Archivi giornalieri: 6 giugno 2011

Un “totem” alla festa della Cgil lombarda

 

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Per compiere le scelte opportune oltre che possibili

Una nuova applicazione di calcolo destinata ai giovani viene presentata in questi giorni a Bergamo dall’Inca Lombardia in occasione della festa della Cgil regionale. Si tratta di un totem interattivo posizionato nello spazio dell’Inca e che consente di simulare il calcolo della pensione obbligatoria e di quella complementare.

Tfr machine (questo è il nome dell’applicazione), in cambio di alcune semplici informazioni (data d’inizio dell’attività lavorativa, retribuzione o reddito medio, aliquota di versamento al Fondo complementare, previsione di crescita del Pil) restituisce l’importo atteso della pensione Inps o Inpdap e di quella conseguibile nel Fondo.

Tfr, oltre che l’acronimo di Trattamento di Fine Rapporto, significa in questo caso anche Two Pillars Forward Rate (importo atteso nei due pilastri – obbligatorio e complementare). Uno degli aspetti più critici inerenti la condizione giovanile è una questione di prospettiva previdenziale, determinata dai problemi di misura delle prestazioni nel regime contributivo e dalla diffidenza delle persone giovani nei confronti della previdenza complementare. Dalla distribuzione per fasce di età, infatti, risulta che fra i lavoratori con meno di 35 anni soltantoil 17% ha aderito a una forma pensionistica complementare
Tfr Machine, sviluppata da Sintel, la società informatica della Cgil lombarda, consente a un giovane, mediante un calcolo personalizzato, di eseguire una previsione a lungo termine, prendere coscienza della propria sorte previdenziale e compiere le scelte opportune oltre che possibili. 

Sette milioni di giovani a casa con mamma e papà

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La generazione dei “milleuristi”

Oltre sette milioni di giovani, quelli compresi tra i 18 e i 34 anni, vive ancora in casa dei genitori. All’interno di questa fascia il 40% ha più di 25 anni mentre uno su due ha sì un’occupazione ma è precaria: è la generazione dei ‘milleuristi’ coloro che per intero hanno assorbito il costo della crisi economica. Sono questi alcuni dei dati che emergono da un’indagine condotta dalla Cgil e dal Sunia sulla condizione abitativa dei giovani promossa per la campagna ‘La casa nel percorso di autonomia delle nuove generazioni’.

Secondo la ricerca la presenza dei giovani che in Italia vivono in questa ‘coabitazione forzata’ tra genitori e figli pone il nostro paese “all’ultimo posto tra i principali paesi europei” e le motivazioni di questa costrizione, rileva lo studio del sindacato, “risiedono nel livello dei canoni, per non parlare del costo delle abitazioni, e nelle condizioni precarie di lavoro che generano bassi redditi”. Per questo la Cgil ritiene “indispensabile rivendicare un ‘Patto per l’abitare’ – osserva Laura Mariani responsabile delle Politiche abitative per il sindacato di Corso d’Italia – che sia in grado di far incontrare la domanda dei bisogni giovanili con un’offerta adeguata in modo da regolare un mercato con trasparenza”.

Il disagio abitativo rappresenta infatti per i giovani “un vero scoglio per l’ingresso nell’età adulta”. Secondo l’analisi della Cgil il 60% delle persone fino a 35 anni percepisce un reddito mensile inferiore a mille euro, senza dimenticare che il tasso di disoccupazione giovanile ha toccato il 28,6%. Dati che rendono complesso il superamento delle barriere che separano i giovani dall’accesso alla casa. I canoni di affitto sono eccessivamente alti, pari a 1.020 euro per i nuovi contratti e 750 euro per i rinnovi. L’esplosione di questi due dati dimostra per il sindacato “come ci sia stata negli anni una ‘dismissione’ delle politiche abitative: gli interventi recenti, come la cedolare secca, hanno soltanto favorito i proprietari con misure di carattere fiscale senza una contropartita in termini sociali per calmierare il mercato”. Tutto ciò poi a fronte di un 30% dei giovani che non lavora, di un 20% che non studia e non lavora (Neet – Not in Education, Employment or Training), di un 30% che ha un lavoro atipico e di un 60% che guadagna meno di 1.000 euro mensili.

