Archivi giornalieri: 2 luglio 2014

UE

Presidenza Italia UE: Appello del CILAP contro la povertà

Oggi, in occasione dell’inizio del semestre di presidenza italiana all’Unione europea, e del discorso inaugurale del Presidente del Consiglio Matteo Renzi, Nicoletta Teodosi, presidente del CILAP – Collegamento Italiano Lotta alla Povertà -, sezione italiana della Rete europea di lotta alla povertà (EAPN)  lancia un appello al presidente Renzi:  “La Strategia Europa 2020, ad oggi, è fallimentare:  dall’inizio della strategia, infatti, il numero delle persone in povertà  è aumentato di 6.6 milioni, arrivando a 124,2 milioni. Le priorità di questo semestre  devono essere  la lotta contro la povertà, l’esclusione sociale e le disuguaglianze.  

La vita dei migranti nel Mediterraneo, che non possono continuare ad essere cibo per i pesci. Serve una politica estera unitaria! Chiediamo un ‘Piano Marshall’ integrato, che fermi la spirale perversa dell’aumento della povertà, creando  lavori di qualità, investendo nella protezione sociale e nei servizi pubblici. Presentiamo un appello per sostenere il reddito minimo adeguato quale pilastro essenziale di una strategia integrata contro la povertà e quale stabilizzatore automatico dell’economia, anche appoggiando le richieste di una Direttiva Quadro dell’UE su questa materia”.  

E con  riferimento specifico alle dichiarazioni di Renzi, Teodosi afferma : «Apprezziamo il discorso del presidente Renzi. Speriamo che non sia solo un discorso di annunci, ma che le parole diventino fatti e realtà. Nello stesso tempo siamo sorpresi per il suo silenzio sulla lotta alla povertà in Europa e in Italia!».

L’assemblea generale di EAPN, conclusasi a Tallinn in Estonia, ha sottolineato, afferma Letizia Cesarini Sforza, vicepresidente di EAPN: “Chiediamo un patto sociale per l’Europa,  una strategia efficace dell’UE di lotta contro la povertà, l’esclusione sociale e la discriminazione, il rafforzamento della democrazia e della partecipazione della società civile. 

“Ricordiamo che attualmente le politiche europee – sottolinea il CILAP – sono guidate da preoccupazioni macro-economiche e di governance che, invece di progredire verso un’Europa più sociale,  aggravano, quando non creano,  povertà, esclusione e disuguaglianze. I poveri stanno pagando un prezzo altissimo alle politiche di austerità che, ormai è sotto gli occhi di tutti, non funzionano né potranno mai funzionare. Anzi, sono queste politiche ad aver aggravato ancora di più la crisi che pretendevano combattere, riducendo in povertà chi fino a poco tempo fa, mai avrebbe pensato di trovarsi a dover scegliere tra pagare il mutuo o i vestiti, mangiare o pagare bollette sempre più alte. Scegliamo la differenza tra un’Europa unicamente volta ai mercati e un’Europa più democratica, più solidale, più giusta”.

«Il costante aumento delle disuguaglianze e la mancanza di partecipazione nei processi decisionali della società civile rendono sempre più evidente l’inaccettabile divario tra i detentori del potere economico e politico da una parte e i cittadini dall’altra che si sentono, e sono, privati da ogni potere di controllo su questi poteri. Siamo in un momento critico dove democrazia e pace sono seriamente a rischio».

Rapporto sui diritti globali 2014

8 luglio presentazione del Rapporto sui diritti globali 2014

“Dopo la crisi, la crisi”. E’ questo il titolo del Rapporto sui diritti globali 2014 che sarà presentato martedì 8 luglio, a Roma, alle ore 11, presso la sede nazionale della Cgil, Corso d’Italia, 25.

