LA STORIA
E LA LEZIONE
DI MARTINI
del 16/11/2011
di FRANCESCO CASULA
A Pietro Martini, uno dei
padri della storiografia
introdurre fra gli
studenti dell’Isola
l’insegnamento della Storia sarda, le
autorità governative piemontesi
risposero che “nelle scuole dello
Stato debbasi insegnare la storia
antica e moderna, non di una
provincia ma di tutta la nazione e
Tale concezione, da ricondurre a un
progetto di omogeneizzazione
culturale, la ritroviamo pari pari
anche nelle Leggi sull’istruzione
elementare obbligatoria nell’Italia
pre e post unitaria: con i programmi
scolastici, impostati secondo una
logica rigidamente statalista e
italocentrica, finalizzati a creare una
coscienza “unitaria“, uno spirito
“nazionale“, capace di superare i
limiti – così si pensava – di una
realtà politico-sociale estremamente
composita sul piano storico,
linguistico e culturale. Questo
paradigma fu enfatizzato nel periodo
fascista, con l’operazione della
“nazionalizzazione” dell’intera storia
italiana ed è sopravvissuta
sostanzialmente ancora oggi, con i
programmi scolastici che escludono
la storia locale. Nonostante le
significative posizioni degli storici
francesi fin dagli inizi del Novecento
– come Marc Bloch, Lucien le Febvre
o Braudel – secondo i quali non vi è
una gerarchia di rilevanza fra storia
locale e storia generale e solo una
storia aperta e senza barriere
disciplinari, è capace di valorizzare la
vita degli uomini nel tempo e nello
spazio, indagando a tutto campo:
dalla cantina al solaio.
Ho ripensato a queste problematiche
leggendo il libro di Francesco
Ventaglio “Arbus, terra di carri e
buoi” (che verrà presentato il 18
Montegranatico di Arbus). Una bella
e rigorosa ricerca che rappresenta
una vera e propria sonda infilata nel
passato della cittadina del Medio
Campidano, che registra segni
etnologici e antropologici; un
bastimento carico di preistoria, storia
e di archeologia, ma soprattutto di
riti e tradizioni, di cultura materiale
e immateriale; un incunabolo
dell’identità etno-nazionale e
linguistica dei Sardi. Un libro
prezioso soprattutto per conoscere il
paesaggio agrario di Arbus e del suo
territorio ma anche del Medio
Campidano e della Sardegna intera.
L’autore ambirebbe ad essere letto in
modo particolare dai giovani perché
– scrive – “il futuro delle tradizioni
potrà rimanere vivo solo se loro lo
vorranno”.
truncare. myblog. it
Pietro Martini
Nato a Cagliari il 29 settembre 1800 e ivi morto il 17 febbraio 1866. Figlio di Nicolò (notaio sanremese) e di Giuseppa Rita Cadeddu. Laureatosi in giurisprudenza, si impiegò presso la Segreteria di Stato. Ebbe dapprima interessi letterari, poi si rivolse ai gravi problemi dell’Isola pubblicando, nel 1837-38, una ampia biografia degli uomini illustri di Sardegna, dove utilizzava le notizie raccolte dal Manno e dal Baille. L’affaticamento, seguito a questo lavoro, lo costrinse a lasciare la Segreteria di Stato per impiegarsi nella Biblioteca universitaria, di cui ottenne, nel 1844, la presidenza. Continuò in quegli anni la Storia del Manno fino al 1847, ossia fino alla fusione della Sardegna col Piemonte. Considerando autentiche le Carte d’Arborea, non unico fra i sardi, spese circa un ventennio della sua vita a studiarle e a elaborarle. Cattolico e liberale, difese sempre il principio di “libera chiesa in libero stato”, informando di questo principio la sua Storia ecclesiastica di Sardegna. Insieme ai fratelli Antonio e Michele, fu redattore dell’“Indicatore sardo”, settimanale giobertiano, in cui fu spesso portavoce e difensore dei provvedimenti governativi, attirandosi così le antipatie e l’odio di molti, tra cui il Tuveri e il Musio.