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Dagli archivi della massoneria spuntano i documenti sui 3 milioni di franchi in piastre turche del Garibaldi

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Garibaldi incontra un inviato del gen. Lanza per trattare l’armistizio.

VENEZIA – Adesso, ecco la sconcertante rivelazione. Viene dal convegno “La liberazione d’Italia nell’opera della Massoneria”, organizzato a Torino nel settembre del 1988 dal Collegio dei Maestri Venerabili del Piemonte, con l’appoggio di tutte le Logge italiane. Di recente sono stati pubblicati gli Atti, a cura dell’editrice ufficiosa dei massoni. Una fonte sicura dunque, visto il culto dei “fratelli” per quel Garibaldi che fu loro Gran Capo. Un breve intervento – poco più di due paginette, ma esplosive – a firma di uno studioso, Giulio Di Vita, porta il titolo “Finanziamento della spedizione dei Mille”. Già: chi pagò?

Come riconosce lo stesso massone autore della ricerca: «Una certa ritrosia ha inibito indagini su questa materia, quasi temendo che potessero offuscare il Mito. Quanto viene solitamente riferito è un modesto versamento —circa 25.000 lire— fatto da Nino Bixio a Garibaldi in persona all’atto dell’imbarco da Quarto». E invece, lavorando in archivi inglesi, l’insospettabile Di Vita ha scoperto che, in quei giorni, a Garibaldi fu segretamente versata l’enorme somma di tre milioni di franchi francesi, cioè (chiarisce lo studioso) «molti milioni di dollari di oggi».

Il versamento avvenne in piastre d’oro turche: una moneta molto apprezzata in tutto il Mediterraneo. A che servì quell’autentico tesoro? Sentiamo il nostro ricercatore: «È incontrovertibile che la marcia trionfale delle legioni garibaldine nel Sud venne immensamente agevolata dalla subitanea conversione di potenti dignitari borbonici alla democrazia liberale. Non è assurdo pensare che questa illuminazione sia stata catalizzata dall’oro». Anche perché ai finanziamenti segreti se ne aggiunsero molti altri (e notevolissimi, palesi) frutto di collette tra tutti i “democratici” di Europa e America, del Nord come del Sud. Sarebbero così confermate quelle che, sinora, erano semplici voci: come, ad esempio, che la resa di Palermo (inspiegabile sul piano militare) sia stata ottenuta non con le gesta delle camicie rosse ma con le “piastre d’oro” versate al generale napoletano, Ferdinando Lanza.

Con la prova dei molti miliardi di cui disponeva Garibaldi si può forse valutare meglio un’impresa come quella dei Mille che mise in fuga un esercito di centomila uomini (tra i quali migliaia di solidi bavaresi e svizzeri), al prezzo di soli 78 morti tra i volontari iniziali. Ma c’è di più: il poeta Ippolito Nievo se ne tornava da Palermo a Napoli al termine della spedizione. Il piroscafo su cui viaggiava, l’”Ercole”, affondò per una esplosione nelle caldaie e tutti annegarono. Si sospettò subito un sabotaggio ma l’inchiesta fu sollecitamente insabbiata. Le cose possono ora chiarirsi, visto che il Nievo, come capo dell’Intendenza, amministrava i fondi segreti e aveva dunque con sé la documentazione sull’impiego che nel Sud era stato fatto di quei fondi. Qualcuno evidentemente non gradiva che le prove del pagamento giungessero a Napoli: non si dimentichi che recenti esplorazioni subacquee hanno confermato che il naufragio della nave del poeta fu davvero dovuto a un atto doloso.

Si cominciava bene, dunque, con quella “Nuova Italia” che i garibaldini dicevano di volere portare anche laggiù: una bella storia di corruzioni e di attentati. Ma Nievo portava, pare, solo ricevute: dove finirono i miliardi rimasti, e dei quali solo pochissimi capi dei Mille erano a conoscenza? In ogni caso, era una somma che solo un governo poteva pagare. E, in effetti, la fonte del denaro era il governo inglese (non a caso lo sbarco avvenne a Marsala, allora una sorta di feudo britannico, e sotto la protezione di due navi inglesi; e proprio su una nave inglese nel porto di Palermo fu firmata la resa dell’isola). Come riconosce il «fratello» Di Vita, lo scopo della Gran Bretagna era quello già ben noto: aiutare Garibaldi per “colpire il Papato nel suo centro temporale, cioè l’Italia, agevolando la formazione di uno Stato protestante e laico“. Le monarchiche isole pagarono cioè il repubblicano Eroe perché distruggesse un Regno, quello millenario delle Due Sicilie, purché anche l’Italia, «tenebroso antro papista», fosse liberata dal cattolicesimo.

