Archivi giornalieri: 15 ottobre 2014

ULTIMISSIME EDILIZIA – COOPERATIVE15/10/2014

ULTIMISSIME EDILIZIA – COOPERATIVE15/10/2014

GIURISPRUDENZA

CORTE DI CASSAZIONE

SENTENZA

CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 08 ottobre 2014, n. 21250COOPERATIVE, EDILIZIA

Lavoro – Contribuzione – Modello DM10 – Omessa denuncia all’INPS – Evasione contributiva – Sussistenza – Omissione contributiva – Esclusione

CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 14 ottobre 2014, n. 21647COOPERATIVE, EDILIZIA

Lavoro – Assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e malattie professionali – Inail – Incidenti sul lavoro – Caduta da altezza di dieci metro – Norme di prevenzione e infortuni sul lavoro – Responsabilità del datore

PRASSI

AGENZIA DELLE ENTRATE

RISOLUZIONE

AGENZIA DELLE ENTRATE – Risoluzione 14 ottobre 2014, n. 87/ECOOPERATIVE, EDILIZIA

Interpello – ART. 11, legge 27 luglio 2000, n. 212. Agevolazioni fiscali in favore delle start-up innovative e degli incubatori certificati – requisito “alternativo” previsto dall’articolo 25, comma 2, lettera h), n. 2, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179.

MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO

PARERE

MINISTERO SVILUPPO ECONOMICO – Parere 08 ottobre 2014, n. 175547EDILIZIA

Esercizio attività commerciale da parte di cittadino extracomunitario

Lo strano e drammatico destino dei Kurdi nei libri di storia

Lo strano e drammatico destino dei Kurdi nei libri di storia

 
Lo strano e drammatico destino dei Kurdi nei libri di storia

 

 

ROMA – I Curdi sono sottoposti ad uno strano e drammatico destino: fino a ieri senza diritti, deportati, incorporati coattivamente in una miriade di Stati stranieri: Iraq, Iran, Siria, Turchia e persino Libano e in alcune regioni asiatiche dell’ex URSS. Ed oggi armati, corteggiati, vezzeggiati: dall’Europa, dagli Stati Uniti  e persino dalla Turchia. Ovvero dalla Realpolitik dell’Occidente e da chi fin’ora ha negato loro uno Stato. E, temo, continuerà a negarglielo, dopo averli utilizzati per i propri interessi geopolitici ed economici: oggi, in particolare, contro l’Isis e il delirio criminale e fanatico jihadista.

Senza Stato, il popolo kurdo, con più di 30 milioni di abitanti, dal lontano 1924 ha subito una politica di discriminazione razziale che non ha esempi né precedenti in nessuna altra parte del mondo. Gli Stati che opprimono il popolo kurdo, con tutti i mezzi a loro disposizione, come la Stampa, La Radio-TV, l’esercito, la polizia, la Scuola, L’Università, hanno condotto e continuano a condurre una politica mirante non solo a negare i loro diritti inalienabili, sanciti da tutte le Convenzioni internazionali e dell’ONU, ma a eliminare la loro stessa esistenza fisica.

Per quasi un secolo i kurdi non esistono: né come popolo, né come etnia, né come lingua, né come cultura. In modo particolare in Turchia – ma anche gli altri Stati che li hanno incorporati non sono da meno, pensiamo solo ai massacri da parte del dittatore criminale Saddam Hussein – il popolo kurdo è soggetto a distruzione sistematica da parte di tutti i governi che si sono succeduti dal 1924.

Secondo alcuni storici dal 1924 al 1941 la politica kurda è stata nei confronti dei kurdi di vero e proprio “etnocidio”: penso in modo particolare a J. P. Derriennic (Le moyen Orient au XX siecle,  pag.68).

Ma non basta. Il dramma dei Kurdi è certamente quello di essere martoriati e “negati” negli Stati in cui sono attualmente incorporati  ma anche quello di essere cancellati dall’attenzione dell’opinione pubblica mondiale, dai media, dalla scuola.

A questo proposito mi sono preso la briga di analizzare e visionare, in modo rigoroso e puntuale ben 32 testi scolastici di storia estremamente rappresentativi e attualmente in adozione nelle Scuole italiane, rivolti ai trienni delle scuole superiori (Licei, Magistrali, Istituti tecnici e professionali). Alcuni sono particolarmente noti, di storici di vaglia (G. Candeloro e R. Villari, F. Della Peruta e G. De Rosa, A. Desideri e M. Themelly, A. Giardina e G. Sabbatucci, A. Brancati e T. Pagliarani, A. Camera e R. Fabietti, A. Lepre e M. Bontempelli, C. Cartiglia e M. Matteini, F. Gaeta, P. Villani, G. De Luna).

E case editrici prestigiose (Laterza, Mondadori, Cappelli, Sei, Le Monnier, Bulgarini, Zanichelli, La Nuova Italia, Bulgarini etc. etc.) e che comunque vanno per la maggiore. Ebbene, dal mio studio e dalla mia indagine risulta che su 32 testi – che diventano 96 perché ogni pomo contiene tre volumi, uno per ciascuna classe del triennio –  ben trenta non dedicano neppure una riga al problema kurdo: di più, il termine kurdo non viene neppure nominato! Eppure si tratta di storici non solo noti e prestigiosi ma di ispirazione e orientamento prevalentemente cattolica, liberale, progressista ma soprattutto di sinistra. Ahi, ahi, che brutti scherzi combinano ai “nostri” le categorie storiche statoiatriche, centralistiche, eurocentriche e occidentalizzanti!.

Solo un testo (volume 3°, rivolto dunque alle Quinte superiori o alla Terza classe del Liceo classico) di Alberto De Bernardi-Scipione Guarraccino, accenna ai Kurdi indirettamente, quando parla di Kemal Ataturk. Ecco il riferimento testuale: ”Nel 1925 represse nel sangue la rivolta dei Kurdi che chiedevano l’applicazione dell’Autonomia in base al trattato di Sevres” (La Conoscenza storica, Il Novecento, Edizioni scolastiche Mondadori, Milano 2000, pag.73.

Chi invece  dedica un lunga e pregevole nota è un testo firmato a più mani (il volume 3/1, Geografia della Storia – lo scontro per la supremazia mondiale – di Aruffo-Adagio-Marri-Ostoni-Pirola-Urso, ed. Capelli).

Mi piace riportare testualmente qualche stralcio della nota titolata:” I Kurdi e il Kurdistan”. Eccola.

“Il Kurdistan è un territorio di frontiera, che si estende dal mare nero alla Mesopotamia, all’altopiano iranico e all’Anti Tauro. Esso è ai margini di quattro emisferi culturali, etnici e politici (arabo, persiano, turco, russo). E’ territorialmente diviso fra Turchia, Iran, Iraq e Siria. Il Kurdistan settentrionale comprende 18 delle 67 province turche. Quello meridionale comprende 4 delle 18 province iraqene. Ad oriente il territorio kurdo copre 4 delle 24 province iraniane mentre il Kurdistan siriano costituito da 3 enclaves, è considerato propaggine di quello turco.

I Kurdi sono un popolo indoeuropeo la cui lingua ne qualifica l’identità nazionale, più della religione musulmano-sunnita. Sottoposti alla disintegrazione etnica-culturale (minoranze curde esistono in Libano e nelle regioni asiatiche dell’ex URSS), alla deportazione di massa da parte turca e iraqena, alla colonizzazione, i Kurdi sono stati costretti ad emigrare per evitare persecuzioni e disoccupazione. Alla loro storia nuoce non poco il fatto di abitare territori ricchi di petrolio e divenuti centro di contese regionali e internazionali. Col trattato di Sèvres fra l’impero ottomano e le potenze vincitrici della Prima guerra mondiale (1918-1920), la Turchia si impegnò a favorire la formazione di un Kurdistan autonomo nella parte orientale dell’Anatolia e nella provincia di Mossul, presupposto dell’indipendenza. Il disegno delle potenze imperialistiche  mirava a farne uno stato cuscinetto fra Russia e Turchia. Ma la vittoria della rivoluzione Kemalista e il trattato di Losanna cancellarono i diritti del popolo kurdo”.

Ricordo che tale rivoluzione fu guidata da Ataturk, celebrato dai “nostri” storici e dall’Occidente in modo entusiastico, quando in realtà fu il più grande persecutore e massacratore del popolo kurdo.

 

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Palmiro Togliatti

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Palmiro Togliatti
Togliatti.jpg

Segretario generale del
Partito Comunista Italiano
Durata mandato 1927 –
21 agosto 1964
Predecessore Antonio Gramsci
Successore Luigi Longo

Ministro di Grazia e Giustizia delRegno d’Italia
Durata mandato 21 giugno 1945 –
1º luglio 1946
Predecessore Umberto Tupini
Successore Fausto Gullo (Ministro di Grazia e Giustizia della Repubblica Italiana)

Vicepresidente del Consiglio dei Ministri del Regno d’Italia
Durata mandato 12 dicembre 1944 –
21 giugno 1945
Predecessore Giuseppe Spataro
Successore Pietro Nenni

Dati generali
Partito politico Partito Socialista Italiano(191421),
Partito Comunista Italiano (192164)
Titolo di studio Laurea in giurisprudenza
Alma mater Università degli Studi di Torino
Professione giornalista, dirigente politico
Firma Firma di Palmiro Togliatti
on. Palmiro Michele Nicola Togliatti
Bandiera italiana
Assemblea costituente
Luogo nascita Genova
Data nascita 26 marzo 1893
Luogo morte Jalta
Data morte 21 agosto 1964
Titolo di studio Laurea in Giurisprudenza
Professione giornalista
Partito Partito Comunista Italiano
Gruppo Comunista
Circoscrizione Collegio Unico Nazionale
Pagina istituzionale
on. Palmiro Michele Nicola Togliatti
Bandiera italiana
Parlamento italiano
Camera dei deputati
Palmiro Michele Nicola Togliatti
Luogo nascita Genova
Data nascita 26 marzo 1893
Luogo morte Jalta
Data morte 21 agosto 1964
Titolo di studio Laurea in Giurisprudenza
Professione Giornalista, funzionario di partito
Partito Partito Comunista Italiano
Legislatura IIIIIIIV
Gruppo Comunista
Coalizione Col Partito Socialista Italianofino al 1963
Collegio Torino, Roma
Pagina istituzionale

Palmiro Michele Nicola Togliatti (Genova26 marzo 1893 – Jalta21 agosto 1964) è stato un politico e antifascista italiano, leader storico del Partito Comunista Italiano. Come ringraziamento per le sue attività politiche, ricevette anche la cittadinanza sovietica[1].

Fu uno dei membri fondatori del Partito Comunista d’Italia e, dal 1927 fino alla morte, segretario e capo indiscusso del Partito Comunista Italiano, del quale era stato il rappresentante all’interno del Comintern (di qui, per le sue capacità di mediatore fra le varie anime del partito, lo pseudonimo di «giurista del Comintern» attribuitogli da Lev Trotsky[2]), l’organizzazione internazionale dei partiti comunisti. Anche di questo organismo Togliatti fu uno degli esponenti più rappresentativi e, dopo che esso fu sciolto nel 1943 e sostituito dal Cominform nel 1947, rifiutò la carica di segretario generale, offertagli direttamente da Stalin, preferendo restare alla testa del partito in Italia.

Dal 1944 al 1945 ricoprì la carica di vice Presidente del Consiglio e dal 1945 al 1946 quella di Ministro di Grazia e Giustizia nei governi che ressero l’Italia dopo la caduta del fascismo. Membro dell’Assemblea Costituente, dopo le elezioni politiche del 1948 guidò il partito all’opposizione rispetto ai vari governi che si succedettero sotto la guida della Democrazia Cristiana.

 

 

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Le origini familiari e gli studi[modifica | modifica wikitesto]

Il padre Antonio nacque nel 1852 a Coassolo, in provincia di Torino. La famiglia avrebbe voluto destinarlo alla carriera ecclesiastica ma Antonio, dopo il seminario a Giaveno, non volle prendere i voti e si trasferì a Torino, si diplomò maestro e dopo un periodo d’insegnamento si impiegò dapprima come istitutore e poi come contabile nell’amministrazione dei Convitti nazionali del Regno, sposando una maestra elementare torinese, Teresa Viale, che divenne « la figura centrale della famiglia ».[3]

Il lavoro del padre costrinse i Togliatti a frequenti spostamenti in diverse città. La madre dovette lasciare l’insegnamento per occuparsi esclusivamente della famiglia che intanto andava crescendo: il primogenito Eugenionacque a Orbassano nel 1890, Maria Cristina e Palmiro a Genova, nella casa di via Albergo dei Poveri 9, rispettivamente nel 1892 e nel 1893, mentre l’ultimo figlio Enrico nacque a Torino nel 1900. Il nome Palmiro gli venne dato perché nato nel giorno della Domenica delle Palme. I genitori erano infatti religiosi senza però essere bigotti: «Per abitudine si andava a messa tutte le domeniche, ma non sentii mai il problema religioso con troppa intensità ».[4]

Nel 1897, a Novara, dove intanto la famiglia si era trasferita, Palmiro frequentò insieme con la sorella[5] la prima elementare, ma proseguì gli studi a Torino; poi, dal 1902 fu a Sondrio, dove conseguì la licenza ginnasiale, e dal 1908 frequentò il Liceo classico « Azuni » di Sassari, dove risultò con la sorella il migliore dell’Istituto, ottenendo così entrambi la « licenza d’onore », che li esonerava dall’obbligo di sostenere l’esame finale dimaturità.[6]

Il padre Antonio, malato di cancro, si era intanto dovuto ricoverare in ospedale a Torino, morendovi il 21 gennaio 1911: la famiglia, già di condizioni modeste, cadde in serie ristrettezze economiche. Trasferita la famiglia nell’estate del 1911 nella casa torinese di Lungodora Firenze 55, la madre Teresa si diede a lavorare di cucito mentre Eugenio, studente dell’ultimo anno di matematica, dava lezioni private, unitamente a Palmiro e Maria Cristina, che pure studiavano per superare il concorso con il quale il Collegio Carlo Alberto metteva a disposizione 65 borse di studio di 70 lire mensili per frequentare l’Università di Torino. Nell’ottobre 1911 entrambi superarono gli esami: Palmiro si classificò secondo e Maria Cristina undicesima: al nono posto figurò un giovane venuto dalla SardegnaAntonio Gramsci, futuro compagno di Togliatti nelle lotte politiche. Gramsci s’iscrisse, come Maria Cristina, alla facoltà di lettere, mentre Palmiro, che avrebbe voluto seguire i corsi di filosofia, per decisione dei familiari dovette iscriversi alla Facoltà di giurisprudenza.

 

Togliatti negli anni venti

Non è chiaro il preciso percorso intellettuale del giovane Togliatti: nel clima culturale di quegli anni stavano ormai prevalendo sul vecchio positivismo le correnti neo-idealistiche che andavano dal magistero di Benedetto Croce fino alle espressioni più esasperate di nazionalismo e di spiritualismo. Se a queste ultime Togliatti dichiarerà sempre di essere rimasto estraneo, è certo che Benedetto Croce soprattutto, e poi La Voce di Giuseppe PrezzoliniGaetano Salvemini e Romain Rolland ebbero non poca parte sulla sua formazione giovanile, mentre il primo accostamento al marxismo sarebbe avvenuto soprattutto tramite gli scritti del Labriola. Ma due furono gli elementi decisivi che portarono Togliatti al socialismo marxista: l’amicizia di Gramsci e la concreta realtà sociale torinese, che vedeva allora lo sviluppo di un forte e organizzato movimento operaio.[7]

Togliatti s’iscrisse al Partito socialista nel 1914, anche se non frequentò la vita di partito per diversi anni, e allo scoppio della prima guerra mondiale si dichiarò favorevole all’intervento dell’Italia a fianco dell’Intesa,[8]secondo una considerazione politica, presente anche se minoritaria fra gli stessi socialisti, che portava a distinguere « fra la guerra imperialista e le giuste rivendicazioni nazionali contro i vecchi imperialismi. Non ritenevano giusto che alcune province italiane rimanessero sotto il dominio di uno Stato straniero, per di più reazionario ».[9]

Dopo un brillante percorso di studi concluso con la media del 30, Togliatti si laureò nel novembre 1915 con la tesi Il regime doganale delle colonie, discussa con Luigi Einaudi. Seguendo la sua primitiva inclinazione, s’iscrisse anche alla facoltà di Lettere e Filosofia, ma la guerra prima e l’attività politica poi gli impedirono di conseguire la seconda laurea. Infatti, pur riformato per la fortemiopia, nel 1915 si arruolò volontario nella Croce Rossa, prestando servizio in diversi ospedali, anche al fronte. Nel frattempo, le necessità belliche indussero i Comandi militari a rivedere i criteri di arruolamento, così che nel 1916 Togliatti fu dichiarato “abile e arruolato”[10]; fu così assegnato in forza al 54º Reggimento Fanteria per poi passare, su sua richiesta, al 2º Reggimento Alpini. Nel 1917 fu ammesso al corso allievi ufficiali di Caserta che superò senza però ottenere la nomina a ufficiale a causa di una grave pleurite intervenuta nel frattempo: caporal maggiorealla sanità, nel dicembre del 1918, allo scadere di una lunga licenza, fu congedato.[11]

L’inizio dell’attività politica[modifica | modifica wikitesto]

L’Ordine Nuovo[modifica | modifica wikitesto]

 

Il primo numero de L’Ordine Nuovo

A Torino, Togliatti insegnò diritto ed economia in un Istituto privato e collaborò come cronista nel quotidiano socialista Avanti!: s’impegnò anche nell’attività politica delle sezioni del Partito e tenne il suo primo comizio a Savigliano.

