COSE DI SARDEGNA
L’INDIPENDENZA
PRESUPPONE
IL BILINGUISMO
di FRANCESCO CASULA
Paolo Maninchedda,
consigliere regionale
sardista e presidente della
commissione Autonomia,
rilancia con forza la sua
proposta “sovranista”, che ricalca
l’ordine del giorno approvato
recentemente dal Consiglio
regionale, ma nel contempo
l’articola e l’oltrepassa. Dandogli
una valenza strategica e insieme
elettorale: si tratta certo di aprire un
conflitto con lo Stato e di ridiscutere
le ragioni della permanenza
dell’Isola nella Repubblica italiana,
ma insieme operare perché fin dalle
prossime elezioni regionali venga
scomposto l’attuale quadro politico,
rompendo con gli schieramenti e le
vecchie appartenenze. Le nuove
aggregazioni e alleanze dovranno
avere rinnovate discriminanti:
«Sardegna contro Italia. Federalisti
europeisti contro unionisti». Non
più dunque centrodestra contro
centrosinistra. Cui presiederebbero
ormai discrimini datati e ideologici.
E comunque di importazione. Che
storicamente hanno legato l’Isola
all’Italia, mantenendola in una
posizione di dipendenza coloniale.
Certamente a livello economico nel
passato e, ancor più oggi, massacrata
dalla politica del governo Monti. Ma
anche, per non dire di più, a livello
culturale e linguistico: versante che
Maninchedda trascura o comunque
sottovaluta o non sottolinea a
sufficienza. Sbagliando. Perché
senza bilinguismo perfetto ovvero,
senza lingua sarda liberata dalla
marginalità, insegnata nelle scuole
di ogni ordine e grado, parlata e
usata in tutte le occasioni, alla pari
dell’italiano, non si dà alcun
autogoverno. E tanto meno alcuna
indipendenza. Per innescare un
processo conflittuale con lo Stato
italiano occorre però che il variegato
arco dei partiti e dei movimenti
sardisti e indipendentisti si federi,
trovi momenti di unità e si ponga
come motore di un processo
sovranista aggregando anche forze
politiche tradizionalmente italo
centriche, perché per intanto si
liberino dal cappio centralista. Ad
iniziare da Sel, che negli ultimi
tempi ha assunto posizioni
interessanti. Forse sulla scia del suo
padre nobile, Fausto Bertinotti, che
ha scritto: «Il tempo delle forze
politiche centralizzate a livello
nazionale è finito. È morta
l’organizzazione della politica che
ha considerato i territori come
periferia. Continua a camminare ma
non si accorge di essere morta.
Bisogna rompere lo schema centro –
periferia e ricostruire, non dal basso
che è una genericità, ma
dall’identità dei territori».