Per la generazione dei ‘milleuristi’ affrancarsi dalla famiglia è sempre più complesso. La Cgil riporta un dato di uno studio dell’università Cattolica di Milano che stima in 13-15 milioni di famiglie che nei prossimi anni disporranno di un reddito mensile di circa 1.500 euro al mese. Nuclei fatti in parte di pensionati ma soprattutto di precari che li inserisce in una sorta di ‘cuscinetto sociale’ che rimane al di sotto della media dei redditi dei cittadini italiani e al di sopra della soglia di povertà. “E’ una sorta di primato negativo per il nostro paese – commenta Mariani -: siamo l’economia avanzata nella quale la minoranza costituita dai giovani ha pagato il prezzo più alto della recessione e continua a farlo. Statisticamente le generazioni nate fra il 1974 e il 1994 hanno assorbito per intero il costo della crisi economica”. 

Ed è quindi proprio nell’attuale difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro, spiega ancora la sindacalista, “che va individuata una ‘risposta sociale’ che crei le condizioni affinché le nuove generazioni possano intraprendere un percorso di realizzazione. Ad un lavoro con più garanzie devono affiancarsi più garanzie nel trovare una casa”. Per questo, conclude Mariani, “è indispensabile un ‘Patto per l’abitare’ che abbia come garanzia la costituzione di un’Agenzia per la casa in ogni Comune con uno specifico Osservatorio sui bisogni abitativi dei giovani”.  

La Cgil propone una Pensione contributiva di garanzia

 

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Per un futuro pensionistico meno povero

Troppi lavoratori (soprattutto giovani) sono oggi a rischio pensione. Si tratta dei precari, ma anche di tanti altri lavoratori con carriere intermittenti o deboli che non riescono a costruirsi una pensione pubblica adeguata a causa delle frequenti interruzioni della loro attività  e in mancanza di un sistema efficiente e universale di ammortizzatori sociali e di contribuzione figurativa, o in presenza di una situazione di basse retribuzioni. La platea dei potenziali pensionati poveri non riguarda quindi solo gli attuali “cococo”, ma si sta estendendo a macchia d’olio e rischia di determinare a lungo andare un problema di sostenibilità  sociale del sistema previdenziale che invece, dal punto di vista finanziario,€anche alla luce dei tanti interventi effettuati negli ultimi venti anni è oggi in equilibrio.
Un problema è€quello della sostenibilità  sociale del sistema pubblico che viene confermato anche dall’ultimo rapporto Inps che parla di svariate posizioni previdenziali già  oggi inadeguate.

Per la Cgil è arrivato dunque il momento di intervenire sul sistema previdenziale pubblico per evitare appunto il dramma di schiere di pensionati poveri nei prossimi anni e uno squilibrio generale che avrebbe effetti a catena. La confederazione sta studiando quindi una proposta e delle linee di intervento che saranno sottoposte al giudizio delle strutture e delle categorie e saranno presentate in un convegno da realizzarsi entro il mese di giugno.

L’idea su cui si sta lavorando è quella di una Pensione contributiva di garanzia (Pcg) che avrebbe un importo proporzionale agli anni di contributi versati (effettivi e figurativi) e sarebbe comunque funzione dell’età  del ritiro (tramite l’applicazione di un fattore di correzione legato ai coefficienti di trasformazione). In pratica, al momento del ritiro qualora la pensione fosse inferiore, si avrebbe diritto ad una €™integrazione fino al livello della Pensione contributiva di garanzia.

Raggiunti i 65 anni di età  (anagrafica) e i 40 di contribuzione, l’importo della Pcg sarebbe pari al 60% del salario medio nazionale (circa 900 euro netti al mese). Per età  o anzianità minori (o maggiori) la pensione di garanzia verrebbe ridotta (incrementata) proporzionalmente. La Pensione contributiva di garanzia è stata quindi pensata in base ai principi ispiratori del Protocollo unitario del 2007 che fissavano appunto intorno al 60% del precedente salario il tenore di vita adeguato nel pensionamento. La Pcg è prevista per tutti i lavoratori, di qualsiasi settore, ed è una proposta che allo stato attuale delle cose è pensata per tutelare soprattutto i giovani e le donne che sono ancora oggi i soggetti più fragili e i più esposti alle dinamiche negative del mercato del lavoro.

Si deve anche chiarire che la proposta di una pensione di “garanzia” non c’entra nulla con gli interventi (anch’essi necessari) contro la povertà . Si tratta di una proposta specificamente previdenziale. Si tratta cioè di evitare squilibri e discriminazioni e in particolare si tratta di evitare che persone presenti a lungo nel mercato del lavoro (come occupati o disoccupati) possano alla fine trovarsi a ricevere da anziani pensioni molto basse, ovvero di importo molto vicino a quello dell’assegno sociale. Con questa proposta la Cgil conferma la scelta del sistema contributivo (che come è noto ha sostituito il retributivo), ma al tempo stesso propone un correttivo per evitare gravi effetti sulle prestazioni pensionistiche derivanti dalle distorsioni del mercato del lavoro.