Nel 1919 il Partito socialista era in piena espansione di consensi elettorali, particolarmente nel capoluogo piemontese, dove lo sviluppo industriale aveva creato un forte nucleo operaio. Dopo il successo della Rivoluzione russa i giovani socialisti torinesi, Gramsci in testa, avevano avvertito che, di fronte all’inerzia dei dirigenti socialisti nazionali – parte dei quali ritenevano che la rivoluzione socialista sarebbe avvenuta ineluttabilmente per forza propria, mentre altri consideravano strategica una politica esclusivamente riformista – quello torinese poteva essere un laboratorio politico dove sviluppare le premesse di una rivoluzione italiana, per conseguire la quale occorreva però un’azione diretta allo scopo. Per dare voce a tali esigenze, per comprendere i nuovi, enormi problemi creati dalla guerra e dalle rivoluzioni che si sviluppavano in Europa e per fare i conti con la cultura italiana contemporanea, GramsciTascaTerracini e Togliatti fondarono il settimanale L’Ordine Nuovo, il cui primo numero uscì il 1º maggio 1919.

Togliatti vi tenne la rubrica culturale «La battaglia delle idee», con articoli spesso polemici: ne fecero le spese il già ammirato Prezzolini, ora giudicato un moralista, un «maestro di scuola, predestinato alla sterilità», lo scrittore Piero Jahier, cui rimproverò il dilettantismo politico e Piero Gobetti, un «predicatore del rinnovamento morale del mondo», un «ragazzo d’ingegno» sì, ma dal «frasario nuvoloso che dovrebbe dare l’illusione della profondità».[12] La recensione al libro Polemica liberale del noto giornalista Missiroli gli diede occasione, dopo aver riconosciuto i meriti storici dei principi liberali, di denunciare i limiti del liberalismo politico italiano, «movimento di un’aristocrazia intellettuale e non riscossa di sane e forti energie sociali», rispetto al quale «il socialismo può diventare il vero liberatore del paese nostro».[13]

 

Amadeo Bordiga

Da giugno, sotto l’impulso di Gramsci, il settimanale mutò interessi e contenuti: meno rassegne culturali e più attenzione alle forme di organizzazione che il movimento operaio italiano si stava dando, sulla scorta dell’esperienza russa dei Soviet come di quella tedesca dei Revolutionäre Obleute e degli Arbeiterräte austriaci: la creazione dei Consigli operai. La commissione di fabbrica è giudicata da L’Ordine Nuovo non solo un organo di democrazia operaia ma anche il nucleo di un futuro potere proletario, l’«ordinatrice di fatto e di diritto di tutto il regime di produzione e di scambio».[14]

Le valutazioni positive de L’Ordine Nuovo contrastavano con le posizioni critiche, per diversi motivi svolte al riguardo tanto dai sindacalisti della Camera del Lavoro – che rimproverano di anarchismo quegli operai – quanto da Amadeo Bordiga, che dalla rivista Soviet accusava l’iniziativa di «economicismo»: il proletariato non può emanciparsi sul terreno dei rapporti economici «mentre il capitalismo detiene, con lo Stato, il potere politico».[15]

 

Togliatti nel periodo della collaborazione a L’Ordine Nuovo

Il movimento dei Consigli continuò a svilupparsi, insieme all’estensione dei conflitti sindacali, delle serrate e delle occupazioni delle fabbriche, e gli ordinovisti, come del resto la FIOM, appoggiarono l’occupazione dellaFIAT, avvenuta il 1º settembre 1920 a seguito della serrata industriale, che fu imitata da quasi tutte le fabbriche della città, e la gestione della produzione attivata dai Consigli operai in assenza dei tecnici e dei dirigenti della fabbrica. Togliatti, che in luglio aveva assunto la carica di segretario della Sezione socialista torinese, era convinto che la dittatura proletaria fosse attuabile «perché era realizzata la sua fondamentale premessa storica: il prevalere del proletariato industriale e rivoluzionario nella vita del paese, e l’imporsi della sua ideologia di conquista a tutte le categorie di lavoratori».[16]

La fondazione del Partito comunista[modifica | modifica wikitesto]

L’occupazione ebbe termine il 26 settembre con un compromesso tra la proprietà e gli operai favorito da Giolitti. Di fronte all’inerzia del Partito socialista gli ordinovisti si convinsero che «il destino della rivoluzione socialista dipende soprattutto dalla esistenza di un partito che sia veramente un partito comunista»,[17] e la Sezione torinese decise a grande maggioranza di costituirsi in frazione comunista, partecipando con Gramsci al Convegno di Imola che il 29 novembre sancì ufficialmente la frazione comunista del Partito socialista, che vedeva in Amadeo Bordiga il suo leader più prestigioso. Il 15 gennaio 1921 si aprì a Livorno il XVII Congresso socialista e il giorno 21 la minoranza comunista si costituiva in partito, il Partito comunista d’Italia: degli ordinovisti, erano presenti a Livorno Gramsci e Terracini, mentre Togliatti era rimasto a Torino a dirigere L’Ordine Nuovo, ora divenuto quotidiano.

Da tempo erano iniziate le violenze delle squadre fasciste nell’indifferenza delle forze dell’ordine, che privilegiavano la sorveglianza dei comunisti. Il fascismo è giudicato «la parte peggiore dellaborghesia italiana, quella che non ha mai fatto l’abitudine a una scuola di pensiero, quella che è classe dominante unicamente per una specie di diritto di ereditarietà; ma non possiede alcuna delle qualità che occorrono ai dirigenti di uno Stato».[18]

Saluta l’opposizione alle violenze fasciste di Firenze del marzo 1921 scrivendo che «il proletariato non deve mai dare esempio di viltà […] meglio, cento volte meglio, lasciare cinquanta morti sul lastrico di una città che tollerare senza reazione la violenza e l’offesa», e di fronte all’incendio della Camera del Lavoro di Torino, avvenuto senza incontrare opposizione, scrive il 4 maggio 1921: «Quando ti pentirai, o popolo, di quello che non hai fatto, di quello che non hai ancora saputo fare, di quello di cui gli avversari tuoi hanno dovuto farti la scuola? … Ma non rallegratevi, borghesi: nell’animo del popolo d’Italia maturano propositi. E non parole, non canti, ma fuoco e cenere d’incendi, e secco scoppiettare di fucilate li fan maturare».[19] Mentre Gramsci rimase a Torino a dirigere L’Ordine Nuovo, alla fine dell’estate del 1921 Togliatti venne mandato a Roma, «città dei trafficanti e dei burocrati, città del popolo eroico e generoso e della borghesia vile e parassita»,[20] come redattore-capo del quotidiano «Il Comunista», diretto dal deputato Luigi Repossi, che iniziò le pubblicazioni l’11 ottobre: percepiva 1.500 lire al mese e alloggiava in una pensione di via Giovanni Lanza 152; continuò tuttavia a collaborare anche al quotidiano torinese, telefonando alla sera le proprie corrispondenze. A Roma si stampava anche «Compagna», diretta da Giuseppe Berti: fra le redattrici vi era la torinese Rita Montagnana, sorella di Mario, un altro redattore de L’Ordine Nuovo, e tra Rita e Togliatti nacque qualche tempo dopo una relazione che sfocerà nelmatrimonio, celebrato nel Municipio di Torino il 27 aprile 1924.

 

Tessera del PCd’I del 1921

 

Mario Montagnana

Il III Congresso dell’Internazionale Comunista, nel giugno del 1921, di fronte all’esaurirsi della spinta rivoluzionaria in Europa, aveva stabilito la nuova tattica che i partiti comunisti nazionali avrebbero dovuto seguire: quella di un fronte unico con i partiti socialisti per opporsi alla montante reazione della destra. Tuttavia il Partito comunista d’Italia si oppose a quell’indirizzo e nel suo II Congresso, tenuto a Roma nel marzo del 1922, Bordiga e Terracini, per la maggioranza dei congressisti, ribadirono nelle loro tesi il rifiuto a ogni accordo con i socialisti, sottovalutarono il pericolo fascista e previdero uno sbocco socialdemocratico alla crisi italiana: restava operante solo l’intesa con i socialisti sul piano sindacale.[21] Gramsci e Togliatti, che entrò a far parte del Comitato Centrale, si allinearono con la maggioranza di Bordiga, pur non condividendo l’opposizione alle direttive del Comintern, perché temevano una frattura, se non una scissione nel partito.[22]

Il 5 ottobre, commentando la conclusione del XIX Congresso socialista, Togliatti scrisse su L’Ordine Nuovo che l’espulsione dal PSI dei riformisti di Turati rappresentava un segnale positivo per il riavvicinamento dei due partiti,[23] un concetto ribadito il 12 ottobre, in un discorso tenuto al Comitato centrale del Partito.[24]

L’avvento del fascismo[modifica | modifica wikitesto]

Il 28 ottobre 1922, in coincidenza con la marcia su Roma, una squadra fascista penetrò nella tipografia dove si stampava «Il Comunista»: vi era anche Togliatti, che riuscì a fuggire. Il quotidiano cessò le pubblicazioni il 31 ottobre, con un ultimo appello all’attività illegale. A Torino, ci aveva pensato il 29 ottobre il questore Benedetto Norcia a chiudere provvisoriamente L’Ordine Nuovo, imitato dal collega diTrieste che aveva sospeso le pubblicazioni dell’altro quotidiano comunista «Il Lavoratore».

Minimizzava intanto, come la maggioranza del gruppo dirigente del Partito, il significato politico dell’avvento dei fascisti al governo: «non hanno profondamente modificato la situazione interna italiana […] il governo fascista, che è la dittatura della borghesia, non avrà interesse di liberarsi di alcuno dei tradizionali pregiudizi democratici».[25]

Togliatti ritornò a Torino dove, 7 novembre, tenne un comizio in celebrazione dell’anniversario della Rivoluzione russa; nel dicembre successivo Torino fu sconvolta dalla strage del 18 dicembre, quando gli squadristi comandati dal console della Milizia Piero Brandimarte devastarono la Camera del Lavoro e la sede de L’Ordine Nuovo, uccidendo 22 persone. Dopo questo avvenimento Togliatti si distaccò dall’attività politica, per motivi non chiariti: per una malattia,[26] per una crisi sentimentale,[27] per paura delle rappresaglie fasciste o forse perché «per Togliatti la politica era arte di governo, non milizia rivoluzionaria. Forse gli si presentò in quella e in altre occasioni il problema se dovesse veramente abbandonare i suoi studi per dedicarsi unicamente alla politica».[28] Non fu nemmeno coinvolto dall’ondata di arresti ordinati nel febbraio del 1923 da Mussolini: oltre ai delegati comunisti di ritorno dal IV Congresso dell’Internazionale, che aveva imposto la fusione dei partiti socialista e comunista, furono arrestati più di 5.000 dirigenti comunisti di vario livello;[29] tra le maggiori personalità, sfuggirono all’arresto, a parte Gramsci, rimasto a Mosca, e Tasca, che si trovava in Svizzera, soltanto Terracini, Camilla Ravera e lo stesso Togliatti.

 

Camilla Ravera

L’operazione poliziesca coordinata da De Bono era del tutto illegale e infatti tutti furono prosciolti in istruttoria o assolti alla fine dell’anno nel processo, ma raggiunse lo scopo di allontanare dal Partito i militanti meno decisi e di sconvolgere l’organizzazione, costringendola all’illegalità. In aprile Togliatti riprese i contatti con il Partito, entrando a far parte del Comitato esecutivo: assunto lo pseudonimo di Paolo Palmi, si trasferì nella nuova sede clandestina costituita adAngera, sul Lago Maggiore.

 

Mauro Scoccimarro

Erano i giorni in cui l’Internazionale, con un atto d’imperio, aveva imposto al Partito italiano la formazione di un nuovo esecutivo costituito da tre esponenti della maggioranza di sinistra, Togliatti, Scoccimarro eFortichiari,[30] e da due della minoranza di destra, Angelo Tasca e Giuseppe Vota, con il compito di portare ad effetto la fusione con la frazione del Partito socialista aderente all’Internazionale,[31] guidata daGiacinto Menotti Serrati. Togliatti, ancora legato a Bordiga, il quale era nettamente contrario all’operazione, esitava, dichiarandosi disposto ad accettare la carica a condizione di sviluppare «una polemica aperta con l’Internazionale e con la minoranza del partito» e denunciando a Gramsci quello che riteneva essere il tentativo, da parte della minoranza, di liquidare l’«esperienza del movimento politico proletario 

Lenin

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Lenin
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Presidente del Consiglio dei commissari del popolo dell’URSS
Durata mandato 30 dicembre 1922 –
21 gennaio 1924
Predecessore Aleksandr Kerenskij(Presidente del Governo Provvisorio Russo)
Successore Aleksej Rykov
(Stalin come leader supremo)

Presidente del Consiglio dei Commissari del popolo della RSFS Russa
Durata mandato 8 novembre 1917 –
21 gennaio 1924
Predecessore Carica istituita
Successore Aleksej Rykov

Dati generali
Partito politico Partito Operaio Socialdemocratico Russo
(1889-1918);
Partito Comunista Russo (bolscevico)
(1918-1924)
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Lenin (in russo: Ленин?), pseudonimo di Vladimir Il’ič Ul’janov (ascolta[?·info]), in russo: Владимир Ильич Ульянов?, noto anche come Vladimir Lenin o Nikolaj Lenin[1] (Simbirsk22 aprile 1870 – Gorki Leninskie21 gennaio 1924) è stato un politicorivoluzionario e filosofo russo naturalizzato sovietico. Artefice della Rivoluzione russa dell’ottobre 1917, fu capo del partito bolscevico e presidente del Consiglio dei Commissari del Popolo della Russia sovietica e poi dell’URSS.

 

 

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

 

Vladimir e Ol’ga Ul’janov nel 1874

Il padre, Il’ja Nikolaevič Ul’janov (18311886), di religione ortodossa, era originario di Astrachan’; laureato in matematica col famoso professor Lobačevskij, uno dei fondatori dellegeometrie non-euclidee, dal 1855 insegnò matematica e fisica nell’Istituto dei nobili di Penza, dove conobbe e sposò nel 1863 Marija Aleksandrovna Blank (18351916).[2]

Si trasferirono a Nižnij Novgorod, dove Il’ja Nikolaevič insegnò nel locale ginnasio finché nel 1869 accettò l’incarico di ispettore delle scuole elementari del governatorato di Simbirsk, e vi si trasferì con la moglie, già incinta di Vladimir, e con i due figli Anna (18641935) e Aleksandr (18661887). Nel 1874 venne nominato direttore scolastico, col grado diconsigliere di Stato e insignito dell’ordine di San Vladimiro, ottenendo l’inserimento nel quarto grado della gerarchia nobiliare e il diritto alla trasmissibilità del titolo.[3]

La madre era figlia del medico Aleksandr Dmitrevič Blank. Questi, di origine tedesca, nato in Ucraina[4] e proprietario di terre nel governatorato di Kazan’, professava opinioni avanzate per i tempi.[5] Educata in un ambiente luterano,[6] Marija Aleksandrovna aveva studiato privatamente e conseguito il diploma di insegnante. Allevò altri tre figli, Ol’ga (18721891), Dmitrij (18751943) e Marija (18781937).