Alla conferenza stampa interverranno Danilo Barbi, segretario nazionale Cgil, Paolo Beni, della Commissione Affari sociali e Affari esteri della Camera dei deputati, Francesca Chiavacci, presidente nazionale Arci, Marco De Ponte, segretario generale ActionAid Italia, Maurizio Gubbiotti, coordinatore nazionale Legambiente, Alessio Scandurra, di Antigone, Sergio Segio, curatore del rapporto, Don Armando Zappolini, presidente del Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza e Luigi Manconi, presidente della Commissione diritti umani del Senato.

Censis

Riforme: Censis, in Italia crescono i divari territoriali

Si rafforza la spinta dal centro a ridurre l’articolazione dei poteri locali, ma i divari territoriali nel Paese sono profondi e aumentano nel tempo. In 18 regioni italiane si sono allargate le distanze tra gli abitanti residenti nelle diverse province rispetto al reddito pro capite disponibile (solo il Molise fa eccezione, e in Valle d’Aosta regione e provincia coincidono). 

In Lombardia si passa dai 25.866 euro per abitante nella provincia di Milano ai 14.290 euro di Lodi, con una differenza tra il massimo e il minimo provinciale di 81 punti percentuali. Nel Lazio si va dai 20.965 euro di Roma ai 13.285 euro di Rieti (57,8% di differenza). 

I dati arrivano dal Censis e sono stati diffusi nel corso dell’ultimo appuntamento di riflessione “Un mese sociale”, dedicato ai “Vuoti che crescono”. Si allarga anche la forbice su disoccupazione, densità d’impresa e export: se sono noti i divari tra le regioni italiane in termini di occupazione, oggi si ampliano anche quelli infra-regionali. 

Si passa – dice il Censis – da un tasso di disoccupazione del 5,9% registrato nella provincia di Reggio Emilia al 14,2% di Ferrara, dal 13,6% di Avellino al 25,8% di Napoli, dal 15,5% di Taranto al 22,1% di Lecce. 

Anche la densità di imprese attive sul territorio è diventata più disomogenea. Si oscilla dalle 337.837 imprese presenti nella provincia di Roma alle 13.156 di Rieti, dalle 285.677 di Milano alle 14.493 di Sondrio, dalle 225.958 di Napoli alle 30.280 di Benevento, dalle 202.114 di Torino alle 12.184 della provincia di Verbania-Cusio-Ossola. 

Se nel 2005 le attività economiche romane erano 18 volte quelle del reatino, otto anni dopo (nel 2013) sono 25 volte di più. Ed è aumentata anche la variabilità relativa al valore delle esportazioni dei territori provinciali all’interno delle singole regioni, nell’ultimo decennio cresciuta in media di circa 1.600 euro pro capite. 

Nel 2003 il differenziale medio del valore dell’export raggiungeva i 3.300 euro per abitante, nel 2013 supera i 4.900 euro. La regione dove la variabilità tra le province risulta più elevata è la Sicilia, con agli antipodi le province di Siracusa (18.610 euro di export per abitante) e di Enna (57 euro).  

Il rischio – sottolineano il direttore generale, Giuseppe Roma e il presidente Giuseppe De Rita del Censis – è che si proceda allo svuotamento delle responsabilità locali senza fare le opportune distinzioni in termini di virtuosità degli enti, analisi di efficienza nell’erogazione dei servizi, valutazione del gradimento delle comunità locali.
 
Alla presentazione del rapporto Censis sono intervenuti il responsabile del settore Territorio e reti Marco Baldi, il presidente della Provincia di Lucca Stefano Baccelli, il presidente dell’Uncem Enrico Borghi, il presidente della Regione Abruzzo Luciano D’Alfonso e il segretario generale di Unioncamere Claudio Gagliardi. (ANSA).

Amianto

Amianto a Genova: Consegnato esposto denuncia di Cgil, Cisl e Uil in procura

Circa trecento persone hanno partecipato alla protesta per le morti causate dall’amianto nelle strade del centro di Genova. Il corteo ha bloccato la sopraelevata per una ventina di minuti prima di arrivare a palazzo di giustizia dove è stato consegnato in procura l’esposto denuncia messo a punto dai tre sindacati Cgil, Cisl e Uil per chiedere che si dia seguito ai circa 450 procedimenti giudiziari ancora pendenti collegati alle morti per amianto a Genova. 