L’altro elemento da chiarire riguarda la fonte del finanziamento. La pensione contributiva di garanzia (come dice la parola stessa) rimane saldamente ancorata nella sua logica al sistema contributivo. La garanzia scatta però, integrandone l’importo,al momento di una pensione insufficiente. E sarà a quel punto lo Stato il soggetto preposto a intervenire attraverso il ricorso alla fiscalità generale, visto che la misura è pensata per tutti i lavoratori dipendenti e autonomi a prescindere dalla loro collocazione. Da questo punto di vista si propone un nuovo patto sociale per garantire pensioni adeguate a tutti, soprattutto ai giovani di oggi che rischiano di avere pensioni intorno al 30%-40% dell’ultima retribuzione.

Stress e lavoro ….

 

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… un convegno per esaminare le correlazioni e le problematiche

Il 7 e 8 giugno organizzato dalla Università La Sapienza di Roma Dipartimento di Neurologia e Pscihiatria in collaborazione con l’AIASU (Associazione iNternazionale per l’Applicazione delle Scienze Umane) si terrà il Convegno “Stress e Lavoro: correlazioni, attualità, problematiche e prospettive future”.

Il Convegno che è stato accreditato dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati nell’ambito dell’attività di formazione per avvocati si pone l’obiettivo di approfondire le conoscenze giuridiche e scientifiche sullo stress lavoro-correlato.

Fra i relatori del Convegno il Responsabile della Consulenza Medico-Legale del nostro Istituto Marco Bottazzi.

Storia della Sardegna all’Università della Terza Età di San Gavino – 60 anni di Statuto speciale, di Francesco Casula

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Venerdi 3 Giugno (ore 17-18.30) Francesco Casula terrà l’ultima lezione di Storia della Sardegna all’Università della Terza Età di San Gavino. Si svolgerà nella Biblioteca comunale cittadina (Via Leonardo 1, davanti all’ingresso del parco comunale).

Ecco la sintesi della relazione

60 anni di Statuto speciale

di Francesco Casula

In un clima di restaurazione e di conservazione, già depotenziato, debole e limitato – più simile a un gatto che a un leone, secondo la colorita espressione di Lussu – nasce nell’ormai lontano 1948 lo Statuto sardo. In questi cinquant’anni e più ha subito un processo di progressivo svuotamento e di compressione sia dall’esterno, cioè da parte dello Stato centrale, sia dall’interno, ovvero da parte delle forze politiche dirigenti sarde, che non sanno usare e, spesso, non vogliono utilizzare, gli stessi strumenti, possibilità e spazi che l’autonomia regionale offriva. Basti pensare a questo proposito alla vicenda delle norme di attuazione, che non vengono emanate, o vengono emanate in modo eccezionalmente riduttivo, o che non vengono comunque quasi mai poste in atto, per constatare come le forze politiche sarde abbiano svilito la stessa limitata autonomia, statutariamente riconosciuta.
Non solo. Nato come Statuto speciale, oggi risulta dotato di meno poteri delle regioni a Statuto ordinario costituite nel ’70 e di fatto rappresenta oramai un ostacolo alla realizzazione di una vera Autonomia, o peggio: serve solo come copertura alla gestione centralistica della Regione da parte dello Stato, di cui non ha scalfito per niente il centralismo. Paradossalmente lo ha perfino favorito, consentendo ai Sardi solo il succursalismo e l’amministrazione della propria dipendenza. La Regione sarda di fatto, in questi 50 anni di storia, ha operato come mera struttura di decentramento e di articolazione burocratica dello Stato e come centro di raccordo e di mediazione fra gli interessi dei gruppi di potere locali e la rapina neocolonialista, soprattutto del Nord.
Da tempo perciò possiamo ormai considerare consumato il suo fallimento storico, contestuale a quello della Rinascita: come da tempo si è consumata la scissione fra movimento popolare, opinione pubblica e Istituto autonomistico. Che dal senso comune della gente è considerato una controparte, una realtà ostile ed estranea ai Sardi.
Sono falliti miseramente anche i tentativi di un suo rilancio e rianimazione, prima attraverso la cosiddetta politica contestativa e rivendicazionistica della Regione nei confronti dello Stato degli anni ’70 e, recentemente, attraverso una Commissione nominata ad hoc dal Consiglio Regionale, chiamata pomposamente “Commissione speciale per l’Autonomia” che ha partorito un documento mostriciattolo, tale da non meritare neppure la discussione in Aula da parte del Consiglio.
Oggi è giunto il momento in Sardegna di imboccare decisamente la strada del rifacimento dello Statuto Sardo, una nuova Carta de Logu, una vera e propria Carta Costituzionale di Sovranità per la Sardegna, che ricontratti su basi federaliste il rapporto Sardegna- Stato Italiano e che partendo dall’identità etno- nazionale dei Sardi ne sancisca il diritto a realizzare l’Autogoverno, l’autodecisione, l’autogestione economica e sociale delle proprie risorse e del territorio, il diritto a usare e valorizzare la propria lingua e cultura, a gestire la scuola, i trasporti, il credito, le finanze e l’ordine pubblico, la possibilità di controllare i grandi mezzi di comunicazione di massa e dell’informazione, di fronte alla quale oggi la Regione è totalmente disarmata e niente può fare perché essi rispondano a criteri di uso democratico e socialmente utile. Il potere infine, in settori fondamentali quali la difesa e i rapporti internazionali, di esprimere parere vincolante in merito a tutte le iniziative che tocchino gli interessi vitali della Sardegna.
Porre in questi termini la questione della Nazione sarda, non significa a mio parere, pensare alla creazione di un nuovo Stato, separato, che rifiuti superiori livelli, anche istituzionali di integrazione e di interdipendenza, necessari oggi per affrontare i problemi socio- economici, a dimensione continentale e mondiale, connessi:

