di Marco Travaglio
Nel film “Melinda e Melinda” di Woody Allen,
due autori teatrali discutono del senso della
vita. Uno sostiene che è comica, l’altro che è
tragica. E, per dimostrare ciascuno la propria
tesi, s’inventano due storie parallele con la stessa
protagonista: Melinda. Nella versione tragica, Melinda
scopre che l’uomo che ama la tradisce con la sua
migliore amica, e tenta il suicidio. In quella comica,
Melinda s’innamora e si fidanza con un pianista. Ecco,
anche il governo Monti può avere un pessimo finale o
un lieto fine. Dipenderà da quello che riuscirà a fare,
da quello che gli lasceranno fare, ma soprattutto da
quello che sembrerà aver fatto. Checchè se ne dica, in
questo Parlamento Monti ha più nemici che amici.
Anche nei partiti che ora gli sorridono e lo incensano.
Perchè il Parlamento è lo stesso che fino a due
settimane fa votava la fiducia al governo B. E
addirittura approvava a gran maggioranza (614
deputati e 151 senatori) il via libera al conflitto di
attribuzioni contro il Tribunale di Milano che pretende
di processare B. per il caso Ruby, con la credibilissima
motivazione che B. telefonò in questura perché
credeva Ruby la nipote di Mubarak. È a questa
maggioranza che Monti e i suoi ministri dovranno
chiedere il voto per le loro misure “lacrime e sangue”.
E, a ogni giorno che passa di qui alle elezioni, siano
esse anticipate nel 2012 o regolari nel 2013, quel voto
si farà più difficile e improbabile. Del resto non si vede
perchè B. (senza il quale il governo Monti non sarebbe
mai nato) dovrebbe mettere la faccia e il voto su
riforme che, giuste o sbagliate che siano, non ha mai
varato in 17 anni di carriera politica, per giunta in
piena campagna elettorale. Basta leggere i suoi house
organ e le sue tv, che non vanno neppure a far pipì
senza il suo avallo, per capire che lui finge di sostenere
il governo Monti (per salvare le sue aziende precipitate
in Borsa e per non apparire lo sfasciacarrozze che è
sempre stato), ma in realtà è già stabilmente e
ferocemente all’opposizione. Attende solo l’occasione
del primo provvedimento impopolare per scatenare la
piazza, anche per non regalare milioni di scontenti alla
Lega. Dall’altra c’è un Pd sempre più diviso, che oggi
magnifica il governo di larga Intesa, ma domani dovrà
fare i conti con la Cgil, la Fiom e i milioni di lavoratori
da esse rappresentati, davvero poco inclini a pagare il
conto di una crisi che non hanno provocato, ma solo
subìto. Di Pietro, con la sua fiducia condizionata, e
Vendola, che ha la fortuna di star fuori dal Parlamento,
sono pronti ad approfittarne. E poi c’è l’aspetto
mediatico, fondamentale in un Paese in cui i media
sono quelli che sono. Se la grande stampa, per ora,
scioglie inni e ditirambi al governissimo che fa
benissimo, le tv sono sotto il controllo pieno e
incondizionato di B. Che, grazie alle sue tv, ai suoi
Vespa, Minzolingua e Ferrara, farà di tutto per
ascriversi gli eventuali meriti del governo tecnico e per
scaricare le misure impopolari sulle solite sinistre
affamatrici e vampiresche. Per questo B. è maestro nel
fare lo gnorri, nell’atteggiarsi a vittima e nel rigirare
frittate: riesce a fingersi all’opposizione anche quando
governa (la guerra in Libia l’ha approvata la sua
maggioranza, ma agli occhi della gente è parsa una
robaccia della sinistra cattiva e dell’E u ro p a
cattivissima). Almeno in questo, Monti e i suoi grigi
ministri dovranno imparare da B.: tagliare subito,
drasticamente, i costi, i privilegi e le illegalità delle
caste e delle cricche, mettendo all’ordine del giorno
subito una draconiana legge sul conflitto d’i n t e re s s i
(Passera permettendo); e solo dopo imporre sacrifici ai
cittadini comuni e spiegarli col disastro ereditato dal
governo B. (altro che non andare in tv, come qualche
sciocchino ha auspicato). In caso contrario, nel giro di
pochi mesi, il governo tecnico ci restituirà B. e Bossi
come nuovi. Un finale che non sappiamo dire se sia
più tragico o più comico.