Vladimir – Volodja per i genitori – era un bambino vivace, allegro, amante degli scherzi. Imparò a leggere a cinque anni, studiò privatamente fino a nove e nel 1879 fu iscritto alla prima classe ginnasiale.[7] Nel 1883 il fratello maggiore Aleksandr andò a studiare scienze naturali all’Università di Pietroburgo, dove già era iscritta la sorella Anna. Il 12 gennaio 1886 morì il padre. La pensione lasciata alla vedova, le rendite delle terre, le pigioni degli affittuari e qualche economia permisero alla famiglia di continuare a vivere con sufficiente agiatezza.[8]

 

Vladimir Ul’janov nel 1887

Il 1º marzo 1887, anniversario dell’assassinio dello zar Alessandro II, la polizia arrestò i fratelli Anna e Aleksandr nella loro casa pietroburghese con l’accusa di cospirazione. Aleksandr, insieme con altri studenti, tutti affiliati alla Narodnaja Volja, aveva progettato di attentare alla vita dello zar Alessandro III, ed essendo esperto di chimica, aveva confezionato le bombe da utilizzare nell’attentato. La sorella Anna, estranea ai fatti, venne rilasciata pochi giorni dopo, ma fu confinata a Kokuškino, la cittadina ove la madre era nata e possedeva una casa.[9] Nel processo, Aleksandr ammise le sue responsabilità, cercando di attenuare quelle dei complici. Condannato a morte, rifiutò di presentare domanda di grazia e l’8 maggio venne impiccato con quattro suoi compagni.[10]

Il mese dopo, Vladimir concluse gli studi ginnasiali a pieni voti. A stilare le note caratteristiche di Vladimir fu il direttore della scuola Fëdor Kerenskij, padre del suo futuro avversario politico Aleksandr Kerenskij: « Assai dotato, costante e intelligente, Ul’janov è sempre stato in testa alla sua classe e alla fine del corso ha meritato la medaglia d’oro come allievo più degno per l’esito, il profitto e il comportamento ». Seguiva un giudizio sul carattere: « non ho potuto fare a meno di notare in lui un riserbo talvolta eccessivo e un atteggiamento scostante anche verso persone di sua conoscenza e, fuori del ginnasio, verso compagni che sono il vanto della scuola; in genere, è poco socievole ».[11]

La condanna di Aleksandr aveva creato il vuoto intorno alla famiglia Ul’janov nella provinciale cittadina di Simbirsk; per questo motivo, quella stessa estate gli Ul’janov si trasferirono a Kazan’, e Vladimir si iscrisse alla facoltà dilegge della locale Università.[12]

La formazione politica[modifica | modifica wikitesto]

 

La madre di Lenin

Il 4 dicembre 1887 gli studenti di Kazan’ tennero un’assemblea non autorizzata nell’Università; le autorità considerarono sovversiva l’iniziativa e quella notte la polizia arrestò Vladimir e una quarantina di studenti. All’osservazione del poliziotto: « perché vi rivoltate, giovanotto? Avete davanti una muraglia », rispose: « Sì, una muraglia che crolla. Basta una spinta perché precipiti ». Venne rilasciato due giorni dopo ed espulso dall’Università.[13]

Le autorità lo confinarono dapprima a Kokuškino e, dopo aver respinto per due volte la richiesta di essere riammesso all’Università e avergli negato il passaporto, nell’autunno del 1888 gli concessero di abitare insieme con la famiglia a Kazan’.[14] Qui Vladimir prese a frequentare uno dei diversi circoli studenteschi esistenti nella città universitaria, frequentato da un’anziana populista, Marija Četvergova, dove si leggeva e si discuteva di politica. Il più importante era quello creato dal giovane marxista Fedoseev, che peraltro Vladimir, ancora soggetto all’influsso della Narodnaja Volja, contattò solo qualche anno dopo. Cominciò a leggere Il Capitale di Marx, una lettura già praticata dal fratello Aleksandr. È probabile che le tendenze rivoluzionarie di Vladimir non avessero ancora assunto « una tinta socialdemocratica » e che lo studio del marxismo non significasse per lui una rottura con le opinioni populiste.[15]

Il 3 maggio 1889 gli Ul’janov, sempre sorvegliati dalla polizia, andarono a passare l’estate ad Alakaevka, un villaggio della provincia di Samara, dove la madre, vendute le proprietà di Simbirsk, aveva acquistato una piccola proprietà agricola. Quella stessa estate, il 13 luglio, il circolo socialdemocratico di Kazan’ venne sciolto d’autorità e Fedoseev e i suoi compagni furono arrestati. L’inverno fu trascorso in una casa presa in affitto a Samara, che accolse anche Mark Elizarov, fresco sposo di Anna Ul’janova.[16] La casa era frequentata da alcuni rivoluzionari richiamati dalla fama di Aleksandr Ul’janov, come Nikolaj Dolgov, seguace di Nečaev, il fondatore della Narodnaja Rasprava, i coniugi Livanov, implicati nell’affare Koval’skij e nel « processo dei 193 », Marija Golubeva, già seguace di Pëtr Zaičnevskij. Questi tipici populisti « divennero per Vladimir una vera scuola superiore di pratica rivoluzionaria ».[17]

 

La sorella Anna

Vladimir frequentava anche il coetaneo Aleksej Skljarenko, che aveva già scontato un anno di carcere a San Pietroburgo. Questi, con l’amico Semёnov, riproduceva e diffondeva manifestini rivoluzionari ispirati alla Narodnaja Volja, ma entrambi passarono ben presto alla socialdemocrazia.[18] Nel maggio del 1890 Vladimir ottenne finalmente l’autorizzazione a sostenere gli esami come studente esterno nella facoltà di giurisprudenza dell’Università di San Pietroburgo. Alla fine di agosto era nella capitale per informarsi dei programmi e in quell’occasione si procurò da un professore una copia dell’Anti-Dühring di Engels.[19] Insieme all’altro scritto di Engels, La situazione della classe operaia in Inghilterra, al Capitale e alla Miseria della filosofia di Marx, a Le nostre divergenze di Plechanov e ai testi di diritto, questa lettura lo impegnò per un anno.[20]

In un anno e mezzo riuscì a dare tutti gli esami previsti nei quattro anni del corso di laurea,[21] e il 15 novembre 1891, primo dei 134 studenti promossi, ottenne il diploma di primo grado.[22] Dopo un tirocinio nello studio dell’avvocato Chardin, valente scacchista apprezzato dal famoso Čigorin e radicale in politica, nel luglio del 1892 ottenne l’iscrizione all’Albo degli avvocati: la sua brevissima attività professionale consistette nel patrocinio di sole dieci cause giudiziarie, modesti processi nei quali intervenne per lo più come difensore d’ufficio, perdendoli tutti.[23]

Nell’inverno 1891-1892 la Russia patì una grave carestia. Il giornalista Vodovozov, allora residente a Samara, raccontò poi « la profonda divergenza » che lo divise da Vladimir Ul’janov « riguardo l’atteggiamento da prendersi nei confronti della carestia ». I populisti, soccorrendo bisognosi e ammalati, speravano di « trovare una via pacifica e legale per conquistarsi la simpatia del popolo », mentre i marxisti « si pronunciavano non già contro i soccorsi agli affamati, ma contro le illusioni […] della filantropia ». In quell’occasione Vladimir espresse apertamente il suo disprezzo verso i personaggi più autorevoli del populismo.[24] La sua formazione politica era ormai compiuta quando, il 31 agosto 1893, Vladimir Ul’janov si trasferì a San Pietroburgo per cominciare la sua vita di rivoluzionario.[25]

La polemica contro il populismo[modifica | modifica wikitesto]

 

Michail Brusnev

Il suo impiego come assistente dell’anziano avvocato liberale Folkenstein fu soprattutto una copertura. In effetti Lenin si occupò prevalentemente di un piccolo circolo socialdemocratico costituito da seguaci di Michail Brusnev(18641937), fondatore di un’organizzazione rivoluzionaria soppressa dalla polizia nel 1892. Questo circolo si fuse nel 1895 con un altro gruppo socialdemocratico guidato da Julij Martov, formando l’Unione di lotta per l’emancipazione della classe operaia, della quale Lenin divenne con Martov la figura preminente.[26] Il circolo fu organizzato costituendo un gruppo centrale formato da intellettuali e operai: questi ultimi, debitamente istruiti, dovevano reclutare nelle loro fabbriche altri operai e costituire così altri gruppi che sarebbero stati a loro volta istruiti, allargando progressivamente il numero dei simpatizzanti.[27]

Il primo scritto di Lenin, terminato nel 1893 ma pubblicato solo nel 1923Nuovi spostamenti economici nella vita contadina,[28] si occupa dell’obščina, la tradizionale comunità rurale dei villaggi russi. I populisti la ritengono una società di eguali capace di costituire il nucleo di una futura società socialista, contrapponendola alle forme economiche capitalistiche, che invece producono disuguaglianze. Lenin osserva che anche nell’obščina, costituita da terre in parte in proprietà privata e in parte in proprietà comune, si sono prodotte differenze di classe, in quanto una minoranza di contadini è riuscita ad arricchirsi accumulando progressivamente una maggiore quantità di terra, mentre la maggioranza si è impoverita.[29]

 

Nadežda Krupskaja

I populisti pensano che nell’obščina il capitalismo non sia possibile, mancando in essa un mercato adeguato al suo sviluppo. Secondo Lenin, la disgregazione in atto dell’obščina crea le premesse del capitalismo, in quanto i contadini poveri, per sopravvivere, devono lavorare come salariati e acquisiscono così mezzi monetari a loro prima sconosciuti, favorendo il passaggio dall’economia naturale della comunità all’economia di mercato.[30]

In una riunione del circolo di Pietroburgo, tenuta nel febbraio del 1894, Ul’janov conobbe Nadežda Krupskaja (18691939), un’impiegata delle Ferrovie che la domenica sera insegnava in una scuola per operai.[31] Nell’autunno del 1894 scrisse il breve saggio Che cosa sono ‘Gli amici del popolo’ e come lottano contro i socialdemocratici, che inizialmente circolò ciclostilato e anonimo, seguito da Il contenuto economico del populismo e la sua critica nel libro del signor Struve.

Lenin vi esalta la superiorità scientifica del marxismo e rimprovera i populisti di soggettivismo sociologico: « I marxisti » – scrive – « prendono senza riserve dalla teoria di Marx soltanto i metodi preziosi senza i quali non è possibile mettere in chiaro i rapporti sociali », senza precostituire « schemi astratti e altre assurdità », commisurando la giustezza della teoria con la sua corrispondenza con la realtà,[32] e compito dei socialdemocratici è indagare « concretamente tutte le forme della lotta di classe e dello sfruttamento, che in Russia sono particolarmente intricate e camuffate ».[33]

I populisti sono invece dei « soggettivisti », perché costruiscono teorie astratte, nelle quali la realtà è sostituita da idee consolatorie: « Le condizioni storiche che avevano dato ai nostri soggettivisti il materiale per la loro “teoria” consistevano (come consistono tuttora) in rapporti antagonistici […] Non riuscendo a capire questi rapporti antagonistici, non riuscendo a trovare in essi elementi sociali che possano riscuotere l’adesione degli “individui isolati”, i soggettivisti si sono limitati a costruire teorie che consolassero questi individui “isolati”, affermando che la storia l’hanno fatta questi individui vivi ».[34]

L’organizzazione del partito rivoluzionario[modifica | modifica wikitesto]

 

La casa londinese di Lenin

 

La targa in memoria di Lenin

Nel maggio del 1895 l’Unione di lotta lo inviò in Svizzera per prendere contatto con il maggior teorico marxista russo del tempo, Georgij Plechanov, fondatore del gruppo Emancipazione del lavoro. Rimase deluso dall’aria professorale del famoso Plechanov, ma si accordarono per collaborare a una rivista non periodica da pubblicare a Ginevra, il « Rabotnik » (Il Lavoratore), di concerto con l’Unione dei socialdemocratici russi all’estero.

Dopo un mese Lenin passò a Parigi, dove conobbe il genero di Marx, Paul Lafargue, uno dei dirigenti, con Jules Guesde, del Partito Operaio Francese. Ai primi di agosto era a Berlino e il 7 settembre rientrò in Russia, con il doppio fondo della sua valigia carico di pubblicazioni illegali.[35]

La notte del 21 dicembre 1895, Lenin e altri componenti del gruppo vennero arrestati. Durante la detenzione scrisse un opuscolo, Sugli scioperi, e abbozzò Lo sviluppo del capitalismo in Russia. Gli arresti impedirono l’uscita, prevista in quei giorni, del giornale « Rabočee Delo » (La causa operaia), ma non fermarono l’attività dell’Unione di lotta, che nell’estate del 1896, proprio in occasione dell’incoronazione di Nicola II, organizzò scioperi a Pietroburgo per ottenere la riduzione dell’orario di lavoro.[36]

Condannato a tre anni di deportazione in Siberia, vi terminò Lo sviluppo del capitalismo in Russia, pubblicato nel 1899, e nel luglio del 1898 sposò Nadežda Krupskaja, anch’ella detenuta per aver partecipato a uno sciopero. Nel 1900, scontata la pena, per evitare l’assillo della sorveglianza poliziesca, scelse volontariamente l’esilio, trasferendosi prima a Monaco di Baviera (1900-1902), poi a Londra (1902-1903) e infine a Zurigo, dove si unì a Plechanov e a Martov con i quali fondò il periodico « Iskra » (La scintilla) che usciva a Monaco di Baviera e a Lipsia per essere poi diffuso clandestinamente in Russia.

Nel marzo 1901 fondò un’altra rivista da diffondere clandestinamente in Russia, « Zarja » (L’alba) dove, in dicembre, si firmò per la prima volta con lo pseudonimo di Lenin.[37] Nello stesso periodo fu raggiunto dalla moglie che aveva finito di scontare la detenzione in Siberia. Il 1902 si aprì con i contrasti fra Lenin e Plechanov sui princìpi che dovevano guidare il partito. Alle tesi programmatiche di Plechanov, Lenin rispose che « questo non è il programma di un partito che lotta praticamente, ma una dichiarazione di princìpi, quasi un programma di allievi del primo corso, là dove si parla del capitalismo in genere e non ancora del capitalismo russo ».[38] Secondo Lenin, a Plechanov sfuggiva il rapporto del capitalismo russo con l’economia rurale, il fenomeno della disgregazione delle comunità contadine e la relazione fra le vecchie e nuove realtà sociali che emergevano in Russia.[39]

Il partito come avanguardia rivoluzionaria e la coscienza di classe[modifica | modifica wikitesto]

 

Eduard Bernstein

Nel marzo 1902, Lenin pubblicò presso l’editore Dietz di Stoccarda il saggio Che fare?, composto dal maggio 1901 al febbraio 1902. Riprendendo il titolo di un noto romanzo dello scrittore russo Černyševskij, che aveva affascinato più di una generazione di rivoluzionari russi, Lenin vi continuava la polemica contro il revisionismo di Bernstein e gli economicisti, per i quali i marxisti russi dovevano limitarsi « alla lotta economica del proletariato e partecipare all’attività dell’opposizione liberale »;[40] In questo modo si negava la necessità dell’esistenza stessa di « un partito operaio indipendente, inseparabile dalla lotta di classe del proletariato, che si ponga il compito immediato della conquista della libertà politica », e il rapporto, « fuso in un tutto indivisibile » dal marxismo, tra lotta economica e lotta politica.[41]

Negli anni novanta – scrive nel Che fare? – ci fu una notevole estensione di scioperi spontanei: « Presi per sé, questi scioperi costituivano una lotta tradunionistica, ma non ancora socialdemocratica; annunciavano il risveglio dell’antagonismo tra operai e padroni, ma gli operai non avevano e non potevano avere ancora la coscienza dell’irriducibile antagonismo fra i loro interessi e tutto l’ordinamento politico e sociale contemporaneo, cioè la coscienza socialdemocratica. Gli scioperi della fine del secolo […] restavano un movimento puramente spontaneo ».[42] La classe operaia, lasciata sola di fronte alle proprie condizioni, non supera i limiti dell’economicismo, delsindacalismo, non mette in discussione il sistema economico e sociale e resta succube della borghesia.[43]

