Sante Moretti

 

IN RICORDO

Il compagno Sante Moretti se n’è andato. Ma ci lascia molto

Sante Moretti se n’è andato. Lo ha fatto in punta di piedi, da autentico combattente quale è sempre stato per l’intera sua vita, non lasciando mai che la grave malattia che se l’è portato via diminuisse il suo impegno militante, generoso e intelligente, per la causa che è stata la ragione della sua esistenza: la lotta contro ogni forma di prevaricazione e di ingiustizia e per la realizzazione degli ideali comunisti a cui è stato fino all’ultimo indeflettibilmente coerente. Pensare che non lo rivedremo più ci riempie di una tristezza e di un’amarezza non raccontabili. Non potremo più contare sul suo prezioso contributo di analisi, di critica e di proposta che in particolare sulle materie previdenziali e pensionistiche Sante ci ha sempre offerto, con una competenza ed un’acutezza rare a trovarsi in un mondo politico in cui è alquanto diffusa, spesso anche a sinistra, approssimazione e superficialità. Solo pochi giorni fa l’ultimo suo scritto, per Liberazione, come sempre efficacissimo contributo sulle pensioni d’oro, che ripubblichiamo in queste pagine. Ma è soprattutto la passione di Sante che in questo orribile giorno vorremmo ricordare: uno sprone ed un insegnamento per tutti, giovani e anziani, a non cedere mai alla demoralizzazione, al pessimismo, men che meno alla resa, neppure nei momenti più difficili che la vita pubblica e la sorte personale riservano. Grazie Sante, per tutto quello che hai fatto e che ci hai insegnato. Un abbraccio fortissimo a Neda Graziani Moretti.


Breve (e certo inadeguata) biografia di Sante Moretti…

Nasce a Brisighella (Ravenna). Il 18 aprile 1934 avrebbe compiuto 80 anni prossimamente. Già a19 anni era capolega dei braccianti. Dai primi del 1962 fino al febbraio 1966 è stato segretario della Federbraccianti di Ravenna, organizzando nel periodo 1962/1966, le lotte anticipatrici del grande movimento del 1968 per natura, durata e radicalità. Dal 1966 fino al maggio del 1977 ha operato nella Federbraccianti nazionale. Dal maggio 1997, dopo il congresso della Federbraccianti, ha prestato la sua attività all’Inca Nazionale prima come responsabile dell’organizzazione, in seguito vicepresidente. Diversi compagni in CGIL consideravano l’Inca e lo SPI il “cimitero degli elefanti” cioè il parcheggio di dirigenti stanchi, ammalati o superati. Moretti aveva 44 anni e si sentiva un “rivoluzionario di professione” in quanto in qualsiasi ruolo, lo faceva per il socialismo e per il comunismo.
All’Inca Nazionale inoltre si è impegnato nella valorizzazione delle donne, relegate in ruoli impiegatizi sia a livello centrale che in periferia. Nel 1992 ha concluso l’esperienza da sindacalista, non aveva ancora 60 anni.
Dal 1991 fino alla fine dei suoi giorni si è impegnato totalmente alla nascita ed alla vita di Rifondazione Comunista. Ha svolto ruoli nazionali nel campo della previdenza (di cui era il responsabile nazionale), in particolare in quello pensionistico, collaborando alla stesura di opuscoli in questa materia. Ha collaborato con Liberazione con numerosi articoli e curato per quattro anni una rubrica settimanale sulle pensioni.
Ha organizzato diverse Feste di Liberazione a Roma e tre nazionali a Castel Sant’Angelo che sono state di grande impatto sulla città sul piano culturale, politico ed ideale e che hanno dato consistenti riscontri economici. Ha fatto parte del CPF e per alcuni anni della segreteria romana del PRC ricoprendo il ruolo di tesoriere. Contemporaneamente ha sempre lavorato nel suo circolo sul territorio del II Municipio da dove risiede dal 1966. Nel novembre del 2002 ha costituito, diventandone il presidente, l’associazione “Articolo 3 – diritti sociali e civili, culturale e di volontariato” un’ esperienza interessante nel campo dei diritti, nella promozione sociale, per dare spazio a chi non ne ha. Una associazione laica, antifascista e di sinistra.