La manifestazione è coincisa oggi con l’udienza preliminare che deve decidere il rinvio a giudizio di una trentina di pensionati dell’Ansaldo indagati per supposta indebita percezione previdenziale per l’esposizione all’amianto.

I manifestanti sono stati quindi ricevuti in Regione dall’assessore all’occupazione Giovanni Vesco il quale ha riferito che ieri, insieme al governatore Burlando, ha inviato una lettera al ministro del Lavoro Giuliano Poletti, segnalando l’emergenza amianto. “L’auspicio – hanno spiegato i sindacati – è che si tenga un nuovo incontro con Poletti, che sarà venerdì a Genova per l’assemblea regionale di Legacoop. (ANSA).

Donne

Donne: Cgil, servono politiche mirate per il lavoro

“Nel giorno in cui su grandi quotidiani nazionali si leggono articoli sull’avanzamento delle donne italiane nella politica e nelle posizioni apicali, l’Istat segnala il record della disoccupazione per le donne, che sfiora oramai il 14%, il livello più alto dall’inizio delle serie storiche mensili (gennaio 2004)”. E’ quanto si legge in una nota, diffusa dalla Cgil Nazionale.

 “Il cambiamento c’è stato – scrive il sindacato – soltanto dove maggiore è stata la pressione per portare le donne ad essere protagoniste, ma questi numeri dimostrano che la loro condizione è ancora troppo debole, che riguarda soltanto alcuni settori e che in generale le donne sul lavoro non hanno adeguati riconoscimenti”. 
  
“Se, come era previsto nel Trattato di Lisbona, il tasso di occupazione femminile fosse al 60%, il nostro Pil aumenterebbe di un 7%. Non è dunque soltanto di un problema di equità ma di benessere per tutti, significherebbe fare un investimento sul futuro del Paese, che è al 72° posto nella classifica mondiale per le pari opportunità tra uomini e donne, con l’occupazione femminile tra le più basse d’Europa: al 46,2%”.

“Quello dell’Italia è un grave ritardo, non solo culturale, ma dell’intera economia. Perché si possa parlare veramente di svolta, per realizzare un processo di parità vero, è necessaria un’accelerazione, servono politiche mirate per il lavoro. E in fretta”, conclude.

Immigrati

Inca – Immigrati, diritto assegno nuclei familiari numerosi

L’assegno per nuclei familiari numerosi è un diritto anche per gli immigrati. A dirlo l’Inca, il patronato della Cgil, ricordando che “grazie all’azione legale patrocinata dall’Inca di Perugia, il tribunale del capoluogo umbro ha condannato l’Inps al pagamento dell’assegno previsto per i nuclei familiari numerosi a una donna del Camerun con 3 figli a carico”.

“Si tratta di un’altra buona notizia -fa notare- per gli immigrati: a tre mesi dall’analoga sentenza della Corte europea per i diritti dell”uomo si ribadisce infatti, ancora una volta, che è un diritto degli immigrati, ancorché riconosciuto da leggi italiane, l’accesso alle prestazioni di welfare e dunque che non possono valere motivazioni discriminatorie legate alla nazionalità”.

“Per il tribunale di Perugia -continua l’Inca- non solo vale la regola generale di uguaglianza ma poiché il diritto degli stranieri extracomunitari soggiornanti di lungo periodo di usufruire di detto assegno era ricavabile già dal decreto legislativo numero 3/2007, la decorrenza del diritto deve considerarsi già a partire da quell’anno”.

“Un orientamento che ha di fatto annullato -ammette il patronato della Cgil- la pretesa dell’Inps di far decorrere il pagamento dell”assegno solo a partire dal 2013, anno in cui è stata approvata la legge numero 97. Il risultato finale è che ora l’Inps non solo dovrà corrispondere quanto dovuto alla donna, ma sarà tenuto a pagare tutti gli arretrati a partire dalla presentazione della richiesta e cioè a partire dal 2009″.

