenza n. 157 del 25/6/2019
Pubblico impiego – trattamento giuridico ed economico di dipendenti pubblici – competenze esclusive del legislatore statale – illegittimità costituzionale della legge n. 14/2018 della regione Abruzzo
Segnalazione da U.O. Monitoraggio contratti e legale
L’art. 1 della legge regione Abruzzo  n. 14/2018 (Disposizioni in materia di sanità convenzionata) stabilisce al comma 1 “l’indennità aggiuntiva di cui al Capo II art. 13 comma 1 dell’accordo integrativo regionale….è confermata in quanto correlata allo svolgimento dell’attività di Continuità assistenziale a garanzia del miglioramento dei servizi ai cittadini e dell’integrazione tra professionisti operanti nel settore delle prestazioni assistenziali della medicina convenzionata”. Dicono i giudici “la disciplina del rapporto di lavoro del personale medico di medicina generale in regime di convenzione, sebbene sia di natura professionale, risulta demandata all’intervento della negoziazione collettiva, il cui procedimento è stato modellato dal legislatore con espresso richiamo a quello previsto per la contrattazione collettiva dal decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche) per il personale della pubblica amministrazione il cui rapporto è stato privatizzato. Sulla scorta di quanto fin qui esaminato, l’intervento normativo impugnato risulta chiaramente lesivo della competenza statale in materia di «ordinamento civile», in quanto la disciplina del rapporto di lavoro dei medici di continuità assistenziale è riconducibile a tale materia, prevedendone il legislatore nazionale una regolazione uniforme, garantita dalla piena conformità del rapporto alle previsioni dettate dagli accordi collettivi di settore. Indubbiamente la costante giurisprudenza di questa Corte sulla riconduzione all’ambito della predetta competenza statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., della disciplina del rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni si è formata in riferimento al lavoro subordinato “contrattualizzato” (ex plurimis, da ultimo, sentenze n. 10 del 2019 e n. 196 del 2018), ed è riguardo a tale tipo di rapporto che si è riconosciuto il ruolo della contrattazione collettiva come «imprescindibile fonte» cui la legge demanda aspetti di notevole rilievo (in particolare, sentenza n. 178 del 2015). Tuttavia, già con la sentenza n. 186 del 2016 questa Corte ha affermato che, pur qualificandosi il rapporto convenzionale dei medici di medicina generale con il Servizio sanitario nazionale nei ricordati termini di “parasubordinazione” prima indicati, non sussistono apprezzabili differenze rispetto alla ricordata giurisprudenza elaborata in ordine al rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato”.Vai al documento