La coscienza politica socialista, secondo Lenin, è la comprensione del rapporto che lega il capitalista all’ordinamento economico, e il sistema economico alle istituzioni politiche e allo Stato.[44] È illusorio credere di poter combattere il proprio avversario di classe senza combattere l’ordinamento che lo difende e di cui è espressione. Per questo non bastano i sindacati ma è necessario un partito: « La socialdemocrazia rivoluzionaria ha sempre compreso nella propria azione la lotta per le riforme […] ma anche e innanzi tutto la soppressione del regime autocratico ».[45]

 

Julij Martov

Il pensiero politico socialista non è nato in conseguenza delle lotte economiche operaie, ma fu lo sviluppo del pensiero di intellettuali, rivoluzionari ma di estrazione sociale borghese, come erano Marx ed Engels. Anche in Russia, la dottrina socialdemocratica sorse e si sviluppò tra gli intellettuali.[46] Pertanto « la coscienza politica di classe può essere portata all’operaio solo dall’esterno, cioè dall’esterno delle lotte economiche, della sfera dei rapporti fra operai e padroni. Il solo campo dal quale è possibile raggiungere questa coscienza è il campo dei rapporti di tutte le classi, di tutti gli strati della popolazione con lo Stato e con il governo, il campo dei rapporti reciproci di tutte le classi ».[47]

Il partito appare come la mediazione tra teoria e movimento. La teoria è la coscienza dell’esperienza storica, la visione scientifica dei rapporti economici, sociali e politici che si forma analizzando le lotte politiche e sociali in corso e si traduce nella linea politica elaborata dal partito e trasmessa al movimento.[48] Ne deriva che « senza teoria rivoluzionaria non vi può essere movimento rivoluzionario ».[49]

Tale principio esclude ogni concessione allo spontaneismo dell’azione politica, quale viene praticato sia dalle organizzazioni economicistiche sia da quelle terroristiche, di matrice social-rivoluzionaria o anarchica. Gli economicisti « si prosternano dinanzi alla spontaneità del “movimento operaio puro”, i terroristi dinanzi alla spontaneità degli intellettuali che non sanno collegare il lavoro rivoluzionario e il movimento operaio ».[50]

Nel luglio 1903, nel corso del II Congresso del Partito Operaio Socialdemocratico Russo tenuto a Bruxelles e poi a Londra, emersero contrasti tra i socialisti russi: da un lato i seguaci di Lenin, appoggiati anche da Plechanov, concepivano il partito come un’organizzazione di lotta rivoluzionaria, della quale potessero far parte solo elementi coscienti e fidati, dall’altro i sostenitori di Martov e Aksel’rod intendevano concedere l’iscrizione a chiunque si dichiarasse simpatizzante con il programma del partito. Anche Trockij sosteneva che qualunque operaio in sciopero poteva considerarsi membro del partito.[51]

Martov concepiva il partito come un’organizzazione di massa. Secondo Lenin, in condizioni nelle quali « stabilire un limite tra il rivoluzionario e il parolaio ozioso » era già difficile, Martov « spalancava le porte del partito a qualsiasi avventuriero » e a « ogni sorta di opportunisti », proprio quando almeno una terza parte di esso già « era composta da intriganti ».[52]

 

Primo numero dell’Iskra

Il Congresso approvò a maggioranza (28 voti contro 23) la proposta di Martov. In compenso, al Comitato centrale del partito risultarono eletti, oltre ai tre redattori dell’« Iskra » Lenin, Plechanov e Martov, altri due seguaci di Lenin, Kržižanovskij e Lengnik, e il neutrale Noskov, così che i leninisti risultarono in maggioranza e per questo motivo vennero da allora chiamatibolscevichi, mentre i seguaci di Martov, in minoranza, presero il nome di menscevichi.[53]

Martov rifiutò di far parte della redazione dell’« Iskra », ma in ottobre, questa volta appoggiato da Plechanov, si prese la rivincita a Ginevra durante il Congresso della Lega estera della socialdemocrazia rivoluzionaria russa, un’organizzazione fondata da Plechanov. Questi chiese di allargare nuovamente la redazione del quotidiano del partito a sei elementi, con Vera Zasulič, Aksel’rod e Potresov, tutti menscevichi, minacciando altrimenti le proprie dimissioni. Lenin preferì allora lasciare l’« Iskra », pur restando nel Consiglio e nel Comitato centrale del partito.[54]

In Un passo avanti e due indietro (1904) Lenin commentò l’esito del Congresso e completò la sua teoria del partito, che per lui doveva consistere in un’organizzazione costruita dall’alto verso il basso. Considerare autoritaria e burocratica questa concezione, come sostenevano i menscevichi, ma anche la socialdemocratica tedesca Rosa Luxemburg, « con la loro tendenza ad andare dal basso in alto, dando a qualsiasi professore, a qualsiasi studente di ginnasio, a ogni scioperante la possibilità di annoverarsi tra i membri del partito »,[55] significava « privilegiare il movimento e la spontaneità contro la coscienza critica, diminuire il valore dell’iniziativa politica », abbandonandosi nello stesso tempo « alla politica del contingente, del caso per caso, nella rinuncia all’autonomia della classe operaia ».[56]

Pur essendo il partito della classe operaia, il partito non s’identifica con essa, perché il partito rivoluzionario è la coscienza politica e teorica dell’avanguardia della classe, e la coscienza politica di questa avanguardia non può coincidere con la coscienza politica di tutta la classe operaia: « Sarebbe codismo pensare che, con il capitalismo, tutta la classe operaia sia capace di elevarsi alla coscienza e all’attività dell’avanguardia […] dimenticare la differenza che esiste tra l’avanguardia e le masse che gravitano su di essa, dimenticare il dovere dell’avanguardia di elevare strati sempre più vasti al suo livello, vorrebbe dire ingannare se stessi ».[57]

Isolamento politico[modifica | modifica wikitesto]

 

Vladimir Bonč-Bruevič

Martov commentò sull’« Iskra » lo scritto di Lenin, definendolo un’« orazione funebre ». Ad avviso suo e dei menscevichi, Lenin era politicamente finito.[58] Il 28 gennaio 1904, a Ginevra, il Consiglio del partito aveva respinto la sua proposta di convocare un nuovo congresso, una decisione confermata a giugno anche dal Comitato centrale, dove pure i bolscevichi, tranne Lengnik, si allinearono con i menscevichi. Furioso contro i « conciliatori »,[59] Lenin si dimise da tutte le cariche di partito.[60]

Dopo quasi due mesi di vacanza a Losanna e in montagna, Lenin e la moglie fecero ritorno a Ginevra. Con loro vivevano Lidija Fotieva, che aiutava Nadežda Krupskaja nel lavoro di corrispondenza con la Russia, e la sorella Marija Ul’janova, da poco giunta in Svizzera dopo un periodo di detenzione nelle carceri russe. Con l’appoggio di Aleksandr Bogdanov, anch’egli recentemente immigrato dalla Russia, e valendosi del frenetico attivismo diRozalija Zalkind, Lenin riprese i contatti con i suoi più fedeli operanti in Russia, che formarono un « Ufficio dei comitati bolscevichi »[61] e in ventidue firmarono la richiesta di convocazione di un nuovo congresso del POSDR.[62]

Il 4 gennaio 1905 uscì il primo numero del nuovo settimanale bolscevico « Vperëd » (Вперёд, Avanti), fondato da Lenin, al quale collaborarono principalmente, oltre Lenin, Bogdanov, Bonč-BruevičLunačarskijOl’minskij eVorovskij.[63] Il compito del periodico era di riprendere la linea politica della vecchia « Iskra », con un « solido orientamento rivoluzionario contro il caos e le oscillazioni », appoggiare i comitati bolscevichi e lottare contro il gruppo dirigente menscevico, verso il quale il dissenso non era più soltanto di natura organizzativa ma soprattutto politica.[64]

La rivoluzione del 1905 e il III congresso del POSDR[modifica | modifica wikitesto]

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Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi Rivoluzione russa del 1905 e Domenica di sangue (1905).

Il 22 gennaio 1905 a Pietroburgo una dimostrazione popolare guidata dal pope Gapon, che voleva consegnare allo zar una petizione contenente rivendicazioni economiche e politiche, venne repressa nel sangue dall’esercito.

Nel novembre Lenin giunge a Pietroburgo clandestinamente, sotto il nome di Karpov: nel dicembre, al congresso del partito in Finlandia, chiede che i bolscevichi agiscano in piena autonomia dalle altre forze di opposizione al regime zarista. In questa occasione, per la prima volta Stalin incontra Lenin: scriverà che, conoscendolo solo di fama, si era aspettato di vedere un gigante e quando vide che Lenin era un uomo perfettamente normale, ne restò deluso. Nel gennaio 1906 Lenin è a Mosca, per contrastare le elezioni del parlamento russo, la Duma, che considera manipolata dalle forze politiche reazionarie. Ai primi del 1907 lo zarismo restaura pienamente l’autocrazia sciogliendo la Duma.

Riflettendo sugli insegnamenti della fallita rivoluzione del 1905, Lenin afferma che il proletariato «deve sostenere qualunque borghesia, anche la peggiore, nella misura in cui lotti concretamente contro lo zarismo». La rivoluzione del 1905 fallisce perché la borghesia russa, troppo debole ancora rispetto allo zarismo, non cerca il potere democratico, ma solo un accordo con l’autocrazia, perché era troppo forte, in essa, il timore di aprire la strada a una rivoluzione proletaria.

Per i menscevichi, invece, il proletariato deve sì appoggiare le rivoluzioni che abbiano un contenuto borghese, perché porterebbero a un regime democratico ove, in condizioni più favorevoli, la classe operaia può svolgere la sua lotta rivoluzionaria per il socialismo, ma non deve mettersi a capo di quella rivoluzione, non deve cercare di esserne protagonista ma deve rimanere all’opposizione.

Per Lenin, al contrario, solo se gli operai (i proletari) e i contadini (i piccolo borghesi) saranno i protagonisti di una rivoluzione democratica, questa sarà vittoriosa: «La lotta del proletariato per la libertà politica democratica è una lotta rivoluzionaria, perché mira alla piena sovranità del popolo. La lotta della borghesia per la libertà è una lotta opportunistica, perché mira alla divisione del potere fra l’autocrazia e le classi abbienti». Il proletariato deve operare, insieme con la borghesia, l’abbattimento del potere reazionario zarista, instaurando una dittatura democratica degli operai e dei contadini; quando fossero realizzate le libertà democratiche, il proletariato e il partito socialdemocratico che lo guida dovranno abbattere le istituzioni democratiche per instaurare il socialismo, attraverso ladittatura della classe operaia. Già nel 1898, del resto, con l’articolo I compiti dei socialdemocratici russi, Lenin aveva affermato che il partito era socialdemocratico – appunto, socialista e democratico insieme – nel senso che era democratico battendosi, in una società assolutista, per la conquista della democrazia «borghese», e socialista perché dovevano battersi per affermare il socialismo rovesciando la società capitalistica. Due erano le rivoluzioni da compiere, almeno in Russia, e se allora egli non si era posto il problema se vi dovesse essere un intervallo fra le due rivoluzioni, certamente il proletariato e il partito socialdemocratico dovevano essere protagonisti di entrambe le rivoluzioni. Sono i temi che si presenteranno, in forme concrete e drammatiche, nel 1917.

La prima guerra mondiale[modifica | modifica wikitesto]

 

Prigionieri russi durante la prima guerra mondiale

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi Prima guerra mondiale.

Allo scoppio della prima guerra mondiale, i partiti socialisti francese e tedesco votarono i crediti di guerra, sostenendo lo sforzo bellico dei rispettivi governi; Lenin denunciò il fallimento della Seconda Internazionale, che avrebbe tradito lo spirito dell’internazionalismo: nelle conferenze di Zimmerwald, nel 1915, e di Kienthal, nel 1916, sostenne la necessità di trasformare la guerra, che definì imperialista, in rivoluzione. Fra le parti in guerra non c’è differenza; il significato di nazionale, che ogni borghesia cerca di attribuire alla propria guerra, nasconde il reale contenuto di rapina: «La Germania si batte non per liberare ma per opprimere le nazioni. Non è compito dei socialisti aiutare il brigante più giovane e forte a depredare i briganti più vecchi e nutriti».[65]

Si può distinguere tra guerra giusta e ingiusta. Indipendentemente da colui che attacca per primo, è aggressore colui che opprime; se l’oppresso lotta contro l’oppressore, conduce una guerra giusta. La parola d’ordine delladifesa della patria è legittima e progressista in caso di guerra di liberazione nazionale, ma è reazionaria nel caso di guerra imperialista: «Il periodo dal 1789 al 1871 fu l’epoca di un capitalismo progressivo in cui l’abbattimento del feudalesimo, dell’assolutismo e la liberazione dal giogo straniero erano all’ordine del giorno della storia. Su questa unica base si poteva ammettere la ‘difesa della patria’, cioè la lotta contro l’oppressione. Oggi si potrebbe ancora applicare questa concezione in una guerra contro le grandi potenze imperialistiche, ma sarebbe assurdo applicarla in una guerra fra queste grandi potenze, in cui si tratta di sapere chi saprà spogliare meglio i paesi balcanici, l’Asia minore ecc. […] una classe rivoluzionaria non può, durante una guerra reazionaria, che augurarsi la sconfitta del proprio governo […] la rivoluzione in tempo di guerra è la guerra civile; la trasformazione della guerra dei governi in guerra civile è facilitata dalla sconfitta di questi governi».[66]

La rivoluzione del 1917[modifica | modifica wikitesto]

Le Tesi di aprile[modifica | modifica wikitesto]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi Tesi di aprile.

 

Minuta delle Tesi di aprile

Quando scoppiò la rivoluzione in Russia nel febbraio del 1917, Lenin era ancora esule in Svizzera. L’Inghilterra, d’accordo col governo provvisorio russo, gli negò il passaggio per il ritorno in Russia. Con altri 27 emigrati – 18 bolscevichi, 6 bundisti e 3 menscevichi – dovette risolversi a viaggiare in treno attraverso la Germania, sapendo già che la circostanza sarà oggetto delle speculazioni dei suoi avversari politici, che cercheranno di farlo passare per un agente tedesco. Il governo tedesco, sapendo che la rivoluzione indebolirà l’esercito russo, diede il suo assenso, ma temendo la propaganda dei « disfattisti », bloccò tre delle quattro entrate del vagone per impedire ogni contatto con la popolazione. Nacque così la leggenda del « vagone piombato ».[67]

Giunto a Pietrogrado il 16 aprile, tracciò per i bolscevichi, nelle Tesi di Aprile, un programma in 10 punti pubblicato il 20 aprile:

  • «La guerra rimane incontestabilmente una guerra imperialistica di brigantaggio, in forza del carattere capitalistico di questo governo, non è ammissibile la benché minima concessione al “difensivismo rivoluzionario” […] Data l’innegabile buona fede di larghi strati dei rappresentanti delle masse favorevoli al difensivismo rivoluzionario, che accettano la guerra come una necessità e non per spirito di conquista, e poiché essi sono ingannati dalla borghesia, bisogna spiegar loro con particolare cura, ostinazione e pazienza, l’errore in cui cadono, svelando il legame indissolubile esistente fra il capitale e la guerra imperialistica, dimostrando che è impossibile metter fine alla guerra con una pace veramente democratica, e non imposta con la forza, senza abbattere il capitale. Organizzare la propaganda più ampia di questa posizione nell’esercito combattente. Fraternizzare».
  • «L’originalità dell’attuale momento in Russia consiste nel passaggio dalla prima fase della rivoluzione, che ha dato il potere alla borghesia a causa dell’insufficiente grado di coscienza e di organizzazione del proletariato, alla sua seconda fase, che deve dare il potere al proletariato e agli strati poveri dei contadini […]».
  • «Non appoggiare in alcun modo il Governo provvisorio, dimostrare la completa falsità di tutte le sue promesse, soprattutto di quelle concernenti la rinuncia alle annessioni. Smascherare questo governo, invece di “rivendicare” – ciò che è inammissibile e semina illusioni – che esso, governo di capitalisti, cessi di essere imperialistico».
  • «Riconoscere che il nostro partito è in minoranza […] nella maggior parte dei Soviet dei deputati operai, di fronte al blocco di tutti gli elementi opportunistici piccolo-borghesi […] Spiegare alle masse che i Soviet dei deputati operai sono l’unica forma possibile di governo rivoluzionario […] svolgeremo un’opera di critica e di spiegazione degli errori, sostenendo in pari tempo la necessità del passaggio di tutto il potere statale ai Soviet dei deputati operai […]».
  • «Niente repubblica parlamentare – ritornare ad essa dopo i Soviet dei deputati operai sarebbe un passo indietro – ma Repubblica dei Soviet di deputati degli operai, dei salariati agricoli e dei contadini in tutto il paese, dal basso in alto. Sopprimere la polizia, l’esercito e il corpo dei funzionari. Lo stipendio dei funzionari – tutti eleggibili e revocabili in qualsiasi momento – non deve superare il salario medio di un buon operaio […]».
  • «Nel programma agrario spostare il centro di gravità sui Soviet dei deputati dei salariati agricoli. Confiscare tutte le grandi proprietà fondiarie. Nazionalizzare tutte le terre del paese e metterle a disposizione di Soviet locali di deputati dei salariati agricoli e dei contadini. Costituire i Soviet dei deputati dei contadini poveri […]».
  • «Fusione immediata di tutte le banche del paese in un’unica banca nazionale, posta sotto il controllo dei Soviet dei deputati operai».
  • «Il nostro compito immediato non è l'”instaurazione” del socialismo, ma, per ora, soltanto il passaggio al controllo della produzione sociale e della ripartizione dei prodotti da parte dei Soviet dei deputati operai».
  • «Compiti del partito: convocare immediatamente il congresso del partito; modificare il programma del partito, principalmente: sull’imperialismo e sulla guerra imperialistica; sull’atteggiamento verso lo Stato e sulla nostra rivendicazione dello “Stato-Comune”; emendare il programma minimo, ormai invecchiato; cambiare il nome del partito».
  • «Rinnovare l’Internazionale […]».