•alla diffusione delle nuove tecnologie e alla globalizzazione dell’economia e dei mercati;
•al crescente grado di interdipendenza e di integrazione raggiunto dall’economia dei singoli paesi e delle singole aree e regioni;
•al carattere europeo e internazionale assunto dai flussi e dallo scambio di materie prime, di prodotti manufatti, di tecnologie e di capitali;
•all’importanza soverchiante che in tali condizioni acquistano le economie su scala e le imprese che non producono solo per il mercato locale ma per mercati più ampi e lontani.
Il problema della Nazione sarda si pone invece oggi, in termini moderni e non ottocenteschi, come protesta contro lo Stato ufficiale unitario, accentrato, centralista e oppressore e dunque come lotta per il suo superamento, per il suo deperimento e per l’affermazione e la creazione di uno Stato plurinazionale e plurietnico che riconosca le nazioni minori e le etnie presenti al suo interno. In questa prospettiva, non angustamente indipendentista, si può oggi risolvere la “Questione nazionale sarda”: non distaccando l’Isola dallo Stato italiano, in cui storicamente è ormai incorporata, ma con l’ottenimento di tutti i poteri che le permettano l’autodecisione e l’autogoverno: tali poteri deve prevedere il nuovo Statuto sardo federale e non di Autonomia, sia pure nuova o rinnovata e rimpolpata. E non si tratta evidentemente di diversità linguistiche o di una diversa modellistica giuridico- istituzionale.
La visione autonomistica dello Stato infatti, è ancora tutta dentro l’ottica dello Stato unitario e centralista – così come in buona sostanza è ancora disegnato dalla Costituzione repubblicana, anche dopo la “Riforma federalista” – che al massimo può dislocare territorialmente spezzoni di potere nella “periferia” o, più semplicemente può prevedere il decentramento amministrativo e concedere deleghe parziali alla Regione, che comunque in questo modo continua ad esercitare una funzione di “scarico”, continua ad essere utilizzata come un terminale di politiche sostanzialmente decise e gestite dal potere centrale; che vede il rapporto Stato- Sardegna in termini asimettrici, di pura e semplice dipendenza, che prefigura da un lato l’accettazione di uno Stato coinvolgente e ancora totalizzante – nonostante qualche timido tentativo di “dimagrimento” – dall’altro la concessione di uno spazio di gestione amministrativa e politica del tutto ininfluente. Insomma, uno scambio ineguale, che pone la Regione in uno stato di marcata inferiorità.
Il Federalismo si muove in una logica diversa e per molti versi opposta. Non si tratta di dislocare parziali e limitati poteri dal “centro” alla “periferia”, dallo Stato Italiano alla Nazione sarda, poteri che rimarrebbero comunque articolazioni dello Stato centrale; si tratta invece di procedere “alla disarticolazione dello Stato nazionale unitario per dar luogo a una forma nuova e diversa di Stato di Stati, in cui per Stati non si intendono più Stati nazionali degradati da Enti sovrani a parti di uno Stato più grande, ma parte e territori di un Stato grande elevati al rango di Stati membri” (Bobbio. Introduzione a Silvio Trentin, Federalismo, 1997).
In questa visione federalista il potere sovrano originario e non derivato spetta a più Enti, a più Stati e perciò scompare la sovranità di un unico centro, di un unico potere e soggetto singolare per far capo a più soggetti e poteri plurali. In questa visione la Regione cessa di essere la rappresentanza in sede regionale e periferica dell’Amministrazione statale per diventare l’Ente esponenziale della Comunità sarda.