Corte Costituzionale
Sentenza n. 159 del 25/6/2019
Pubblico impiego – lavoratrice in pensione per anzianità – trattamento di fine rapporto – dilazione e rateizzazione per lavoratori che non hanno raggiunto i limiti di età o di servizio previsti dagli ordinamenti di appartenenza – legittimità delle norme impugnate
Segnalazione da U.O. Monitoraggio contratti e legale
Il Tribunale di Roma – in funzione di giudice del lavoro – ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 comma 2 del D.L. n. 79/1997 (Legge n. 140/1997) “Misure urgenti per il riequilibrio della finanza pubblica”, e dell’art. 12 comma 7 del D.L. n. 78/2010 (Legge 122/2010) “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica” nella parte in cui dispongono il pagamento differito e rateale del trattamento di fine servizio spettante ai dipendenti pubblici. Per prima cosa i giudici delimitano l’ambito della domanda, circoscrivendolo a quella che è la situazione della lavoratrice che ha fatto ricorso al tribunale: la ricorrente infatti è una lavoratrice in pensione per anzianità ed è pertanto sottoposta al differimento di 24 mesi per quanto riguarda l’erogazione della sua pensione – ai sensi dell’art. 3 comma 2 del D.L. n. 79/1997 – e al pagamento rateale della stessa – previsto dall’art. 12 comma 7 del D.L. 78/2010 – (successivamente modificato dalla legge di stabilità per il 2014). Essa pertanto non beneficia dell’applicazione del più favorevole termine annuale che il legislatore sancisce per la liquidazione dei trattamenti di fine servizio nelle diverse ipotesi di: cessazione dal servizio per raggiungimento di limiti di età o di servizio previsti dagli ordinamenti di appartenenza, per collocamento a riposo d’ufficio a causa del raggiungimento dell’anzianità massima di servizio prevista dalle norme di legge o di regolamento applicabili nell’amministrazione. La Corte sottolinea che il termine di 24 mesi per l’erogazione di fine rapporto, nelle ipotesi diverse dal raggiungimento dei limiti di età o di servizio, si ripromette di scoraggiare le cessazioni dal rapporto di lavoro in un momento antecedente il raggiungimento dei limiti di età o di servizio, collocandosi in una congiuntura di grave emergenza economica e finanziaria. Il trattamento più rigoroso pertanto, dicono i giudici delle leggi, si correla alla particolarità di un rapporto di lavoro che, per le ragioni più disparate, peraltro in prevalenza riconducibili ad una scelta volontaria dell’interessato, cessa anche con apprezzabile anticipo rispetto al raggiungimento dei limiti di età o di servizio. Pertanto, conclude la Corte: “L’assetto delineato dal legislatore non solo è fondato su un presupposto non arbitrario, ma è anche temperato da talune deroghe per situazioni meritevoli di particolare tutela, come la «cessazione dal servizio per inabilità derivante o meno da causa di servizio, nonché per decesso del dipendente», che impone all’amministrazione competente, entro quindici giorni dalla cessazione dal servizio, di trasmettere la documentazione competente all’ente previdenziale, obbligato a corrispondere il trattamento «nei tre mesi successivi alla ricezione della documentazione» (art. 3, comma 5, del d.l. n. 79 del 1997). Il regime di pagamento differito, analizzato nel peculiare contesto di riferimento, nelle finalità e nell’insieme delle previsioni che caratterizzano la relativa disciplina, non risulta dunque complessivamente sperequato. Le medesime considerazioni possono essere svolte per il pagamento rateale delle indennità di fine servizio, disciplinato dall’art. 12, comma 7, del d.l. n. 78 del 2010 e poi irrigidito dall’art. 1, comma 484, lettera a), della legge n. 147 del 2013. La disciplina censurata, esaminata nel suo complesso e riferita alla cessazione anticipata del rapporto di lavoro, contempera, allo stato, in modo non irragionevole i diversi interessi di rilievo costituzionale, con particolare attenzione a situazioni meritevoli di essere più intensamente protette.” Chiarito ciò, tuttavia, i giudici continuano, sottolineando che “Restano impregiudicate, in questa sede, le questioni di legittimità costituzionale della normativa che dispone il pagamento differito e rateale delle indennità di fine rapporto anche nelle ipotesi di raggiungimento dei limiti di età e di servizio o di collocamento a riposo d’ufficio a causa del raggiungimento dell’anzianità massima di servizio. Nonostante l’estraneità di questo tema rispetto all’odierno scrutinio, questa Corte non può esimersi dal segnalare al Parlamento l’urgenza di ridefinire una disciplina non priva di aspetti problematici, nell’àmbito di una organica revisione dell’intera materia, peraltro indicata come indifferibile nel recente dibattito parlamentare. La disciplina che ha progressivamente dilatato i tempi di erogazione delle prestazioni dovute alla cessazione del rapporto di lavoro ha smarrito un orizzonte temporale definito e la iniziale connessione con il consolidamento dei conti pubblici che l’aveva giustificata. Con particolare riferimento ai casi in cui sono raggiunti i limiti di età e di servizio, la duplice funzione retributiva e previdenziale delle indennità di fine rapporto, conquistate «attraverso la prestazione dell’attività lavorativa e come frutto di essa» (sentenza n. 106 del 1996, punto 2.1. del Considerato in diritto), rischia di essere compromessa, in contrasto con i princìpi costituzionali che, nel garantire la giusta retribuzione, anche differita, tutelano la dignità della persona umana”.Vai al documento