 

Lenin tiene un discorso alla folla

Le tesi di Lenin disorientarono i suoi compagni di partito che, nella prima riunione del comitato di partito di Pietrogrado, l’8 aprile, le respinsero a larghissima maggioranza: essi non riuscivano a concepire, nell’attuale momento, la possibilità di una trasformazione in rivoluzione socialista della rivoluzione borghese, che essi ritenevano appena iniziata e bisognosa di un lungo tempo per dare alla Russia le strutture democratiche. Come i menscevichi, essi ritenevano che i Soviet dovessero limitarsi a esercitare un controllo sull’attività del Governo provvisorio, espressione della borghesia imprenditoriale. Ma già alla conferenza del partito della capitale, tenuta il 14 aprile, e in quella panrussa del 24 aprile, le tesi di Lenin guadagnarono l’approvazione della grande maggioranza dei delegati: in essa si condannava il Governo per la sua collaborazione con «la controrivoluzione dei borghesi e dei latifondisti» e impegnava il partito a realizzare «il rapido passaggio di tutti i poteri statali ai Soviet dei deputati degli operai e dei soldati» e alle altre forme di potere, quale l’Assemblea costituente.

Con la caduta del primo Governo provvisorio e la costituzione, in maggio, di un nuovo governo costituito da una coalizione di cadetti – il partito della grande borghesia – e di socialisti moderati, espressione dei Soviet, si era cercato di risolvere il dualismo dei poteri esistente tra Governo e Soviet: in realtà, il Governo era intenzionato a proseguire, a fianco degli inglesi e dei francesi che avevano largamente investito capitali nelle industrie russe, una guerra da cui si ripromettevano grandi conquiste territoriali, senza risolversi ad attuare una riforma agraria, dati i contrasti esistenti in proposito fra cadetti e socialisti.

Il 3 luglio si svolse a Vyborg, sobborgo operaio di Pietrogrado, una manifestazione spontanea di centinaia di migliaia di operai e di soldati della guarnigione della capitale. La presenza dei militari rischia di trasformare la manifestazione, indetta ancora per il giorno successivo, in una rivolta che i bolscevichi intendono scongiurare, giudicandola del tutto prematura; a questo scopo, il giorno dopo, vi aderiscono ufficialmente con l’intenzione di controllarla, limitandone gli slogan alla richiesta della pace e del passaggio del potere ai Soviet. Il 4 luglio si accesero sparatorie fra cosacchi e allievi ufficiali, fedeli al governo, e soldati manifestanti, con decine di morti: i manifestanti sono dispersi, le sedi del partito e dei giornali bolscevichi chiuse, diversi dirigenti arrestati. Non Lenin che, accusato di aver organizzato una sommossa e persino di essere una spia tedesca, si nascose prima nella stessa Pietrogrado, poi, dal 12 luglio, in una capanna presso Razliv e, dal 22 agosto, a Helsinki, in Finlandia, allora regione dell’Impero russo.

L’ottobre[modifica | modifica wikitesto]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi Rivoluzione russa.

 

La presa del Palazzo d’Inverno durante la Rivoluzione Russa del 1917, nella ricostruzione del film Ottobre.

Il tentativo controrivoluzionario del generale Kornilov, che tentò di ripristinare il vecchio regime con la connivenza dei grandi industriali e del partito dei cadetti, per quanto sventato, compromise definitivamente la credibilità del Governo provvisorio di Kerenskij a favore dei Soviet e degli stessi bolscevichi, che avevano sempre appoggiato il passaggio del potere agli organismi popolari e risultavano ora il primo partito nei Soviet di Pietrogrado e di Mosca. Tutti i dirigenti bolscevichi arrestati vennero rilasciati mentre Lenin, dalla clandestinità, fece pubblicare il 6 settembre l’articolo Sui compromessi,[68] proponendo la formazione di un governo di menscevichi e socialisti rivoluzionari che goda della fiducia dei Soviet e che abbia un programma democratico avanzato. La proposta viene accettata il 13 settembre dal Comitato centrale del partito. Il 14 si apriva a Pietrogrado la Conferenza democratica, che avrebbe dovuto discutere della formazione di un nuovo governo e degli assetti istituzionali della Repubblica russa ma non riuscì a prendere nessuna decisione; intanto, attraverso due nuove lettere, I bolscevichi devono prendere il potere e Il marxismo e l’insurrezione, Lenin, paventando che reazionari e moderati intendessero abbandonare la capitale nelle mani dei tedeschi per soffocare la rivoluzione, e giudicando ormai mature le condizioni, proponeva improvvisamente ai compagni di partito di preparare segretamente e in tempi brevi l’insurrezione armata, rifiutando ogni compromesso, definito «cretinismo parlamentare», con la Conferenza democratica. Il Comitato centrale bolscevico respinse tuttavia la sua proposta.

Lenin rientrò allora clandestinamente a Pietrogrado il 9 ottobre: nella riunione del 10 la maggioranza si rovescia a suo favore, e il partito decide di preparare l’insurrezione armata: una grave difficoltà viene creata il 18 ottobre con la pubblicazione sulla rivista «Novaja Žizn’» di una lettera inviata da Kamenev che, in disaccordo con la maggioranza, rende di dominio pubblico la preparazione dell’insurrezione; il dissidio tuttavia rientra e il partito organizza, per la prima volta nella sua storia, un Politburo incaricato di sovrintendere all’insurrezione, mentre il Soviet di Pietrogrado, a maggioranza bolscevica, costituisce un Comitato militare rivoluzionario. All’alba del 25 ottobre 1917, le guardie rosse, milizie operaie bolsceviche, e i reggimenti della guarnigione della capitale, occupano i punti strategici della città e il Palazzo d’Inverno, sede del governo, arrestando alcuni ministri: altri, fra cui Kerenskij, riescono a fuggire. La «Rivoluzione d’ottobre» ha vinto senza quasi incontrare resistenza.

La conquista del potere[modifica | modifica wikitesto]

 

Un gruppo di soldati rivoluzionari

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi Guerra civile russa e Čeka.

Il 26 ottobre[69] il II Congresso panrusso dei Soviet degli operai e dei soldati dichiara decaduto il governo provvisorio di Kerenskij, approva i decreti sulla pace e sulla terra: vengono confiscate senza indennizzo le terre dei proprietari fondiari e della Chiesa; ratifica la nomina del nuovo governo – il Consiglio dei commissari del popolo, o Sovnarkom – a capo del quale è Lenin ed è costituito da soli bolscevichi – e nomina il Comitato esecutivo centrale panrusso (VCIK), organo facente funzione di parlamento, che è composto di 101 rappresentanti, dei quali, per il ritiro dei Socialisti rivoluzionari (SR) di destra e della maggioranza dei menscevichi dal Congresso dei Soviet,[70] 62 sono bolscevichi, 29 SR di sinistra e 10 menscevichi internazionalisti; per attività controrivoluzionaria vengono soppressi dal Comitato militare rivoluzionario i quotidiani Birževye Vedomosti (Informazioni della borsa), Den (Il Giorno), giornale menscevico finanziato dalle banche, Novoe Vremja (Il tempo nuovo) e Russkaja Volja (La volontà russa), di estrema destra, Russkie Vedomosti (Informazioni russe) e Reč’ (Il discorso), organi dei cadetti.

Superato il primo momento di sorpresa, si organizza la reazione: il 27 ottobre il generale Duchonin, nel suo Quartier generale di Mogilëv, si nomina capo dell’esercito e prende contatto con Kerenskij il quale, con le truppe del generale Krasnov, marcia su Pietrogrado; il generale Kaledin controlla il sud della Russia dove ha costituito una “Repubblica dei cosacchi” mentre una parte dell’Ucraina si costituisce in Repubblica indipendente con capitaleKiev. A Mosca, il colonnello Rjabtsev, comandante del Distretto militare, occupa il Cremlino uccidendo centinaia di soldati disarmati: la guerra civile è di fatto iniziata.[71]

 

Lenin e Trotsky (al centro in piedi) in una foto scattata con alcuni soldati di Pietrogrado

Il generale Duchonin, destituito da Lenin, che pone al suo posto il sottotenente Krylenko, rifiuta di chiedere l’armistizio ai tedeschi e fa liberare i generali golpisti Kornilov, Denikin, Lukomskij e Romanovskij. Prima ancora che Krylenko e le sue truppe giungano a Mogilëv, Duchonin è arrestato e fucilato dai suoi stessi soldati. Intanto, le truppe di Krasnov sono battute e si sbandano: Kerenskij fugge, mentre il generale Krasnov, catturato e rilasciato sulla parola di non combattere più contro la Rivoluzione, va nel bacino del Don dove riorganizza un nuovo esercito controrivoluzionario.

Mentre si costituiscono, dal 28 ottobre, milizie operaie alle dirette dipendenze del Soviet, un decreto del 10 novembre stabilisce, per eliminare ogni formale distinzione di classe sociale, l’abrogazione di ogni privilegio, dei gradi civili, dei titoli nobiliari e onorifici, e si afferma l’eguaglianza dei diritti fra uomini e donne.

Il 12 novembre si tengono le elezioni, che si svolgono suffragio universale, per l’elezione dei membri dell’Assemblea costituente, avente lo scopo di redigere la nuova costituzione della Russia: su 707 seggi, i SR ne ottengono 410, il 58%, i bolscevichi 175, il 25%, i partiti nazionalisti 86, il 9%, i cadetti 17 e i menscevichi 16, il 4% ciascuno. Se per i bolscevichi le elezioni sono una sconfitta, in parte prevista, il clamoroso successo dei SR è in realtà solo apparente: già solo due giorni dopo, al Congresso panrusso dei Soviet dei contadini, i SR si scindono in due frazioni, delle quali l’ala sinistra ottiene la maggioranza. Il VCIK viene allargato da 108 membri a 350 (poi ridotti a 200) divenendo il Comitato esecutivo centrale panrusso degli operai, dei soldati e dei contadini e tre esponenti della sinistra SR entrano a far parte del governo.

Il 22 novembre vengono aboliti i precedenti organismi giudiziari e tutte le leggi incompatibili con il nuovo regime; al loro posto si costituiscono tribunali popolari locali, eletti dai Soviet cittadini. Il 6 dicembre vengono requisite le grandi abitazioni, il 7 dicembre viene costituita la Čeka (Commissione straordinaria), diretta da Dzeržinskij, incaricata di condurre la lotta contro la controrivoluzione e il boicottaggio e il 27 dicembre vengono nazionalizzate le banche.

L’Assemblea costituente[modifica | modifica wikitesto]

 

Assemblea dei Soviet a Pietrogrado, 1917

La convocazione dell’Assemblea costituente, così come si era costituita in base al risultato elettorale, avrebbe legittimato un’opposizione al regime dei Soviet e del governo bolscevico e infatti tutti i partiti antibolscevichi richiesero l’apertura dei suoi lavori. Lenin affrontò il problema con le sue Tesi sull’Assemblea costituente, apparse sulla Pravda del 13 dicembre 1917.[72] Se è vero che «in una Repubblica borghese l’Assemblea costituente è la forma più alta di democrazia» è anche vero, secondo Lenin, che tutte le forze socialdemocratiche le avevano opposto la Repubblica fondata sui Soviet come «una forma di democrazia più elevata» e «l’unica forma capace di assicurare il passaggio al socialismo nel modo meno doloroso». pertanto, richiedere la convocazione dell’Assemblea significava rifiutare il passaggio al socialismo, rimanendo «nell’ambito della democrazia borghese», proprio ora che la rivoluzione d’ottobre aveva «strappato il dominio politico dalle mani della borghesia per darlo al proletariato e ai contadini poveri». Secondo Lenin, «la guerra civile, cominciata con l’insurrezione controrivoluzionaria dei cadetti e dei seguaci di Kaledin […] ha inasprito la lotta di classe e ha eliminato ogni possibilità di risolvere, per una via formalmente democratica», i problemi della Russia.

Già dal febbraio 1917 la Rivoluzione antizarista aveva vissuto il dualismo dei poteri del Governo provvisorio borghese e del Soviet socialista: ora il governo bolscevico era deciso a risolverlo. Il sovnarchom convocò l’Assemblea costituente per il 5 gennaio 1918, mentre il VCIK, convocando il III Congresso panrusso dei Soviet per l’8 gennaio, preparò un progetto di Dichiarazione dei Diritti del Popolo Oppresso e Sfruttato, che l’Assemblea costituente avrebbe dovuto approvare, che all’articolo 1º del I paragrafo recitava: «La Russia è una Repubblica di Soviet dei deputati degli operai, dei soldati e dei contadini. Tutti i poteri, centrali e locali, appartengono a questi Soviet», e al IV paragrafo affermava che «L’Assemblea costituente, appoggiando il potere sovietico e i decreti del Sovnarchom, ritiene di esaurire i propri compiti, stabilendo le basi fondamentali della trasformazione socialista della società».

L’Assemblea respinse a grande maggioranza la Dichiarazione e continuò i suoi lavori per tutta la notte finché, all’alba del 6 gennaio, la minoranza bolscevica e SR di sinistra abbandonarono la seduta. A quel punto, il comandante della guardia, il marinaio Železnjakov, fa presente al presidente dell’Assemblea, Černov, che «la guardia è stanca» e l’Assemblea va chiusa. Così fu e la Costituente non si riunì più.[73]

Il 20 gennaio 1918 il governo emise il decreto con il quale viene riconosciuta a tutti i cittadini la libertà di coscienza – in particolare la libertà di professare qualunque religione – e, avendo stabilito il principio della separazione fra Stato e Chiesa, si abrogano, oltre i privilegi di cui al decreto del 10 novembre, anche i sussidi statali di cui la Chiesa godeva. L’insegnamento della religione ortodossa, già obbligatorio nelle scuole statali, è abolito.

Il trattato di pace[modifica | modifica wikitesto]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi Trattato di Brest-Litovsk.
« Abbiamo alzato ora la bandiera bianca della resa; innalzeremo più tardi, su tutto il mondo, la bandiera rossa della nostra rivoluzione »
(Lenin commentando la firma del trattato di pace di Brest-Litovsk del 1918; citato in Antonio Pugliese, Alta marea, Editrice Sud, Napoli, 1955)

 

Delegazione bolscevica alla firma del trattato di pace

Dopo lunghi e duri contrasti in seno al partito, nel quale Lenin, che chiedeva di raggiungere la pace al più presto, è posto più volte in minoranza, il 3 marzo il governo russo stipula, con il Trattato di Brest-Litovsk, la pace con gliImperi Centrali a condizioni durissime: la Russia deve cedere la Polonia, la Lituania, la Lettonia, l’Estonia, la Finlandia, parte della Bielorussia, alcuni territori alla Turchia, riconoscere la Rada ucraina, pagare 6 miliardi di marchi e smobilitare l’esercito e la marina. I SR di sinistra non solo lasciano il governo ma si avviano a una politica di netta opposizione.