”Anche questa sentenza, come le tante che si sono succedute negli ultimi anni, rappresenta l’espressione dell’impegno -afferma Franca Gasparri, del collegio di presidenza dell’Inca e coordinatrice dell’Inca Umbria- con cui il nostro patronato cerca di incoraggiare l’affermazione di una nuova cultura della coesione in Italia, partendo da una regione dove gli immigrati sono una realtà tutt’altro che marginale”.

ASS. LIBERA

Mafia: Cgil e Libera, garantire lavoratori aziende confiscate

Non può esserci una lotta antimafia efficace senza avere massima attenzione ai danni sociali e ai costi economici che le mafie producono: lo ha detto oggi Luciano Silvestri della Cgil, illustrando in Commissione Giustizia alla Camera le proposte del Comitato “Io Riattivo il Lavoro” sui beni confiscati alle mafie.
“La proposta di legge d’iniziativa popolare che abbiamo presentato – ha spiegato parlando a nome delle organizzazioni
aderenti, cioè Acli, Arci, Avviso, Centro Studi Pio La Torre, Cgil, Legacoop, Libera e Sos Impresa – si pone proprio quest’ambizione: sfidare le mafie sul terreno economico, assicurare sicurezza sociale ai lavoratori inconsapevoli della
condotta delittuosa del proprio datore di lavoro, e ai territori maggiormente colpiti la continuità produttiva di queste aziende che, qualora bonificate, potrebbero costituire un riferimento per l’affermazione della legalità in ambito economico, a maggior ragione per la localizzazione della maggior parte delle stesse, situate, per il 73% dei casi, nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa”.

Silvestri ha denunciato un “paradosso” che si consuma da anni: “se da un lato la disposizione delle misure di prevenzione antimafia è fondamentale per sottrarre beni frutto di attività illecite, dall’altro le lungaggini della fase giudiziaria prima, e amministrativa poi mettono a serio rischio la continuità produttiva dell’azienda. La conseguenza è la perdita del posto di lavoro per migliaia di lavoratori. Mentre le mafie riescono ad assicurare un regime di welfare, seppur criminale, lo Stato, quando interviene con un provvedimento di sequestro e poi di confisca non riesce a garantire un adeguato regime di sicurezza sociale, continuità di lavoro e reddito, condannando i lavoratori ad una sorta di limbo fatto di incertezza lavorativa e di accesso agli ammortizzatori sociali”.

Un’altra difficoltà, ha detto, riguarda il ruolo, “sempre più marginale”, che sta assumendo l’Agenzia nazionale per i beni confiscati. “Più volte abbiamo sollecitato tale istituto ad assicurare relazioni sindacali più trasparenti ed efficaci, con l’obiettivo di risolvere nella maniera più condivisa possibile le tante emergenze esplose in diversi territori in merito a procedure di licenziamento collettive che hanno coinvolto lavoratori delle aziende sequestrate o confiscate. Più in generale ci sentiamo di affermare che la scarsa attitudine delle Istituzioni competenti a considerare la gestione di tali aziende
una questione di natura economica e gestionale, piuttosto che di ordine pubblico, ha costituito – al pari di una scarsa preparazione e motivazione di alcuni amministratori giudiziari- uno dei motivi principali del fallimento di circa il 93% delle aziende e la conseguente perdita di lavoro per circa 80.000 lavoratori”.

“La nostra proposta – ha detto ancora Silvestri – cerca di risolvere con pochi correttivi normativi queste criticità, con l’obiettivo di valorizzare pienamente le potenzialità produttive che hanno le aziende sequestrate e confiscate”. 

Pensioni

Ma i senegalesi vanno in pensione?

Da molti anni è in corso tra Italia e Senegal una complessa trattativa per la stipula di un accordo bilaterale sui diritti previdenziali, che consentirebbe ai lavoratori senegalesi di esportare le prestazioni, di totalizzare i contributi e di godere della pensione anche in caso di rimpatrio prima di aver raggiunto l’età pensionabile, ma nonostante la redazione di testi condivisi non è mai arrivati però alla stipula definitiva dell’accordo.