C’è da chiedersi se dentro questa visione federalista abbia ancora senso la “Specialità”, se non rappresenti un limite verso la “normalità” o peggio un ghetto. Io ritengo di no: pur all’interno di uno Stato federale la Sardegna come e più che nel’48 ha tutte le ragioni per rivendicare uno Statuto di “sovranità speciale”: motivi economici ( basti pensare a tutti gli handicap e le diseconomie legate alla sua insularità) ma soprattutto etno-culturali: perché peculiare è la sua storia, atipica e dissonante rispetto alla coeva storia dell’Italia e dell’Europa; specifiche e particolari sono la sua cultura, le sue tradizioni ma segnatamente la sua lingua, che forti poteri e robuste prerogative statutarie speciali, appunto, devono poter difendere e valorizzare. Soprattutto a fronte degli attacchi provenienti da una sorta di “pensiero unico” che vorrebbe omologare tutto, annullando progressivamente differenze culturali, specificità etniche, peculiarità linguistiche, ibernando nella bara della tecnica, del calcolo economico, della mercificazione, della globalizzazione, la nostra Identità di Sardi, attraverso la reductio di tutto ad unum:” Un’idea. Una legge. Un’umanità indistinta. Una coscienza frollata. Una natura atterrita. Un paesaggio spianato. Una luce fredda” (Eliseo Spiga, Capezzoli di pietra).
Mi avvio alle conclusioni, non prima però di accennare, almeno per sommi capi, a un problema che in Sardegna sta crescendo: l’Assemblea Costituente. Inizialmente proposta esclusivamente dall’area nazionalitaria e sardista, ha in questi anni fatto proseliti sempre più numerosi e qualificati, tanto che oggi il Partito trasversale della Costituente è ormai maggioritario e comprende forze politiche di tutti gli schieramenti, intere organizzazioni sindacali ( la CISL e la CSS), pezzi importanti del mondo della cultura e delle professioni.
Alla base dei sostenitori dell’Assemblea Costituente vi è certo la consapevolezza, visti i reiterati fallimenti, dell’impotenza e dell’incapacità del Consiglio regionale di riscrivere lo Statuto. Ma se pur anche fosse in grado, con le stantie e consunte procedure e riti e mediazioni sempre al ribasso, quale Statuto potrebbe produrre, chiuso com’è nell’invalicabile palazzo di Via Roma, che “enfatizza e ribadisce superbamente la separazione fra la piazza e lo stato, fra i dannati della terra e gli addetti ai lavori, con una Regione che si è fatta stato e l’autonomia si estenua nei tempi morti della burocrazia e nei giochi simulati dei vassalli che chiedono a Roma gli inutili riti dell’investitura”? (Elisa Nivola, Pedagogia e politica nella ).
Ma vi è soprattutto altro. L’Assemblea Costituente infatti non è solo un modo migliore e più democratico per riscrivere la Nuova Carta Costituzionale della Sardegna che regoli con un nuovo patto fra i Sardi, i rapporti fra la Sardegna, l’Italia e l’Europa e insieme definisca e sancisca le prerogative e i poteri di una Comunità moderna, orgogliosa, sovrana; essa può essere l’occasione per mettere in campo il protagonismo e la partecipazione diretta dei Sardi, per realizzare un grande e profondo movimento di popolo che prenda coscienza della sua Identità e nel contempo sia aperto alle culture d’Europa e del mondo, pronto a competere con le sue produzioni materiali e immateriali, finalmente deciso a costruire un futuro di prosperità e di benessere, lasciandosi alle spalle lamentazioni, piagnistei e complessi di inferiorità.