Corte di Cassazione
Sezione Lavoro
Ordinanza n. 15281 del 5/6/2019
Pubblico impiego – passaggio diretto tra amministrazioni ex art. 30 d.lgs. n. 165/2001 – attribuzione della classe economica nella nuova amministrazione – richiesta di riconoscimento della anzianità di servizio maturata in amministrazione di provenienza – casi in cui sussiste obbligo di riconoscimento e casi in cui non sussiste – principi di diritto  

Segnalazione da U.O. Monitoraggio contratti e legale
La Corte rigetta la domanda presentata da due ricorrenti – dipendenti del comune di Roma  a seguito di passaggio diretto da altre amministrazione ex art. 30 d.lgs. 165/2001 – che chiedevano fosse loro riconosciuta l’anzianità di servizio maturata presso le precedenti amministrazioni, per poter essere ammesse alla progressione di carriera prevista dall’art 4 del contratto integrativo 2006 del comune di Roma nonché dal contratto decentrato per la quantificazione e ripartizione del fondo, che prevedevano che la progressione di carriera potesse essere riconosciuta solo ai lavoratori che alla data del 31/12/2006 avessero maturato un’anzianità di servizio nella posizione inferiore alle dipendenze del comune di Roma. Le due ricorrenti alla data del 31/12/2006 erano invece ancora impiegate presso le amministrazioni di provenienza. Ad avviso delle ricorrenti la anzianità di servizio maturata in altra amministrazione doveva essere loro riconosciuta. Dicono i giudici “questa Corte ha già ritenuto, condivisibilmente, che in tema di passaggio di lavoratori ad una diversa amministrazione, le disposizioni normative che garantiscono il mantenimento del trattamento economico e normativo, non implicano la parificazione con i dipendenti già in servizio presso il datore di lavoro di destinazione (v. Cass. 3 agosto 2007 n. 17081; Cass. 17 luglio 2014, n. 16422); la prosecuzione giuridica del rapporto, infatti, se da un lato rende operante il divieto di reformatio in peius, dall’altro non fa venir meno la diversità fra le due fasi di svolgimento del rapporto medesimo, diversità che può essere valorizzata dal nuovo datore di lavoro, sempre che il trattamento differenziato non implichi la mortificazione di un diritto già acquisito dal lavoratore; muovendo da detta premessa questa Corte (v. Cass. 17 settembre 2015, n. 18220; Cass. 25 novembre 2014, n. 25021; Cass. 3 novembre 2011, n. 22745; Cass. 18 maggio 2011, n. 10933; Cass., Sez. Un., 10 novembre 2010, n. 22800) ha evidenziato che l’anzianità di servizio, che di per sé non costituisce diritto che il lavoratore possa fare valere nei confronti del nuovo datore, deve essere salvaguardata in modo assoluto solo nei casi in cui alla stessa si correlino benefici economici ed il mancato riconoscimento della pregressa anzianità comporterebbe un peggioramento del trattamento retributivo in precedenza goduto dal lavoratore trasferito; l’anzianità pregressa, invece, non può essere fatta valere da quest’ultimo per rivendicare ricostruzioni di carriera sulla base della diversa disciplina applicabile al cessionario (Cass., Sez. Un., n. 2280/2010 cit. e Cass. n. 25021/2014 cit.), né può essere opposta al nuovo datore per ottenere un miglioramento della posizione giuridica ed economica, perché l’ordinamento garantisce solo la conservazione dei diritti (non delle aspettative) già entrati nel patrimonio del lavoratore alla data della cessione del contratto; il nuovo datore, pertanto, ben può ai fini della progressione di carriera valorizzare l’esperienza professionale specifica maturata alle proprie dipendenze, differenziandola da quella riferibile alla pregressa fase del rapporto (v. Cass. n. 17081/2007; Cass., Sez. Un., n. 22800/2010; Cass. 22745/2011 citate e, in relazione all’impiego privato, Cass. 25 marzo 2009, n. 7202).Vai al documento

Corte dei Conti
Sezione Regionale controllo Lombardia n. 210/2019
Enti Locali – Posizioni organizzative – incremento indennità