…e una sua testimonianza sull’attività politica svolta nel quartiere Nomentano
(4 settembre 2012)

Nel 1966, ai primi di febbraio, mi sono trasferito a Roma con la famiglia. La decisione, presa a Via delle Botteghe Oscure a mia insaputa, è scaturita dal fatto che dovevo assumere il ruolo di dirigente nazionale della Federbraccianti/CGIL. Valse poco la resistenza dei compagni di Ravenna che mi proponevano segretario della Camera Confederale del Lavoro della provincia.
Venni ad abitare in Via Tigrè, dove vivo ancora, in un appartamento dell’Inail che mi aveva trovato la Cgil, come per tutti i compagni che dalla periferia venivano impegnati a livello nazionale.
Nella mia scala abitavano alcune famiglie di compagni con cui feci subito conoscenza. A Via Tigrè fra gli iscritti al Pci c’erano diversi compagni che erano stati perseguitati dai fascisti. All’inizio non fui coinvolto nell’attività della sezione del mio quartiere in quanto i dirigenti nazionali erano tenuti fuori dall’attività di base.
Nel II Municipio vi erano diverse sezioni del Pci:
• quella storica, costituita nel primo dopoguerra nella ex sede del fascio a Via Sebino
• quella a Via Alessandria a cui erano iscritti in maggioranza funzionari ed impiegati della Cgil che aveva ed ha sede in Corso d’Italia
• Quelle nei quartieri Flaminio, Parioli, Vescovio, Fomentano
• Due sezioni aziendali al Poligrafico e all’Enel.
Gli iscritti al Pci nella II Circoscrizione erano più di 1.500 che, negli anni successivi, superarono i 2.000. Tra gli iscritti consistente era la presenza di donne.
La mia sezione di riferimento (Nomentano) era ubicata a Via Homs in un manufatto (rudere) con una stanzetta che fungeva da ufficio ed un ambiente più ampio in cui (la cosa mi colpì positivamente) vi era una piccola biblioteca.
Questa sezione si occupava quasi esclusivamente delle borgate: Vigna Mangani, Borghetto Nomentano, Fosso di S. Agnese: circa 1.000 famiglie che vivevano in condizioni fatiscenti nelle baracche di lamiera e legno, senza servizi igienici. Quasi tutti erano immigrati del dopoguerra in particolare dall’Abruzzo e da altri paesi dove non c’era lavoro. Muratori o manovali, mentre le donne andavano a “servizio” dai benestanti dei quartieri adiacenti. Nelle borgate vi era anche delinquenza che, per merito del PCI, rimase a minimi livelli.. La borgata di Villa Mangani era più strutturata e politicamente la più rossa. IL PCI aveva qui percentuali di voti superiore al 70% e vi viveva la maggioranza degli iscritti della sezione Nomentano. A Vigna Mangani vi era un’osteria che di fatto era la “Casa del Popolo” ed a Fosso di S. Agnese un piccolo spaccio (mescita e panini) gestito dai compagni. L’attività della sezione era concentrata nelle borgate. Un portiere di Viale Eritrea distribuiva 60/70 copie dell’Unità tutte le domeniche a Fosso di S. Agnese. Un altro compagno che veniva da Livorno era il referente e l’anima dell’attività di Villa Mangani e ne diffondeva altrettante, mentre una trentina venivano distribuite dal caro compagno Robiati a Borghetto. Altre attività come i casi di alfabetizzazione e di promozioni culturali erano animati dal compagno Borelli che poi è stato per 15 anni sindaco di Monterotondo.
Per i compagni e le compagne della sezione il quartiere non esisteva: era di destra (Msi e Dc) e quindi si evitava di fare attività esterna. Vi era un gruppo di giovani che si riuniva e studiava i sacri testi sotto una guida competente e discutevano della classe operaia.
Ricordo che proposi, in occasione di uno sciopero, di distribuire volantini davanti alle fabbriche della Salaria alle 6 di mattina. I compagni e le compagne entrarono in crisi visto che dovevano alzarsi alle 5, ma ancor di più per l’accoglienza fredda che ricevettero. Fu salutare per comprendere che la classe operaia è “rivoluzionaria”. Ma la “rivoluzione” è un’altra cosa.
