Sud, il lavoro delle donne slitta verso l’Africa

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Il divario Nord/Sud

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Il divario Nord-Sud, per quanto riguarda la dinamica dell’occupazione femminile, dal 2003 ad oggi è aumentato “in misura considerevole”, al punto che “l’analisi economica deve necessariamente fare riferimento ad almeno due realtà distinte: da una parte il Centro-Nord, omogeneo al contesto dell’Unione Europea, dall’altra il Mezzogiorno che, in assenza di politiche efficaci, capaci di incidere sul tessuto socio-cultuale prima ancora che su quello economico, pare destinato ad una deriva spontanea verso le economie più arretrate dell’Africa mediterranea”. Questa l’analisi contenuta nel rapporto sul Mezzogiorno 2010 dell’Ires.

Secondo l’istituto di ricerca della Cgil “la differenza territoriale tra tassi di attività, se letta per titolo di studio, è particolarmente rilevante nella componente a basso livello di scolarità. La partecipazione femminile tra le non scolarizzate del Sud (fino alla licenza media) raggiungeva nel 2008, nella fascia di età tra i 30 e i 49 anni, un magro 25%, contro il 63% del Nord ed il 51% del Centro”. Questo dato, “più che riflettere i diversi orientamenti culturali chiama in causa ambiti e qualità delle occasioni di lavoro offerte alle donne meridionali a basso livello di scolarità: quando ad un’occupazione modesta e insicura – rileva il rapporto Ires – corrisponde una retribuzione insufficiente a compensare il reddito equivalente al lavoro domestico e di cura a cui si rinuncia e quando il sistema di welfare non garantisce i servizi minimi di sostegno alla famiglia, non deve sorprendere lo scoraggiamento che induce molte donne a ritirarsi dal mercato, soprattutto dopo la nascita di un figlio”.

Istruzione superiore, ‘terziarizzazione”‘ dell’economia e flessibilità hanno, riporta la ricerca, favorito l’ascesa delle donne nel mondo del lavoro. La flessibilizzazione, spiega il rapporto, “ha reso certamente più dinamico il confronto tra domanda e offerta, rimuovendo alcuni elementi di rigidità, ma ha generato un’area estesa di instabilità occupazionale, fatta di contratti a termine (dipendenti, in somministrazione e autonomi) e caratterizzata da alta mobilità tra impieghi diversi e tra occupazione e disoccupazione”. Nel Sud quest’area è relativamente più ampia, persistente e particolarmente diffusa tra le donne: “nel 2008, con riferimento alle classi di età centrali (35-54 anni), interessava quasi una donna adulta occupata su 4 (una su tre con basso titolo di studio)”.

Secondo l’Ires “il lavoro temporaneo rischia di relegare le lavoratrici in una condizione di marginalità sociale, caratterizzata da discontinuità nei rapporti professionali, redditi ridotti e spesso del tutto insufficienti. Non a caso la frazione di donne occupate in età 25-54 anni è maggiore per chi non ha figli (66.5%, media 2008) rispetto a chi ha affrontato la maternità (49.2%): una donna ‘precaria’ dipende ancora dal partner, in termini di reddito e di copertura assicurativa, e rafforza il modello basato sul maschio lavoratore capofamiglia (strong male breadwinner) e sulla asimmetria di genere nella distribuzione del lavoro”. Questo circolo, definito ‘vizioso’, vale secondo il rapporto “per l’occupazione femminile italiana nel suo complesso ma soprattutto nel Mezzogiorno, dove lo stato sociale denuncia drammatiche carenze e il contesto culturale è spesso ostile all’emancipazione della donna”.

Sud, il lavoro delle donne slitta verso l’Africaultima modifica: 2010-06-01T12:53:00+02:00da vitegabry
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