Basti pensare che, come è stato più volte evidenziato, i lavoratori senegalesi (e stranieri in generale) contribuiscono alle entrate dell’Inps versando i contributi ma quasi mai riescono a raggiungere la pensione perché solitamente rientrano nel Paese di origine prima di aver raggiunto l’età o l’ammontare dei versamenti previsti dalla legge. Il risultato è che gli immigrati pagano ogni anno 7 miliardi di contributi ma non ricevono quasi nulla in termini di pensione. Benché gli stranieri nel nostro Paese rappresentino circa il 13% della forza lavoro, percepiscono solo lo 0,2% delle pensioni complessivamente pagate dall’Inps.

Per di più, nel momento in cui lasciano definitivamente l’Italia, nemmeno possono percepire la cosiddetta “pensione sociale” che viene concessa a chi raggiunge i 65 anni di età, ma solo se risiede stabilmente in Italia. Il risultato è, per i senegalesi, quello di versare inutilmente i contributi senza poter mai ottenere una pensione, sia pure di piccola entità e calcolata sulla contribuzione versata. E’ stato rilevato che si tratta di un ’incentivo al lavoro nero.

L’11 e 12 dicembre u.s. si è tenuto a Dakar il convegno “Costruire un ponte tra Italia e Senegal. Per la tutela del lavoro migrante” organizzato dalle associazioni Progetto Diritti, Roma-Dakar, Dokita onlus, Centre Doxandem, e con la partecipazione finanziaria del Ministero dell’Interno. Al convegno hanno partecipato esponenti di istituzioni ed associazioni senegalesi e italiane, delle università di Dakar e di Roma, del Ministero dell’Interno e dei Ministeri senegalesi del Lavoro e degli Affari Esteri. Nel corso dei lavori si è discusso di politiche migratorie, di migrazione consapevole e di sostegno ai progetti di ritorno, con una particolare attenzione alle connesse questioni previdenziali e pensionistiche. Al termine della conferenza internazionale i rappresentanti dell’Inca Cgil, Claudio Piccinini, di Progetto Diritti, Mario Angelelli e Arturo Salerni, di Roma Dakar, Kebe Cheikh, e del Centre Doxandem, Francesca Grassi e Mambaye Diop, hanno chiesto unitariamente alle forze politiche parlamentari italiane di svolgere ogni passo necessario nei confronti del Governo italiano affinché avvii senza ritardo i rapporti con il governo del Senegal per la sottoscrizione della convenzione bilaterale in materia previdenziale.

Grazie all’opera di pressione e di persuasione esercitata dagli appartenenti alle organizzazioni sopra menzionate, un nutrito gruppo di parlamentari italiani ha rivolto al Governo l’interpellanza numero 2-00534, con la quale viene sollecitata l’adozione rapida di un accordo bilaterale con il Senegal.

Alcuni giorni fa si è tenuto presso la Camera dei Deputati, nei locali di Palazzo Marini a Via della Mercede, un convegno, promosso dalle associazioni Roma-Dakar e Progetto Diritti onlus, di sostegno all’iniziativa parlamentare con cui è stato chiesto al Ministro del Lavoro e al Ministro degli Affari Esteri di riferire in merito allo stato “dei rapporti tra la delegazione italiana e quella senegalese nella stipula di una convenzione in tema di sicurezza sociale e se sia intenzione del Governo e, in caso di risposta affermativa, con quali tempi, modalità e contenuti, riprendere i contatti con il Senegal per l’adozione di un accordo bilaterale”. Alla conferenza sono stati invitati i Deputati promotori dell’iniziativa, i rappresentanti dell’associazionismo senegalese, alcuni studiosi della previdenza internazionale, i presidenti dei principali patronati italiani e alcuni rappresentanti delle istituzioni senegalesi. Da parte di tutti i partecipanti è stata espressa la volontà di continuare l’iniziativa, in primo luogo in sede parlamentare, per spingere il Governo italiano alla stipulazione di una Convenzione.