La proposta di uscire nelle strade dei quartieri per un sentimento di clandestinità non trovavano ascolto nel Comitato Direttivo, né sostegno dalla Federazione che riteneva zone rosse il Tufello e Valmelaina, mentre il Trieste e Nomentano erano considerati feudi neri.
Il primo atto di rottura lo compìi con il compagno Robiati (un orafo più che povero, un artista un po’ anarchico): su un carrello della spesa, liberato dalla sacca, montammo un altoparlante a batteria e cominciammo a girare per le vie del quartiere Nometano, tra lo sconcerto e l’incredulità, denunciando e propagandando oggi non ricordo più cosa. Le reazioni esterne ed interne al PCI aprirono un dibattito. Il secondo atto fu l’apertura della sede a Via Tigrè, l’uscita cioè dal rudere e la visibilità finalmente nel quartiere.
Avevo già defiito con l’Inail le basi del contratto e feci approvare dal direttivo della sezione l’apertura della nuova sede .
L’altro episodio che cambiò la politica dei Comunisti del Nomentano fu la Festa de l?unità a Piazza S. Emerenziana, mi pare nel settembre del 1968 ed era la prima festa comunista che si svolgeva nella II Circoscrizione, escluso quella della borgata di Vigna Mangani.
Contemporaneamente all’azione per migliorare la condizione delle borgate e la lotta per la casa iniziammo ad occuparci del quartiere: il mercato, la scuola, la viabilità, gli sfratti ed il verde: nel giornale mensile della sezione Lotta Oggi che conservo nel mio archivio c’è un’ampia documentazione anche fotografica sull’impegno del PCI per recuperare al quartiere Villa Chigi (non è stato certamente Paolo Di Nella come si dice, volendo sbiadire il suo essere fascista con un suo presunto impegno ambientale)
Con fermezza, con coerenza e continue iniziative, la sezione di Via Tigrè da quando fu aperta ha reagito ad ogni attacco fascista e ad ogni atto che tendesse a limitarne l’agibilità democratica, da un lato chiamando i cittadini ad organizzarsi e manifestare e dall’altro denunciando alla Magistratura ogni violenza ed aggressione dei fascisti. Sono state più di cento le denunce ed in alcuni casi gli autori delle aggressioni sono stati individuati e condannati. Al contrario non c’è stata mai una denuncia nei confronti dei dirigenti e militanti del PCI per atti di violenza.
Ricercammo l’unità anche con gli scout, organizzammo manifestazioni pubbliche di denuncia e la presenza attiva davanti alle scuole, in particolare al liceo Giulio Cesare che era permanentemente picchettato dai fascisti, tra i quali Izzo e Ghira (i mostri del Circeo) ed altri confluiti nei Nar. Quello che maggiormente infastidiva i fascisti ed i democristiani era il nostro costante impegno sui problemi del quartiere: asili nido, assistenza, speculazione edilizia. Forte era l’attenzione su quello che capitava nel mondo oltre alle questioni nazionali, per la pace sempre, contro il colonialismo, per la pace in Vietnam e contro il colpo di stato dei colonnelli greci.
La diffusione domenicale dell’Unità all’incrocio della Salaria con Viale Somalia, a Via Nomentana al semaforo di Via Asmara, in alcuni caseggiati e ovviamente nelle borgate superava le 400 copie vendute ed il I maggio sfiorava le 1.000 copie. Anche il coccardaggio alle manifestazioni divenne una costante. Le Feste de l’Unità le organizzammo per alcuni anni al parchetto di Viale Somalia e poi con la sezione Salario e Vescovio al Parco Nemorense. Animatore, diffusore e straordinario militante in tutta l’attività soprattutto nell’affissione dei manifesti era il compagno Umberto Ricotta, per me compagno e fratello.
Nel 1979 si conclude la mia attività nella sezione, obbligato a trasferirmi perchè perseguitato dai Nar che volevano la mia morte, a seguito dei fatti di Cecchin. Persecuzione che è continuata per diversi anni anche con il ritorno nel quartiere e l’impegno in Rifondazione Comunista. Anche su questo fatto conservo ampia documentazione che testimonia la mia estraneità a quell’episodio.

in data:11/02/2014

Sante Morettiultima modifica: 2014-02-14T07:07:00+01:00da vitegabry
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