Milo Bozzolan

La vera cronaca sull’Eroe dei Due Mondi

 

La vera cronaca sull’Eroe dei Due Mondi

Caro e stimatissimo Dottor Granzotto, spero stia di buon umore ed in grande spolvero, ché ho trovato qualcosa di interessante sul Nostro Eroe. Leggendo un bel pezzo di Ruggero Guarini sui neo-borbonici, ho appreso che in un articolo apparso sulla gazzetta «Piemonte» del 1860, così s’apostrafavano le imprese del Mitico. «Le imprese di Garibaldi nelle Due Sicilie parvero sinora così strane che i suoi ammiratori hanno potuto chiamarle prodigiose. Un pugno di giovani guidati da un audacissimo sconfigge eserciti, piglia d’assalto città in poche settimane, si fa padrone di un reame di nove milioni di abitanti. E ciò senza navigli e sez’armi: altro che veni, vidi, vici! Non hawi Cesare che tenga a petto di Garibaldi. I miracoli non li ha fatti lui ma il generale Nunziante e li altri ufficiali dell’esercito che, con infinito onore dell’armata napoletana, disertarono la loro bandiera per correre sotto quella del nemico; i miracoli li ha fatti la Guardia Nazionale che, secondo il solito, voltò le armi contro il Re che gliela aveva date poche ore prima; li ha fatti il Gabinetto di Liborio Romano il quale, dopo aver genuflesso fino al giorno di ieri appiè del trono di Francesco II, si prostra ai piedi di Garibaldi. Con questi miracoli ancor io sarei capace di far la conquista, non dico della Sicilia e del Reame di Napoli, ma dell’universo mondo. Dunque non state a contare le prodezze di sua maestà Garibaldi I. Egli non è che il comodino della rivoluzione. Le società segrete che hanno le loro reti in tutto il paese delle Due Sicilie, hanno di lunga mano preparato ogni cosa per la rivoluzione. E quando fu tutto apparecchiato si chiamò Garibaldi ad eseguire i piani». Non trova questo sarcastico pezzo sensazionale?

Silverio Marchetti e-mail


Grazie, caro Marchetti. Io non mi perdo un rigo di quanto scrive Ruggero Guarini, ma può darsi che qualche lettore sia meno assiduo e non sarebbe giusto privarlo di questa interessante testimonianza sabauda sull’Eroe dei Due Mondi, diconsi due. Sento che ci siamo, che è giunto il tempo di riscrivere l’epopea risorgimentale alla luce della storia e non del mito. L’Italia è fatta, gli italiani non so, ma dicono di sì e dunque non c’è più bisogno di contar balle: tanto indietro non si torna. I Mille. «Tutti generalmente di origine pessima e per lo più ladra; e tranne poche eccezioni con radici genealogiche nel letamaio della violenza e del delitto». Questo il giudizio – espresso a Torino il 5 dicembre del 1861 – di don Peppino sui suoi Mille. Calatafimi. «Qui si fa l’Italia o si muore». Ma va. Le Camicie rosse si ritrovarono in un cul de sac, assalite dai Cacciatori del maggiore Sforza.

Bixio, a Garibaldi: «Generale,ritiriamoci». E Garibaldi: «Ritirarci? Dove?». Calatafimi non si tradusse nella Waterloo garibaldina perché il borbonico generale Landi diede a Sforza l’ordine di ritirarsi. Pare assodato che l’incommensurabile fellone avesse ricevuto dal cassiere dei Mille, Ippolito Nievo, un pagherò di 14mila ducati. Quando a cose fatte (ovvero a Regno delle due Sicilie annesso) si recò in banca per riscuoterlo, il cassiere gli fece notare che tre zeri erano stati malamente aggiunti e che dunque il credito risultava di 14 ducati. E a Landi prese un coccolone, restandoci secco. E Palermo? Anche lì Garibaldi stava per essere sbaragliato, ma al momento di sferrare il colpo di grazia, giunse al von Meckel l’ordine di mollare tutto e imbarcarsi col resto delle forze borboniche, 24mila uomini. «Eccelle, o’ wi quante simme. E ce n’aimma’i accussì?», eccellenza, lo vedete quanti siamo: e ce ne dobbiamo andare così?, sbottò un caporale dell’8° di linea sfilando innanzi a Lanza. E Lanza: «Va via, ubriaco». Storia patria, caro Marchetti, storia patria (e di Bronte parleremo un altro giorno).

granzotto

 

 

 


Paolo Granzotto

Storiaultima modifica: 2018-05-11T19:01:37+02:00da vitegabry
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