n. 467 del 1° giugno 2011

Direzione Provinciale del Lavoro di Modena  

 

www.dplmodena.it  

                                                                                                                                                                                            

NEWSLETTER LAVORO

n. 467 del 1° giugno 2011

 

 newsletter settimanale per gli operatori del mercato del lavoro

 

   Le Novità in materia di Lavoro                                           

>    Ministero dello Sviluppo: il contributo di revisione per le cooperative – biennio 2011-2012

Il Ministero dello Sviluppo ha pubblicato il contributo dovuto dagli enti cooperativi per le spese relative alla revisione del biennio 2011-2012.

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>    ENPALS: nuove modalità per il rilascio e l’utilizzo del codice PIN

L’ENPALS illustra la nuova procedura per il rilascio e l’utilizzo del codice PIN (Personal Identification Number – codice identificativo personale) necessario per accedere ai servizi telematici disponibili sul sito istituzionale dell’Enpals.

per accedere alle notizie  _             

>    Funzione Pubblica: procedura automatizzata di comunicazione degli scioperi nella PA

Il Dipartimento della Funzione Pubblica comunica che all’interno del sistema integrato “PERLA PA”, da fine giugno, sarà attiva la banca dati GEPAS riguardante la procedura automatizzata per la comunicazione degli scioperi nelle Amministrazioni pubbliche.

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>    Consiglio di Stato: verifica dei requisiti per l’affidamento di contratti pubblici

Con sentenza n. 2662/2011 il Consiglio di Stato ha affermato che nella verifica dei requisiti ex art. 38 del D.L.vo n. 163/2006 per l’affidamento di contratti pubblici, la stazione appaltante è tenuta a verificare tutti gli elementi che caratterizzano la vicenda societaria dell’impresa partecipante antecedenti alla partecipazione alla gara (fusione, trasformazione, incorporazione).

per accedere alle notizie  _             

>    INPS: nuove modalità di presentazione della domanda di Riscatto di Laurea

L’INPS comunica le nuove modalità di presentazione della domanda di Riscatto di Laurea: in via diretta dal cittadino, dotato di PIN, tramite accesso al sito internet dell’Istituto (www.inps.it) e successivamente ai “servizi online”.

per accedere alle notizie  _             

>    Corte d’Appello di Brescia: lavoro a progetto ed elementi qualificativi nella Certificazione

La Corte d’Appello di Brescia ha individuato le modalità ed i criteri per una corretta interpretazione del contratto di collaborazione a progetto in relazione alla sua Certificazione dinanzi alla Commissione.

per accedere alle notizie  _             

>    Min.Lavoro: aggiornata l’indennità per i lavoratori autonomi volontari del soccorso alpino e speleologico

Il Ministero del Lavoro ha pubblicato il Decreto 3 maggio 2010 con l’aggiornamento dell’indennità spettante ai lavoratori autonomi volontari del Corpo nazionale del soccorso alpino e speleologico, per l’anno 2010.

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   Le Sentenze della Corte di Cassazione in materia di lavoro  

>      La mancata presentazione del DURC non è reato penale

>      Trasformazione a tempo pieno con l’utilizzo continuo del lavoro supplementare

>      Contratto a termine e motivazione della sostituzione

>      Ferie non godute e prescrizione del diritto all’indennità

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   Gli approfondimenti della DPL di Modena                              

>      Gli Stage nel Settore Turismo (Federalberghi)

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INPS: circolari e messaggi

Gentile Cliente,
Le inviamo gli ultimi Messaggi Hermes pubblicati sul sito www.INPS.it > Informazioni > INPS comunica > normativa INPS: circolari e messaggi

 

>>> Titolo:  Messaggio numero numero 12012 del 01-06-2011
  Contenuto:  Istituto Nazionale della Previdenza Sociale Banche dati documentali Inps Servizi Banche dati documentali Messaggio numero 12012 del 01-06-2011 Attivando questo Link si puo’ ricevere il documento in formato PDF Direzione Centrale Prestazioni a Sostegno del
Tipologia:  MESSAGGIO

>>> Titolo:  Messaggio numero numero 12000 del 01-06-2011
  Contenuto:  nuovi modelli di domanda relativi ai permessi ex lege 104/92 e al congedo straordinario ex art.42, comma 5, D.Lgs. 151/2001.
Tipologia:  MESSAGGIO

>>> Titolo:  Messaggio numero numero 11837 del 30-05-2011
  Contenuto:  L?Istituto, nel perseguire l?adeguamento del modello organizzativo in relazione alle nuove esigenze di servizio reso alla cittadinanza, sta predisponendo una circolare con la quale saranno fissate le linee guida per l?attuazione dei Punti INPS, di cui all?art. art.
Tipologia:  MESSAGGIO