Il 14 giugno 1918 il VCIK espulse i menscevichi e i SR di destra e chiede ai soviet locali di fare altrettanto. Il 6 luglio l’ambasciatore tedesco a Mosca, Wilhelm von Mirbach-Harff, è assassinato da due SR, membri della Čeka, allo scopo di provocare l’intervento dell’esercito tedesco in appoggio al contemporaneo tentativo insurrezionale della capitale: l’operazione è finanziata dalla Francia. La maggior parte dei delegati SR al V Congresso panrusso dei Soviet, compresa la dirigente SR Marija Spiridonova, vengono arrestati e 13 SR, membri della Čeka, sono fucilati. La Spiridonova confessa di essere la mandante dell’omicidio ma, riconosciuta inferma di mente, viene liberata qualche mese dopo.[74]

Con l’aperto intervento straniero in appoggio alla rivolta zarista, la posizione politica dei menscevichi e dei SR diviene delicata: essi non potevano sperare nulla da una vittoria dei “Bianchi” né rimanere indifferenti di fronte all’invasione straniera. Il congresso menscevico tenuto a Mosca alla fine dell’ottobre 1918 riconosce la «necessità storica» della Rivoluzione d’ottobre, rifiuta ogni collaborazione con la controrivoluzione, promette di appoggiare le operazioni militari contro gli stranieri e chiede la fine della repressione poliziesca e del «terrore politico ed economico». Analogamente stabiliva il congresso SR tenuto a Pietrogrado nel febbraio 1919, cosicché il VCIK riammise, rispettivamente il 30 novembre 1918 e il 25 febbraio 1919 le due formazioni politiche. Ciò non toglie che la Čeka continuasse a rendere difficile, con arresti e perquisizioni, la vita dei dirigenti dei due partiti, Dan, Martov, Cernov, che infatti finirono per emigrare.[75]

La Costituzione della RSFSR[modifica | modifica wikitesto]

Il 10 luglio 1918 entra in vigore la nuova Costituzione: i primi due articoli stabiliscono che la Russia è «una Repubblica di Soviet dei deputati degli operai, dei soldati e dei contadini», i quali appartengono i poteri centrali e locali, «istituita sulla base di una libera unione di nazioni libere, come federazione di repubbliche nazionali sovietiche». L’articolo 3 delibera che, proponendosi la soppressione di «ogni sfruttamento dell’uomo sull’uomo, l’annullamento completo della divisione della società in classi, lo sterminio completo degli sfruttatori» e l’edificazione del socialismo, «la proprietà privata della terra è abolita»; riafferma il «controllo operaio» sulle fabbriche «per assicurare il potere dei lavoratori sugli sfruttatori»; annulla tutti i prestiti contratti dal governo zarista, «primo colpo portato al capitale finanziario internazionale delle banche», che sono nazionalizzate; stabilisce il lavoro obbligatorio «per annientare le classi parassite della società»; decreta «l’armamento degli operai e dei contadini, la formazione dell’Armata rossa socialista degli operai e dei contadini e il disarmo completo delle classi possidenti».

L’articolo 65 stabilisce che non possono essere né elettori né eleggibili «a) le persone che impiegano salariati con lo scopo di aumentare il loro profitto; b) le persone che vivono di redditi non derivanti dal loro lavoro, come: rendite utili su fabbricati, profitti su immobili, ecc.; c) i commercianti privati e i mediatori di commercio; d) i frati, i cappellani di culto e delle chiese; e) gli impiegati e gli agenti della vecchia polizia, del corpo scelto dei gendarmi, delle sezioni della polizia segreta e i membri delle ex-famiglie regnanti; f) gli alienati, i deboli di mente e le persone sotto tutela; g) i condannati per furto e delitti infamanti».

Il Terrore rosso[modifica | modifica wikitesto]

 

Lenin con Trotsky e Kamenev

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi La fine dei Romanov.

Nell’estate 1918 le truppe controrivoluzionarie cecoslovacche avanzano rapidamente verso Ekaterinburg, dove il deposto Nicola II si trova agli arresti con la sua famiglia. Il 16 luglio, Sverdlov con il beneplacito di Lenin[76] ordina al commissario Jurovskij l’eliminazione di Nicola II, della moglie Aleksandra Fëdorovna, e dei figli Ol’gaTat’janaMarijaAnastasija e Aleksej, unitamente a membri del loro seguito anch’essi detenuti. La notizia dell’esecuzione a Mosca viene data mentre Lenin ascolta la discussione sui provvedimenti sanitari proposta dal commissario per la sanità Semaško; c’è “silenzio generale” fino a quando Lenin non propone di continuare la lettura della relazione. Il comunicato ufficiale diramato dall'”Izvéstija” del 19 luglio proclama l’avvenuta fucilazione dello zar, ma non menziona la famiglia, che anzi dichiara “trasferita in un luogo sicuro”.[77][78] La Chiesa ortodossa russa hacanonizzato nel 2000 Nicola II e la sua famiglia come martiri.

Ai primi di agosto lasciano la Russia gli ambasciatori delle potenze dell’Intesa, che decide di appoggiare direttamente la controrivoluzione: il 15 agosto 1918 truppe inglesi e americane sbarcano ad Arcangelo e a Murmansk, mentre il 30, a Mosca, la socialista rivoluzionaria Fanny Kaplan, con due colpi di rivoltella, ferisce gravemente Lenin e a Pietrogrado è ucciso il dirigente della Čeka Uritskij. Il Governo concede alla Čeka un’autorità illimitata, autorizzando la fucilazione senza processo di tutti i criminali politici e degli speculatori, l’arresto dei socialisti rivoluzionari di destra, la presa di ostaggi fra i borghesi e gli ufficiali: il 7 settembre vengono rese note 512 fucilazioni a Pietrogrado, un centinaio a Kronštadt, 60 a Mosca, 86 a Perm, 41 a Novgorod.[79]

Il VCIK, il 25 ottobre, dichiara che «vista la situazione, il terrore, come mezzo di sicurezza, s’impone. È indispensabile, se si vuole salvare la repubblica sovietica contro i suoi nemici, isolare questi ultimi in campi di concentramento e fucilare tutti coloro che saranno sorpresi nelle organizzazioni, nei complotti e nelle sommosse delle guardie bianche»; è la chiara, speculare risposta a dichiarazioni come quella del generale bianco Denisov, il quale afferma che «è necessario sterminare senza pietà le persone che fossero scoperte a collaborare con i bolscevichi».

Il comunismo di guerra[modifica | modifica wikitesto]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi Comunismo di guerra.

Nel corso del 1918 era scoppiata la guerra civile tra le “armate bianche”, che lottavano per la restaurazione dell’impero zarista (esse trovarono in alcune zone l’iniziale appoggio delle masse rurali contrarie alle requisizioni effettuate dal governo sovietico, ma poi lo persero per la volontà dei “bianchi” di restaurare sistematicamente nei territori conquistati tutti gli antichi privilegi della nobiltà e del clero), e le “armate rosse” comuniste.

Le armate bianche erano finanziate e appoggiate militarmente dalle potenze dell’Intesa (Stati UnitiGran BretagnaFranciaGiappone e Italia), contrarie alla nascita di uno stato anticapitalista. Le armate rosse dovevano anche affrontare una guerra contro la Poloniaper il possesso di ampie zone di confine (che si concluderà col trattato di Riga del 1921) e le numerose sommosse anti-comuniste promosse da contadini, menscevichi e populisti.

 

Truppe bolsceviche impegnate nella guerra civile

In conseguenza della situazione precaria, Lenin (con l’appoggio degli altri dirigenti del partito bolscevico), al fine di poter vincere la guerra e poter quindi realizzare la rivoluzione socialista e l’eliminazione della “classe borghese”, autorizzò la promulgazione e l’attuazione di una serie di provvedimenti (in vigore tra il 1918 ed il 1921), che vanno complessivamente sotto il nome di “comunismo di guerra”.

Vengono decisi il razionamento delle derrate alimentari e la requisizione forzata delle eccedenze cerealicole dei contadini (la popolazione rurale rispose con sollevazioni ai tentativi del governo di sequestrare le derrate agricole, le quali furono duramente represse), il che, in comune con i danni causati dagli scontri della guerra civile e dalla prima guerra mondiale, causò carestie che provocarono (tra il 1918 ed il 1922) la morte di un numero di persone stimato fra i 2 ed i 5 milioni, soprattutto tra le più indigenti.

Il comunismo di guerra consistette principalmente nel controllo statale della produzione (per fini bellici) e della distribuzione di alimenti e prodotti (che dovevano essere razionati per le esigenze legate alla guerra). La politica di razionamenti avrebbe determinato la crisi dell’economia di scambio basata sulla moneta a favore di una forma di economia basata sul baratto (il governo russo ovvierà a tale situazione a partire dal 1921).

Per le esigenze legate alla produzione bellica, viene vietato lo sciopero e viene attuata la militarizzazione del lavoro, con turni di lavoro forzato.

Per impedire la diffusione tra il popolo di idee controrivoluzionarie ritenute “pericolose”, viene soppressa la libertà d’opinione, viene reintrodotta (essa era stata abrogata subito dopo la rivoluzione d’ottobre) la pena di morte (per il solo ma vago reato di “controrivoluzione”), viene abolita la libertà di stampa (con conseguente ufficializzazione della censura, già praticata), si inizia la persecuzione di tutti coloro che vengono considerati “non lavoratori” e amplissimi poteri vengono dati alla čeka, la polizia politica che diviene il simbolo della repressione leniniana (il cosiddetto “terrore rosso”, che determinò la morte o la detenzione di migliaia di civili; Lenin, basandosi sull’esperienza francese, considerava il terrore indispensabile per la realizzazione di una qualsiasi rivoluzione).[80]

La NEP[modifica | modifica wikitesto]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi Nuova politica economica.

Col decimo congresso del Partito comunista nel marzo 1921, Lenin annuncia l’abbandono del “comunismo di guerra” e l’inizio la “Nuova Politica Economica” (NEP), come già preannunciato nel saggio “L’estremismo, malattia infantile del comunismo“, scritto nell’aprile1920.

Egli rinuncia alla realizzazione immediata di un sistema economico pianificato (di cui era possibile ravvisare alcuni elementi come il GOELRO la Commissione di Stato per L’Elettrificazione della Russia istituita nel febbraio del 1920),[81] già durante il periodo del “comunismo di guerra” ed in quello immediatamente precedente, giudicando non pronta la popolazione: si ha la sostituzione delle requisizioni ai contadini con un’imposta in natura, la restaurazione della libertà di commercio e della proprietà privata delle piccole e medie imprese, l’abolizione del controllo operaio, la reintroduzione del cottimo e il ristabilimento dell’azione sindacale. La scelta di abbandonare il comunismo di guerra viene presa dopo una serie di ribellioni operaie e dopo l’ammutinamento della base navale diKronštadt (tra il 1º e il 17 marzo 1921), i cui soldati erano stati determinanti nella presa di Pietrogrado durante la Rivoluzione d’ottobre.

Gli ultimi anni e la morte[modifica | modifica wikitesto]

Al X congresso del partito venne decisa la lotta al “frazionismo” e si istituzionalizzò il divieto di creare correnti in seno al partito. In tale occasione il partito fu epurato di circa un terzo dei suoi membri e venne attribuita alla Segreteria di Partito il potere di scegliere i delegati al congresso dei soviet.

Nel 1921 si ebbe la reintroduzione nelle scuole dei sistemi educativi tradizionali, integrati con la propaganda di partito.[80] Si ebbe inoltre la creazione di associazioni giovanili a carattere ideologico socialista: i “Pionieri” (cui erano iscritti i bambini sino ai 15 anni) e la “Gioventù Comunista” o “Komsomol” (cui erano iscritti i ragazzi al di sopra dei 15 anni), che selezionava i candidati al partito (nella fase iniziale queste organizzazioni non erano di massa).[80]

 

L’ultima foto di Lenin nel 1924

Il 6 febbraio 1922 la Čeka fu sciolta e sostituita dalla GPU, una nuova polizia politica che nacque ufficialmente per ripristinare la “legalità rivoluzionaria” e per porre fine alle procedure extragiudiziarie.

« Tuttavia, la GPU mantiene gli organici della Čeka ed ottiene la facoltà di poter punire (anche con la morte) senza processo tutti coloro che vengono considerati responsabili di banditismo. »
(16 ottobre)

Nel marzo venne decisa la requisizione degli oggetti di culto preziosi appartenenti al clero, ufficialmente allo scopo di rimediare agli effetti della carestia che si era verificata durante la guerra. Si ebbero circa un migliaio di episodi di “resistenza”, a seguito dei quali i tribunali rivoluzionari comminarono la pena di morte a 28 vescovi e 1215 preti e la pena detentiva a circa 100 vescovi e diecimila preti.[80] In dicembre venne organizzata una campagna pubblica per irridere il Natale; simili manifestazioni si ebbero anche l’anno seguente in occasione della Pasqua e della festa ebraica del Yom Kippur. Nel medesimo anno fu creata la carica di segretario generale del partito (che venne ricoperta da Stalin).

Il 30 dicembre la Russia si trasformò in Unione Sovietica (il Partito Comunista Russo diventerà Partito Comunista dell’Unione Sovietica).

Lenin spese gli ultimi anni della propria vita, una volta conclusa la guerra e resosi conto delle proprie precarie condizioni di salute, principalmente nel cercare di designare il suo “successore” alla guida del partito.

Venne colpito il 25 maggio 1922 da un ictus che comportò una parziale paralisi del lato destro del corpo, tanto che fu costretto ad imparare a scrivere con la sinistra; solo il 2 ottobre cominciò a tornare all’attività, ma il 16 dicembre subì un secondo attacco. Il 23 dicembre riprese forze e lucidità ma le sue condizioni si aggravarono progressivamente. Dal 6 marzo 1923 non fu più in grado di comunicare, fino alla completa paralisi ed alla morte avvenuta il 21 gennaio 1924.[82]

Data la giovane età di Lenin (aveva solo 53 anni alla data della morte) si sono diffuse nel tempo diverse teorie riguardanti la sua morte: vi fu e vi è chi sostiene che la causa della prematura morte sia da rintracciare in una forma di sifilide. A seguito di un’autopsia compiuta sul cadavere poco tempo dopo il decesso per conto del governo russo, la causa ufficiale della morte venne identificata in un’aterosclerosi cerebrale. Tuttavia solo 8 dei 27 medici curanti concordarono che l’aterosclerosi fosse la vera causa della morte e perciò solo costoro firmarono il referto autoptico.

Il “testamento” di Lenin[modifica | modifica wikitesto]

 

Lenin con Stalin

« Il compagno Stalin, divenuto segretario generale, ha concentrato nelle sue mani un immenso potere, e io non sono sicuro che egli sappia servirsene sempre con sufficiente prudenza. D’altro canto, il compagno Trotsky come ha già dimostrato la sua lotta contro il CC nella questione del commissariato del popolo per i trasporti, si distingue non solo per le sue eminenti capacità. Personalmente egli è forse il più capace tra i membri dell’attuale CC.[83] »
(Lenin)
« Stalin è troppo grossolano, e questo difetto, del tutto tollerabile nell’ambiente e nei rapporti tra noi comunisti, diventa intollerabile nella funzione di segretario generale. Perciò propongo ai compagni di pensare alla maniera di togliere Stalin da questo incarico e di designare a questo posto un altro uomo che, a parte tutti gli altri aspetti, si distingua dal compagno Stalin solo per una migliore qualità, quella cioè di essere più tollerante, più leale, più cortese e più riguardoso verso i compagni, meno capriccioso, ecc. Questa circostanza può apparire una piccolezza insignificante. Ma io penso che, dal punto di vista dell’impedimento di una scissione e di quanto ho scritto sopra sui rapporti tra Stalin e Trotsky, non sia una piccolezza, ovvero sia una piccolezza che può avere un’importanza decisiva.[84] »
(Lenin)

La lettera al Congresso, meglio conosciuta come “testamento”, è un insieme di documenti dettati da Lenin a sua moglie e alla sua stenografa Maria Volodicheva tra il dicembre del 1922 e il gennaio del 1923, durante il suo soggiorno nella casa di cura di Gorky. Nella prima parte della lettera Lenin avanzò la necessità di aumentare l’effettivo del Comitato Centrale facendovi entrare operai e contadini (50-100 membri) e delineò i ritratti dei maggiori esponenti del partito candidati alla sua successione. Nella seconda parte del testo, Lenin propose esplicitamente al Congresso la rimozione di Stalin (giudicato “troppo grossolano”) dalla carica di segretario generale del partito. Egli riteneva indispensabile rendere noto il contenuto dopo la sua morte ma il XIII Congresso del PCUS decise all’unanimità di non rendere il testamento di dominio pubblico. Soltanto nel 1956, durante il XX Congresso del PCUS, Nikita Chruščëv svelò l’esistenza di questo documento che successivamente fu pubblicato integralmente da alcune Organizzazioni Comuniste Internazionaliste.

