In pochi giorni si è passati dall’approvazione della data del referendum all’abolizione dei voucher con Decreto. Breve riflessione a mente fredda…

Lunedì 6 marzo era trapelata qualche notizia, il giovedì successivo si parlava di Referendum (a proposito di contenimento della spesa pubblica…) indetto dalla CGIL per il prossimo 28 maggio, ma ecco che con colpo di mano, venerdì 17 marzo 2017, veniva pubblicato in G.U. il Decreto Legge no. 25/2017 che a firma del Pres. Mattarella, sentenzia la morte del voucher, senza troppa agonia.

Il Decreto scarno in tre articoli, liquida in tutta fretta il lavoro accessorio previsto agli artt. da 48 a 50 del D. Lgs. 81/2015, senza un rimando, un’indicazione, lasciando così professionisti ed utilizzatori che avevano perso anni di vita in coda dal tabaccaio di fiducia, nell’angoscia per l’intero week-end. Lunedì 20 finalmente qualche spiraglio: i buoni lavoro – vouchers, non saranno più acquistabili utilizzabili, con la possibilità però di usare sino a fine anno e senza obbligo di comunicazione preventiva quelli accaparratisi sino a venerdì 17.

 

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La riflessione spontanea verte sull’intero istituto del lavoro accessorio, opera meritoria della Legge Biagi, per sottrarre una larga fetta di lavoratori che prestavano lavoro di tipo occasionale/marginale, senza alcuna forma di tutela previdenziale ed infortunistica.

Il Libro Bianco 276/2003 aveva individuato come aree di prestazione: piccoli lavori domestici, giardinaggio, ripetizioni private, maneggi ed imprese familiari e come prestatori giovani sotto i 25 anni per i periodi di vacanza e sopra i 25 senza limite di periodo, oltre ai pensionati che in tal modo potevano arrotondare la pensione, con un limite annuo di 5.000,00 euro; la Legge Fornero 92/2012 ne delinea i contorni, adeguando ai prezzi Istat il compenso, senza necessità di Comunicazione preventiva al Centro per l’impiego, viene chiarito che il percettore per ogni ora di lavoro, con voucher da 10,00 euro, ne guadagni 7,50 ed il restante viene versato per il 13% alla gestione separata INPS, il 7% per l’assicurazione contro gli infortuni, presso l’INAIL, mentre il rivenditore ha diritto al 5%..

Se la finalità consisteva nella tutela di quei lavoretti che necessitano in ogni casa, è facile comprendere come la casalinga tipo, premiata con l’appellativo di Committente, si fosse ben presto scoraggiata dal seguirne l’iter di acquisto: in via telematica, sempre se in possesso di un pc ed internet, oppure direttamente presso gli uffici INPS, poi la prenotazione presso l’INPS stesso o presso il tabaccaio o lo sportello bancario convenzionati, ma che si trovano dall’altra parte della città, per avere speso alla fine 100,00 euro per 10 vouchers, pari a 10 ore di lavoro. A sua volta naturalmente al percettore, tocca fare lo stesso tragitto per recarsi riscuotere il voucher dal tabaccaio.

Eppure il lavoro accessorio sembra godere di gran successo negli anni, tanto da venir largamente impiegato nelle piccole attività che non desiderino sobbarcarsi il costo di un’assunzione, tanto più che con la nuova riforma del D. Lgs. 81/2015 si elimina la dicitura di accessorialità, si allarga la platea alla multicommitenza aprendo la via alla ristorazione e persino al lavoro domestico ed innalzando il limite a 7.000 Euro.

Ma non tutto è così semplice, l’Art. 49 infatti predispone l’obbligo della comunicazione preventiva, telematica alle Direzioni del Lavoro Territoriali per verificarne la tracciabilità, prassi rincarata nel 2016 con l’introduzione dell’obbligo con cadenza quotidiana ed almeno 60 minuti prima dell’inizio della prestazione. Povero gestore di pizzeria che trovandosi il locale pieno ed un cameriere ammalato proprio il sabato sera, debba ricordarsi di svolgere tutta questa trafila. Povero si’, perché la condotta elusiva, avrebbe ricondotto la prestazione a mero lavoro nero.

Cui prodest? E’ morto il voucher, viva il voucher! Ma è stato uno strumento così utile e davvero così sfruttato? Sfruttato sì, utile no, poiché è andato a riempire la sacca dei lavoratori precari, utilizzati saltuariamente e malpagati.

E adesso quindi cosa potrà succedere? Il Decreto Legge deve essere convertito entro 60 giorni, ma la macchina del Referendum si sarà già mossa per allora. Tutti gli scenari sono possibili, mancata affluenza, considerando che la fascia over 65 anni sia poco interessata all’argomento, conferma dell’abolizione, modifica, tenuta in vita.

Voci di corridoio parlano anche dell’applicazione del modello lavoratori “Jobbers” tedesco, taylorizzabile in Italia. In pratica in Germania esistono due modelli di lavoro accessorio, i Mini Jobbers che lavorano per un massimo di 15 ore a settimana, con un compenso annuo di 5.400,00 Euro, che per il settore commerciale si innalza a 7.800,00 Euro ed i lavoratori a breve termine non professionisti sempre con un reddito massimo annuo di 7.800,00 Euro, ma per 50 giornate di lavoro nell’anno civile e con un rimborso spese forfettario di 2.400,00 Euro l’anno, defalcabile dal percepito. Un Mini Jobber ha diritto a sei settimane di malattia, ad un assegno di maternità ed a 24 giornate di ferie l’anno per sei giornate lavorative a settimana.

Come funzionerebbe in Italia? Mettiamo a confronto il lavoro di un operaio di una piccola impresa, il cui costo annuo ammonti a 30.000,00 Euro, per 40 ore di lavoro settimanali. Un Mini Jobber ha un tetto mensile di ore lavorative pari a 52,9 ( media settimanale 13.3) per un costo orario di 8,50 Euro, mensile di 449,00 ed annuale di 5400,00 Euro. Per coprire le 40 ore dell’operaio italiano, sarebbero necessari 3 Mini Jobbers Tedeschi che, costerebbero complessivamente 16.200,00 Euro (45 ore totali a settimana). Un bel risparmio! Sulla carta sembrerebbe di sì, nella realtà: il modello tedesco ha creato un nuovo popolo di lavoratori precari, sottopagati e con un contributo pensionistico risibile. Si pensi che se un individuo lavorasse 37 anni come Mini Jobber, avrebbe un versamento contributivo totale di 1380,84 Euro.

Cosa ci si possa augurare, considerando che le agevolazioni per le assunzioni 2017, sono convogliate per lo più nel Programma Garanzia Giovani, panacea per dare un futuro alle nuove generazioni. Ma siamo un Paese di artisti ed inventori e qualcosa sappiamo sempre inventarci.