Segnalazione da U.O. Monitoraggio contratti e legale
I magistrati in ordine alla possibilità di incrementare le indennità dei titolari di posizioni organizzative, negli enti privi di dirigenza, in conformità ai tetti previsti dalla normativa vigente, evidenziano che la deroga alla disposizione dell’articolo 23, comma 2, del d. lgs. n.75/2017 – che disciplina l’invarianza della spesa relativa al trattamento accessorio del personale al 2016, è stata introdotta dall’art. 11 bis, comma 2, del d.l. n. 135/2018 disponendo che: “l’invarianza della spesa non si applica alle indennità dei titolari di posizioni organizzative, di cui agli artt. 13 e ss. del CCNL relativo al comparto funzioni locali, limitatamente alla differenza tra gli importi già attribuiti alla data di entrata in vigore del contratto (21 maggio 2018) e l’eventuale maggior valore attribuito successivamente alle posizioni già esistenti, ai sensi dell’art. 15 del CCNL in parola. Il differenziale da escludere dal computo di cui all’art. 23, comma 2, del decreto legislativo n. 75/2017 è soltanto la maggiorazione delle indennità attribuite alle posizioni organizzative già in servizio al momento dell’entrata in vigore del contratto collettivo nazionale. Tale maggiorazione deve, in ogni caso, essere contenuta nei limiti di spesa per il personale, prevista dai commi 557 quater e 562 dell’art. 1 della legge n. 296/2006”.Vai al documento

Corte dei Conti
Sezione Regionale controllo Abruzzo n. 93/2019
Enti Locali – Trasformazione contratto lavoro part time   

Segnalazione da U.O. Monitoraggio contratti e legale
Il Collegio interviene per esprimere il proprio parere in ordine alla possibilità di trasformare un contratto di lavoro da tempo parziale a tempo pieno evidenziando che: “la trasformazione a tempo pieno di un rapporto di lavoro a tempo parziale, l’articolo 3, comma 101, della L. n. 244/2007, la equipara a nuova assunzione, di conseguenza, l’incremento di spesa sostenibile dall’ente locale – sulla cui base deve verificare la capienza nel contingente di assunzioni annuali effettuabili – è pari alla differenza fra la spesa sostenuta per il rapporto di lavoro a tempo parziale e quella discendente dalla trasformazione del rapporto a tempo pieno anche al fine di evitare comportamenti “elusivi” dei vigenti vincoli in materia di turn over”.Vai al documento

Corte dei Conti
Sezione Regionale controllo Sicilia n. 123/2019
Enti Locali – Prepensionamenti – Calcolo resti assunzionali   

Segnalazione da U.O. Monitoraggio contratti e legale
In relazione alla possibilità avanzata da un’amministrazione locale di utilizzare i resti assunzionali, derivanti dalla collocazione in prepensionamento di un dipendente, in aggiunta ai resti derivanti dalle quiescenze ordinarie, i giudici evidenziano che in base alla normativa di riferimento (art. 14,comma 7,d.l. n. 95/2012, convertito dalla L. 135/2012), “le cessazioni disposte per prepensionamento, limitatamente al periodo di tempo necessario al raggiungimento dei requisiti previsti dall’articolo 24 del d.l. 201/2011, convertito dalla legge n. 214/2011, non possono essere calcolate come risparmio utile per definire l’ammontare delle disponibilità finanziarie da destinare alle assunzioni o il numero delle unità sostituibili in relazione alle limitazioni del turn-over. Conseguentemente, soltanto con riferimento al personale oggetto di prepensionamento che ha, ad oggi, raggiunto i requisiti per il collocamento ordinario in pensione, i risparmi di spesa possono essere conteggiati per l’effettuazione di nuove assunzioni, fermo restando il rispetto di tutti gli altri vincoli e limiti di legge vigenti”.Vai al documento

Gazzetta Ufficiale
Interventi per la concretezza delle azioni delle pubbliche amministrazioni e la prevenzione dell’assenteismo – Legge n. 56 del 19/6/2019 
Segnalazione da U.O. Monitoraggio contratti e legale
E’ stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 154 del 22 giugno 2019 la legge 19 giugno 2019 n. 56 “Interventi per la concretezza delle azioni delle pubbliche amministrazioni”. La legge entrerà in vigore il 7 luglio 2019.Vai al documento