La rottura con Stalin però, si percepì anche prima della stesura del testamento. Durante la malattia di Lenin infatti, Stalin costrinse i medici a imporre misure molto restrittive al malato, impedendogli di fatto qualsiasi attività, addirittura non poteva ricevere documenti o notizie dai suoi assistiti, né scrivere sotto dettatura. Il 21 dicembre 1922 Lenin dettò alla moglie una breve lettera per Trotsky ma quando Stalin ne fu informato, reagì con brutalità, rimproverando e aggredendo verbalmente la Krupskaja. Quando Lenin fu informato dell’accaduto il 5 marzo 1923, dopo averlo definito “insolente”, minacciò Stalin di interrompere qualsiasi rapporto con lui se non avesse chiesto scusa a sua moglie.

Il culto della salma[modifica | modifica wikitesto]

Subito dopo la morte, il 23 gennaio, la salma fu trasferita da Gorkij a Mosca, dove ricevette l’ultimo saluto dalla folla che sfidò il gelido inverno russo per l’ultimo omaggio al capo della rivoluzione. Il 26 gennaio fu celebrata una cerimonia nel grande teatro di Mosca e all’uscita, mentre il feretro percorreva la Piazza Rossa, l’enorme folla accorsa intonò l’Internazionale. In tutta la Russia le attività cessarono, la città natale di Lenin, Simbirsk, fu chiamata in sua memoria Uljanovsk, e Pietrogrado (l’antica Pietroburgo) prese il nome di Leningrado.

Stalin e soprattutto Feliks Dzeržinskij, capo della Čeka, vollero fare del corpo di Lenin un simbolo da esporre e da venerare in un apposito mausoleo ai piedi delle mura del Cremlino, nonostante egli avesse espressamente dichiarato di voler essere seppellito accanto ai suoi compagni. All’inizio si pensò di congelare il corpo, ma il rapido deteriorarsi nell’attesa che venisse costruita un’apposita camera refrigerata ne rese necessaria l’imbalsamazione. Neppure i ripetuti appelli della vedova di rispettare le ultime volontà del marito servirono a far cambiare idea a Stalin.

L’anatomista ucraino Vladimir Vorobiov e il dottor Boris Zbarsky, a capo di un gruppo di medici, utilizzarono una tecnica che non è stata ancora completamente svelata. Da più di ottant’anni la salma viene fatta oggetto di trattamenti periodici e attenzioni costanti affinché conservi sempre un aspetto “da vivente”: oltre ad essere ispezionata settimanalmente per rivelare eventuali tracce di muffa o fenomeni degenerativi, ogni anno e mezzo viene immersa per trenta giorni in un bagno di glicerolo e acetato di potassio.

Pensiero e opere di Lenin[modifica | modifica wikitesto]

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Materialismo ed empiriocriticismo[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1909 Lenin pubblicò Materialismo ed empiriocriticismo, in polemica con il compagno di partito Aleksandr Bogdanov, uno dei fondatori del bolscevismo e dirigente della corrente di sinistra, con un ruolo preminente nel 1905), il quale sosteneva che l’unica realtà è costituita dall’esperienza e che il marxismo vada aggiornato sulla base delle conclusioni degli scienziati positivisti (Bogdanov stesso era uno scienziato). La posizione filosofica di Bogdanov venne valutata da Lenin una variante dell’empiriocriticismo di Richard Avenarius e di Ernst Mach, sebbene Bogdanov proponesse una visione parzialmente diversa, basata sull’unificazione delle esperienze psichiche e fisiche, da lui denominata empiriomonismo.

 

Ernst Mach

Restando sul solco di Plechanov, Lenin afferma che «l’unica proprietà della materia […] è la proprietà di essere una realtà obiettiva, di esistere fuori della nostra coscienza […]. Le nostre sensazioni, la nostra coscienza, sono solo l’immagine del mondo esterno». Pertanto, secondo Lenin, seguendo Engels, la realtà non è, come sostengono gli empiriocriticisti, «una forma organizzatrice dell’esperienza», ma è il modo di essere dell’oggetto a cui il pensieroumano si avvicina secondo una dialettica fra verità assoluta e relativa: il soggetto è il cervello umano, «materia organizzata in un certo modo», che segue le stesse leggi della materia.

Lenin sostiene questa polemica senza avere potuto conoscere tutta l’elaborazione filosofica di Marx, pubblicata dopo la sua morte. Più tardi tenterà una rifondazione teorica dei presupposti filosofici marxisti nel breve articolo Tre fonti e tre parti integranti del marxismo, dove ripete la spiegazione di Engels secondo cui il marxismo è il prodotto originale del confluire di tre grandi filoni di pensiero rappresentativi dei «punti più elevati» raggiunti dal pensiero europeo nel secolo precedente: il socialismo francese, la filosofia tedesca e l’economia inglese.

Non tutti i seguaci della politica leninista hanno condiviso tutte le riflessioni filosofiche di Lenin, in particolare la teoria del «riflesso». Il problema è il ruolo della prassi, concetto centrale nel pensiero filosofico di Marx. Se la verità è l’adeguamento del soggetto conoscente all’oggetto esistente di per sé, si contraddice forse la centralità del ruolo della prassi enunciata da Marx nelle sue Tesi su Feuerbach. Se la prassi – l’attività del soggetto sull’oggetto – è la mediazione fra conoscente e conosciuto, è il mezzo stesso del conoscere, essa diviene in Lenin una mera derivazione del riflesso.

L’imperialismo[modifica | modifica wikitesto]

Dal 1912 al 1916 studia il fenomeno dell’imperialismo. Già il socialdemocratico austriaco Rudolf Hilferding nel suo Il capitale finanziario, nel 1909, aveva individuato nella formazione del capitale finanziario – fusione di capitale bancario e industriale – la premessa delle politiche imperialistiche. Lenin gli rimprovera di trascurare la divisione del mercato mondiale operata dai trust internazionali e la formazione di una classe parassitaria di possessori di reddito azionario: «il capitalismo ha la proprietà di staccare il possesso del capitale dal suo impiego nella produzione, il capitale liquido dal capitale industriale e produttivo, di separare il ‘rentier’, che vive soltanto del profitto tratto dal capitale liquido, dall’imprenditore […] l’imperialismo, cioè l’egemonia del capitale finanziario, è lo stadio supremo del capitalismo in cui tale separazione assume le maggiori dimensioni».

Ne sono conseguenze i diversi fenomeni speculativi, finanziari, di Borsa, dei terreni, immobiliari. Se la forma dominante del capitale non è più quella industriale, ma è quella finanziaria, se «per il vecchio capitalismo, sotto il pieno dominio della libera concorrenza, era caratteristica l’esportazione di merci, per il nuovo capitalismo, sotto il dominio dei monopoli, è caratteristica l’esportazione del capitale […] la necessità dell’esportazione di capitale è determinata dal fatto che in alcuni paesi il capitalismo è diventato più che maturo e al capitale […] non rimane più un campo di investimento redditizio».

In questa fase, secondo la visione leniniana, si mostra più palesemente il carattere antisociale e l’irrazionalità del capitalismo e la conflittualità che esso provoca fra la sua necessità di profitto e i bisogni sociali della popolazione. Si può riassumere la definizione leniniana di imperialismo come «capitalismo giunto alla fase dello sviluppo in cui si è formato il dominio dei monopoli e del capitale finanziario, ha acquisito grande importanza l’esportazione dei capitali, è iniziata la divisione del mondo fra i trust internazionali e i maggiori paesi capitalistici si sono divisi l’intera superficie terrestre».

Stato e rivoluzione[modifica | modifica wikitesto]

Seguendo Marx ed Engels, Lenin sostiene che lo Stato – qualunque Stato – è l’organo con il quale la classe dominante esercita il suo potere: «la dittatura di una sola classe è necessaria non solo per ogni società classista in generale, non solo per il proletariato dopo aver abbattuto la borghesia, ma per l’intero periodo storico che separa il capitalismo dalla “società senza classi”, dal comunismo. Le forme degli Stati borghesi sono straordinariamente varie, ma la loro sostanza è unica: tutti questi Stati sono […] una dittatura della borghesia. Il passaggio dal capitalismo al comunismo, naturalmente, non può non produrre un’enorme abbondanza e varietà di forme politiche, ma la sostanza sarà inevitabilmente una sola: la dittatura del proletariato».[85]

Come una democrazia borghese resta, secondo Lenin, una forma di dittatura esercitata con i mezzi dello Stato, così anche una democrazia socialista sarà una dittatura del proletariato: «la democrazia non si identifica con la sottomissione delle minoranza alla maggioranza. La democrazia è uno Stato che riconosce la sottomissione della minoranza alla maggioranza, cioè l’organizzazione sistematica della violenza esercitata da una classe contro un’altra, da una parte della popolazione contro l’altra».[86]

A differenza della società borghese, che considera lo Stato una necessità permanente per la sua esistenza, nella società socialista lo Stato è destinato a estinguersi e dovrà essere organizzato in modo che cominci a estinguersi: «Noi ci assegniamo come scopo finale la soppressione dello Stato, cioè di ogni forma organizzata e sistematica di ogni violenza esercitata contro gli uomini in generale. Noi non auspichiamo l’avvento di un ordinamento sociale in cui non venga osservato il principio della sottomissione della minoranza alla maggioranza. Ma, aspirando al socialismo, abbiamo la convinzione che esso si trasformerà in comunismo, e che scomparirà quindi ogni necessità di ricorrere in generale alla violenza contro gli uomini […] perché gli uomini si abitueranno a osservare le condizioni elementari della convivenza sociale, senza violenza e senza sottomissione».[86]

Risposta alle critiche socialdemocratiche[modifica | modifica wikitesto]

Alle critiche, di origine socialdemocratica, che considerano la Russia immatura per il socialismo, nel 1923 Lenin risponderà:

« ..ma un popolo che era davanti a una situazione rivoluzionaria, quale si era creata nella prima guerra imperialista, sotto l’imminenza di questa situazione senza via di uscita, non poteva forse gettarsi in una lotta che gli apriva almeno qualche speranza di conquistarsi condizioni non del tutto ordinarie per un ulteriore progresso della civiltà?La Russia non ha raggiunto il livello di sviluppo delle forze produttive sulla base del quale è possibile il socialismo. Tutti gli eroi della II Internazionale… presentano questa tesi come oro colato… la considerano decisiva per l’apprezzamento della nostra rivoluzione.Ma che cosa fare se l’originalità della situazione ha innanzi tutto condotto la Russia nella guerra imperialista mondiale, nella quale erano coinvolti tutti i paesi dell’Europa occidentale che avevano una qualche influenza, ha creato per il suo sviluppo… condizioni in cui noi potevamo attuare precisamente quella unione della guerra dei contadini con il movimento operaio, di cui parlava, come di una prospettiva possibile, un marxista come Marx, nei 1856, a proposito della Prussia?

Che fare se la situazione, assolutamente senza vie d’uscita, decuplicava le forze degli operai e dei contadini e ci apriva più vaste possibilità di creare le premesse fondamentali della civiltà, su una via diversa da quella percorsa da tutti gli altri Stati dell’Europa occidentale? Forse che per questo la linea generale dello sviluppo della storia mondiale si è modificata? Si sono forse perciò cambiati i rapporti fondamentali tra le classi principali di ogni Stato…?

Se per creare il socialismo occorre un certo grado di cultura (quantunque nessuno possa dire quale sia di preciso questo certo grado di cultura, dato che esso è diverso in ogni Stato dell’Europa occidentale), perché non dovremmo allora cominciare con la conquista, per via rivoluzionaria, delle premesse necessarie per questo certo grado, in modo da potere in seguito – sulla base del potere operaio e contadino e del regime sovietico – metterci in marcia per raggiungere gli altri popoli?… »

Opere di Lenin[modifica | modifica wikitesto]

  • Opere, 45 voll., Roma, Rinascita-Editori Riuniti, 1955-1970

Scritti principali[modifica | modifica wikitesto]

  • 1893Nuovi spostamenti economici nella vita contadina
  • 1894Che cosa sono gli “Amici del popolo” e come lottano contro i socialdemocratici
  • 1894A proposito della cosiddetta questione dei mercati
  • 1895Il contenuto economico del populismo e la sua critica nel libro del signor Struve
  • 1897Caratteristiche del romanticismo economico
  • 1899Protesta dei socialdemocratici russi
  • 1902Che fare?
  • 1903Un passo avanti e due indietro
  • 1905Giornate rivoluzionarie
  • 1905Due tattiche della socialdemocrazia nella rivoluzione democratica
  • 1908Marxismo e revisionismo
  • 1909Progetto di risoluzione sul momento attuale e sui compiti del Partito
  • 1909L’atteggiamento del partito operaio verso la religione
  • 1909Materialismo ed empiriocriticismo
  • 1911In memoria della Comune
  • 1913I destini storici della dottrina di Karl Marx
  • 1913Tre fonti e tre parti integranti del marxismo
  • 1913Gli armamenti e il capitalismo
  • 1914La guerra europea e il socialismo internazionale
  • 1914La situazione e i compiti dell’Internazionale Socialista
  • 1914La guerra e la socialdemocrazia russa
  • 1915La conferenza delle sezioni estere del Partito operaio socialdemocratico russo
  • 1915Il socialismo e la guerra
  • 1916L’Imperialismo, fase suprema del capitalismo

Mao Tse-tung

Mao Tse-tung

Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.
« La rivoluzione non è un pranzo di gala; non è un’opera letteraria, un disegno, un ricamo; non la si può fare con altrettanta eleganza, tranquillità e delicatezza, o con altrettanta dolcezza, gentilezza, cortesia, riguardo e magnanimità. La rivoluzione è un’insurrezione, un atto di violenza con il quale una classe ne rovescia un’altra. »
(M. Tse-tung, Libretto rosso[1])
Mao Tse-tung
Mao Zedong portrait.jpg

Presidente del Partito Comunista Cinese
Durata mandato 20 marzo 1943 –
9 settembre 1976
Predecessore Zhang Wentian
(Segretario Generale)
Successore Hua Guofeng

Presidente della Repubblica Popolare Cinese
fino al 1954 Presidente del Governo Popolare Centrale
Durata mandato 1 ottobre 1949 –
27 aprile 1959
Predecessore Carica creata
Successore Liu Shaoqi

Dati generali
Partito politico Partito Comunista Cinese
Firma Firma di Mao Tse-tung

Mao Tse-tung o Mao Zedong (Caratteri cinesi: 毛泽东; pinyinMáo ZédōngWade-GilesMao Tse-tungpronuncia[?·info]) (Shaoshan26 dicembre 1893 – Pechino9 settembre 1976) è stato un rivoluzionariopolitico,filosofo e dittatore cinese.

Mao Tse-tung
 
Mao nel 1931
Mao nel 1931
26 dicembre 1893 – 9 settembre 1976
Nato a Shaoshan
Morto a Pechino
Dati militari
Paese servito Cina
Forza armata esercito popolare di liberazione
Anni di servizio 1927-1949
Grado comandante in capo
Guerre guerra civile cinese seconda guerra sino-giapponese
Comandante di esercito popolare di liberazione

[senza fonte]

voci di militari presenti su Wikipedia

Fu portavoce del Partito Comunista Cinese dal 1943 fino alla sua morte. Sotto la sua guida, il partito salì al governo cinese a seguito della vittoria nella guerra civile e della fondazione della Repubblica Popolare Cinese, di cui dal 1949 fu presidente.

Durante la guida della Cina, sviluppò un marxismo-leninismo “sinizzato”, noto come maoismo, collettivizzando l’agricoltura con il cosiddetto “Grande Balzo in avanti“. Il presidente cinese fu promotore di un’alleanza con l’Unione Sovietica che in seguito ruppe e lanciò la Rivoluzione Culturale.