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Sezione Economica
ISTAT
Rapporto annuale 2019 – La situazione del Paese
Segnalazione da U.O. Studi e analisi compatibilità
E’ stata pubblicata la 27esima edizione del Rapporto annuale ISTAT che propone, come chiave di lettura, l’interazione tra dotazioni di risorse, resilienza, fragilità del “Sistema Italia” e opportunità per uno scenario di crescita robusta, inclusiva e sostenibile. Capitolo 1 Il quadro macroeconomico e sociale; capitolo 2 Le risorse del Paese: opportunità per uno sviluppo sostenibile; capitolo 3 Tendenze demografiche e percorsi di vita; capitolo 4 Mercato del lavoro e capitale umano; capitolo 5 Benessere, competitività e crescita economica: verso una lettura integrata.Vai al documento

BCE
Bollettino economico n. 4/2019
Segnalazione da U.O. Studi e analisi compatibilità
Sulla base di un’approfondita analisi delle prospettive economiche e dell’inflazione, e tenendo conto delle ultime proiezioni macroeconomiche formulate dagli esperti, il Consiglio direttivo ha adottato una serie di decisioni in materia di politica monetaria volte a sostenere la convergenza dell’inflazione su livelli inferiori ma prossimi al 2 per cento. Sebbene i dati relativi al primo trimestre si siano rivelati lievemente migliori delle attese, secondo le ultime informazioni circostanze avverse di carattere internazionale continuano a gravare sulle prospettive per l’area dell’euro. Il perdurare delle incertezze connesse a fattori geopolitici, alla crescente minaccia del protezionismo e alle vulnerabilità nei mercati emergenti incide sul clima di fiducia. Al tempo stesso, gli ulteriori incrementi dell’occupazione e le retribuzioni in aumento continuano a sostenere la capacità di tenuta dell’economia dell’area dell’euro e la crescita graduale dell’inflazione. In tale contesto generale, il Consiglio direttivo ha deciso di mantenere invariati i tassi di interesse di riferimento della BCE e di adeguare le indicazioni prospettiche sul loro andamento segnalando che si attende che i tassi si mantengano sui livelli attuali almeno per la prima metà del 2020 e in ogni caso finché necessario per assicurare che l’inflazione continui stabilmente a convergere su livelli inferiori ma prossimi al 2 per cento nel medio termine. Il Consiglio ha inoltre reiterato le indicazioni prospettiche in materia di reinvestimenti.Vai al documento

ISTAT
Aggiornamento indicatori BES
Segnalazione da U.O. Studi e analisi compatibilità
L’Istat ha pubblicato l’aggiornamento semestrale degli indicatori del Benessere equo e sostenibile (Bes). Questo aggiornamento intermedio è stato introdotto nel 2018 per rispondere all’esigenza di tempestività associata anche all’inclusione di 12 indicatori Bes nel Documento di Economia e Finanza. Pur trattandosi di un risultato parziale, oltre la metà dei 60 indicatori aggiornati (34) mostra un miglioramento nell’ultimo anno, 16 sono stabili e 10 peggiorano. Le tavole in serie storica sono organizzate per dominio e per regione, e gli aggiornamenti toccano tutti i 12 domini del Benessere.Vai al documento

ISTAT
Euro zone economic outlook – II-IV trimestre 2019
Segnalazione da U.O. Studi e analisi compatibilità
Dopo l’espansione dello 0,4% nel primo trimestre 2019, il Pil dell’area dell’euro è atteso rallentare nel secondo trimestre, condizionato dalla prevista flessione della produzione industriale, mentre nei trimestri successivi si registrerebbe un lieve recupero (+0,4% in entrambi i successivi trimestri). L’inflazione annua potrebbe segnare un nuovo rallentamento, condizionata dall’andamento dei prezzi energetici. Le prospettive sono soggette a rischi al ribasso per effetto dell’inasprimento dei conflitti commerciali e di una “hard-Brexit”.Vai al documento

A cura della Direzione Studi, risorse e servizi dell’Aran
Per segnalare documenti da pubblicare: ufficiostudi@aranagenzia.it
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Aranultima modifica: 2019-07-03T07:11:43+02:00da vitegabry
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