A Mao vengono attribuiti: la creazione di una Cina unificata e libera dalla dominazione straniera, l’intervento cinese in Corea, l’invasione del Tibet e il conflitto sino-indiano del ’62, l’uso sistematico della repressione e deilavori forzati (vedi Laogai), lo sterminio di milioni di contadini nella riforma agraria del 1951, la carestia del 19581961 e la violenza della Rivoluzione Culturale. Tra il 1959 e il 1962, nel periodo del gran balzo in avanti, si stima che a causa della sua politica morirono tra i 13 e i 46 milioni[2] di cinesi.

Mao Tse-tung viene comunemente chiamato Presidente Mao (毛主席, Máo Zhǔxí). All’apice del suo culto della personalità, Mao era comunemente noto in Cina come il “Quattro volte grande”: “Grande Maestro, Grande Capo, Grande Comandante Supremo, Grande Timoniere (伟大导师,伟大领袖,伟大统帅,伟大舵手)”.

 

 

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Mao Tse-tung nacque nel villaggio di Shaoshan, nella Contea di Xiangtan (湘潭縣), Provincia di Hunan da una famiglia di coltivatori agricoli moderatamente prospera. I suoi antenati erano migrati nel villaggio, dalla provincia di Jiangxi, durante l’epoca della Dinastia Ming, e si erano dedicati all’agricoltura per generazioni. Ebbe due fratelli minori, Tse-min e Tse-tan, che non superarono l’infanzia. All’età di quattordici anni, fu costretto dal padre a sposare Luo Shi (羅氏), una ragazza più grande di lui di qualche anno.

Tale matrimonio non è mai stato accettato da Mao, che sostenne di non aver mai dormito con la ragazza, rifiutando di riconoscerla come moglie. Durante la Rivoluzione del 1911 prestò servizio nell’esercito provinciale di Hunan. Negli anni dieci Mao ritornò a scuola, dove divenne un sostenitore della forma fisica e dell’azione collettiva, in questo periodo si avvicinò alle idee anarchiche leggendo scritti di diversi esponenti anarchici.

Dopo essersi diplomato alla Scuola Normale di Huntelaar nel 1918, Mao viaggiò verso Pechino con il suo insegnante delle superiori e suo futuro suocero, il Professor Yang Changji (杨昌济), durante il “movimento del quattro maggio“, quando Yang tenne delle lezioni all’Università di Pechino. Seguendo le sue raccomandazioni, Mao lavorò sotto Li Dazhao, direttore della biblioteca universitaria, e presenziò ai discorsi di Chen Duxiu.

Mentre lavorava per la biblioteca dell’università come assistente, acquisì la passione per la lettura e per i libri, mantenuta negli anni successivi. Sempre a Pechino sposò la prima moglie, Yang Kaihui, una studentessa universitaria e figlia di Yang Changji, dalla quale ebbe due figli, Mao Anying e Mao Anqing. Il matrimonio durò poco, mentre Yang, nel 1927 finì imprigionata e uccisa dalle truppe di Chiang Kai-shek.

Invece di trasferirsi all’estero come molti dei suoi compatrioti radicali, Mao passò l’inizio degli anni venti viaggiando attraverso la Cina, e infine fece ritorno nello Hunan, dove prese a guidare le azioni collettive e per i diritti dei lavoratori. All’età di ventisette anni, nel luglio 1921 a Shanghai, Mao partecipò al primo congresso del Partito Comunista Cinese. Due anni dopo, nel corso del terzo congresso, venne eletto nel comitato centrale del partito.

Durante il primo fronte unito Kuomintang-PCC, Mao venne nominato direttore dell’Istituto di addestramento dei contadini del Kuomintang (il Partito nazionalista), e all’inizio del 1927 venne inviato nella Provincia diHunan per relazionare sulle recenti sollevazioni contadine avvenute alla luce della “spedizione settentrionale“. La relazione che Mao produsse da questa indagine è considerata il primo importante lavoro della teoria maoista: “Rapporto sull’inchiesta condotta nello Hunan a proposito del movimento contadino“. Fu anche la prima di tre analisi dettagliate delle condizioni economiche e della distribuzione delle ricchezze nelle campagne.

Idee politiche[modifica | modifica wikitesto]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi Maoismo.

Durante questo periodo, Mao sviluppò molte delle sue teorie politiche. In campo filosofico, le sue idee erano considerate più importanti dal punto di vista culturale che originali; eppure, hanno avuto un enorme impatto su generazioni di cinesi, ed hanno influenzato significativamente il resto del mondo. Un concetto molto importante era la sua visione dei contadini come sorgente della rivoluzione. La teoria marxista-leninista tradizionale aveva considerato i lavoratori dei nuclei urbani come forza motrice della rivoluzione.

Mao invece sosteneva che nel caso della Cina era la classe contadina quella dalla quale si sarebbe sviluppata la rivoluzione. Poiché la Cina non aveva una significativa classe proletaria, in particolare scarseggiava di operai, contava invece molti contadini insoddisfatti, condizione necessaria per applicare il comunismo alla realtà cinese. Mao divise le campagne in 4 classi: proprietari terrieri (non lavoravano le loro terre ma le affittavano ai lavoratori), contadini ricchi (lavoravano una parte delle loro terre e affittavano l’altra), contadini medi (possedevano solo le terre che lavoravano e non lavoravano altre terre) e contadini poveri(possedevano terre in quantità nulla o insufficiente e lavoravano le terre di altri).

Mao arricchì le teorie di Hegel e Marx, per creare una nuova teoria del materialismo dialettico. Inizialmente applicando la teoria della dialettica ai conflitti del mondo reale, e successivamente asserendo che solo la realtà empirica del conflitto aveva importanza, Mao sviluppò un tipo di teoria dialettica che venne studiata per decenni. Comunque è difficile determinare la reale validità di questa teoria, poiché molte delle analisi fatte su di essa sono state influenzate dall’appartenenza politica. In questo periodo, Mao sviluppò anche delle idee più pratiche, come una teoria a tre stadi della guerriglia e il concetto di “dittatura democratica del popolo“.

Guerra e rivoluzione[modifica | modifica wikitesto]

Mao nel 1927.

Mao riuscì a sfuggire al terrore bianco nella primavera/estate del 1927 e guidò in autunno, a Changsha, la sfortunata rivolta del raccolto autunnale. Mao sopravvisse a malapena a questo rovescio (sfuggì alle sue guardie mentre veniva condotto all’esecuzione) ed assieme alla sua malandata banda di leali guerriglieri trovò rifugio nelle Montagne dello Jinggang, nella Cina sud-orientale. Lì, dal 1931 al 1934, Mao aiutò a fondare la Repubblica Sovietica Cinese della quale venne eletto presidente.

Fu in questo periodo che Mao sposò He Zizhen, dopo che Yang Kaihui era stata uccisa da forze del Kuomintang. Mao, con l’aiuto di Zhu De, costruì un modesto ma efficace esercito guerrigliero, intraprese esperimenti nella riforma rurale e nel governo, e fornì rifugio ai comunisti che sfuggivano alle purghe effettuate dalla destra nelle città. Sotto la crescente stretta delle campagne di accerchiamento del Kuomintang, ci fu una lotta di potere all’interno della dirigenza comunista.

Mao venne rimosso dalla sua posizione e sostituito da individui (fra cui Zhou Enlai) fedeli alla linea ortodossa sostenuta da Mosca e rappresentata all’interno del PCC da un gruppo noto come i 28 bolscevichiChiang Kai-shek, che aveva in precedenza assunto il controllo nominale della Cina, in parte grazie alla “spedizione settentrionale“, era determinato ad eliminare i comunisti. Per sfuggire alle forze del Kuomintang, i comunisti si impegnarono nella “Lunga Marcia“, una ritirata dalla provincia dello Jiangxi nel sud-est, verso quella dello Shaanxi nel nord della Cina.

Fu durante questo viaggio, lungo 9.600 km, e durato un anno dall’ottobre 1934 all’ottobre 1935, che Mao emerse come capo dei comunisti cinesi, aiutato dalla Conferenza di Zunyi e dalla defezione di Zhou Enlai, alleatosi con lui. Dalla sua base a Yan’an, Mao guidò la resistenza comunista contro gli invasori nella Guerra sino-giapponese (1937-1945). Consolidò ulteriormente il potere sul Partito Comunista nel 1942, lanciando la “Cheng Feng“, o campagna di “Rettifica”, contro i rivali interni, come Wang MingWang Shiwei, e Ding Ling.

Sempre a Yan’an, Mao divorziò da He Zizhen, in cura a Mosca per ferite di guerra, e sposò l’attrice Lan Ping, che sarebbe divenuta nota con il nome di Jiang Qing. Durante la Guerra sino-giapponese (1937-1945), le strategie di Mao Tse-tung venivano avversate, da Chiang Kai-shek, dagli Stati Uniti, e da Mosca, la quale vedeva in Chiang Kai-shek il garante dei propri interessi in Cina. Gli USA consideravano lo stesso Chiang Kai-shek come un importante alleato, in grado di aiutarli ad abbreviare la guerra impegnando i giapponesi in Cina.

Chiang, per contro, cercava di costruire l’esercito della Repubblica di Cina, in funzione di futuro conflitto con i comunisti di Mao, dopo la fine della seconda guerra mondiale. Questo fatto non venne ben compreso dagli USA che continuarono a fornire preziosi armamenti al Kuomintang. Secondo una diversa interpretazione, Chiang Kai-shek fu fedele alla tradizione cinese di unificare militarmente e politicamente la Cina prima di combattere gli invasori esterni, che avversava non meno di Mao. Dopo la seconda guerra mondiale, gli USA continuarono ad appoggiare Chiang Kai-shek, ora apertamente schierato contro l’Esercito di Liberazione Popolare guidato da Mao Tse-tung nella guerra civile per il controllo della Cina, come parte della loro politica di contenimento e sconfitta del “comunismo mondiale”.

L’appoggio dell’Unione Sovietica è dubbio: da un lato continuò a mantenere ambasciatori e agenti presso il Kuomintang, dall’altro aiutò Mao ad impadronirsi degli armamenti giapponesi in Manciuria. Il 21 gennaio 1949, le forze del Kuomintang soffrirono enormi perdite contro l'”Armata Rossa” di Mao. All’alba del 10 dicembre 1949, l’esercito comunista aveva cinto d’assedio Chengdu, l’ultima città controllata dal Kuomintang nella Cina continentale, e Chiang Kai-shek, quello stesso giorno, fu costretto a trovare rifugio aTaiwan.

Alla guida della Cina[modifica | modifica wikitesto]

Mao proclama la nascita della Repubblica Popolare Cinese il 1º ottobre 1949

Dopo aver sconfitto, durante la guerra civile, i nazionalisti del Kuomintang, i comunisti, il 1º ottobre 1949 fondarono la Repubblica Popolare Cinese. Fu il culmine di oltre due decenni di lotta popolare diretta dal Partito Comunista. Dal 1954 al 1959, Mao fu Presidente della RPC e del PCC. Prese residenza a Zhongnanhai, un complesso vicino alla Città Proibita di Pechino, nel quale decise la costruzione di una piscina al coperto e di altri edifici. Secondo testimonianze del dottor Li Zhisui, suo medico personale, Mao lavorava alacremente mentre era a letto o dal bordo di una piscina. (Il libro di Li, The Life of Chairman Mao, ha suscitato molte polemiche)

In occasione del settantesimo compleanno di Stalin, il 21 dicembre 1949, Mao si recò a Mosca, nel primo viaggio all’estero della sua vita. L’accoglienza fu negativa. Stalin vedeva in Mao un antagonista nella guida dei regimi comunisti e non accolse nessuna delle richieste di restituzione dei territori cinesi occupati dagli zar. Ottenne solo un modesto prestito di 300 milioni di dollari in cinque anni e un accordo di collaborazione economica e militare.

Riforma agraria e primo piano quinquennale[modifica | modifica wikitesto]

A seguito del consolidamento del potere, Mao avviò una fase di collettivizzazione rapida e forzata, che durò all’incirca fino al 1958. Il PCC (Partito Comunista Cinese) introdusse un controllo dei prezzi riuscendo, con ampio successo, a spezzare la spirale inflativa della precedente Repubblica di Cina, e realizzando una semplificazione della scrittura cinese che mirava ad aumentare l’alfabetizzazione. Le terre vennero espropriate a grandi e piccoli proprietari terrieri, e collettivizzate a favore delle masse di contadini nullatenenti. Vennero inoltre intrapresi progetti di industrializzazione su grande scala, che contribuirono alla costruzione di una moderna infrastruttura nazionale.

Tra il 1950 ed il 1952 un numero elevatissimo di proprietari terrieri venne di fatto sterminato; si trattava di grandi possidenti, ma anche e soprattutto di piccoli contadini proprietari; ancora oggi il numero delle vittime è contestato: Mao, autore della politica di sterminio, li quantificava in almeno 800.000, secondo gli storici esso va da alcuni milioni a diverse decine di milioni[3]. Durante questo periodo la Cina sostenne incrementi annui del PIL (Prodotto Interno Lordo) dal 4 al 9%, oltre a un drastico miglioramento degli indicatori della qualità della vita, quali aspettativa di vita e alfabetizzazione. Tuttavia, considerando l’incremento demografico superiore al 2%, l’effettivo tasso di crescita non è affatto eccezionale[4]. Il PCC adottò inoltre delle politiche intese a promuovere la scienza, i diritti delle donne e delle minoranze, combattendo al tempo stesso l’uso di droghe e la prostituzione.

In questo periodo vennero portati avanti programmi quali la “Campagna dei cento fiori“, nel quale Mao indicò la sua volontà di prendere in considerazione opinioni differenti su come doveva essere governata la Cina. Data loro la possibilità di esprimersi, molti cinesi iniziarono ad opporsi al Partito Comunista e a metterne in discussione la leadership. Questo venne inizialmente tollerato e addirittura incoraggiato, poiché si pensava che la critica costruttiva sarebbe stata di beneficio al Partito. Comunque, dopo pochi mesi, il governo di Mao ribaltò la sua politica: fece bloccare la campagna ed iniziò una battaglia contro il nazionalismo. L’incarico di questa offensiva venne affidato a quello che venne successivamente chiamato Movimento Anti-Destra, ferocemente repressivo non solo delle idee nazionalistiche, ma anche di quelle liberali e socialdemocratiche.

Grande balzo in avanti[modifica | modifica wikitesto]

Mao a Mosca nel dicembre del 1949 per la celebrazione del 70º compleanno di Stalin

Nel 1958, Mao lancia il “grande balzo in avanti“, un piano inteso come modello alternativo per la crescita economica, il quale contraddiceva il modello sovietico basato sull’industria pesante che veniva sostenuto da altri all’interno del Partito. In base a questo programma economico l’agricoltura cinese sarebbe stata collettivizzata e sarebbe stata incentivata la piccola industria rurale a base collettivista; l’intenzione era cioè di compiere una rapidissima industrializzazione del paese, convertendo i contadini in operai. Nel mezzo del grande balzo, Khrushchev ritirò il supporto tecnico sovietico, non condividendo le idee economiche di Mao.

Il grande balzo finì nel 1960, dopo che la scarsità di generi alimentari afflisse sia la città natale del presidente che la stessa Shaoshan. Sia in Cina che fuori, il grande balzo in avanti è unanimemente riconosciuto come una politica disastrosa che causò la morte di milioni di persone, falciate non solo dalla fame, ma anche dalle operazioni militari poste in essere dell’esercito per controllare le ribellioni dei piccoli proprietari terrieri.

Secondo il governo cinese, morirono 14 milioni di persone nei due anni del Grande Balzo in Avanti[5], ma al di fuori della Cina tale numero è considerato una sottostima, e si tende a credere che il totale delle vittime sia di 30 milioni di persone[6], un numero doppio rispetto alle vittime causate dalla seconda guerra sino-giapponese. Il ritiro del supporto sovietico, le dispute sui confini e sulla gestione del blocco marxista, nonché altre questioni riguardanti la politica estera, contribuirono alla crisi sino-sovietica negli anni sessanta.

A seguito di questi fallimenti, altri membri del Partito Comunista Cinese, compresi Liu Shaoqi e Deng Xiaoping, decisero che Mao doveva essere privato del potere reale e rivestire soltanto un ruolo simbolico e cerimoniale. Essi cercarono di emarginare il leader cinese e nel 1959 Liu Shaoqi divenne Presidente dello stato, mentre Mao lasciò la carica, mantenendo quella di Presidente del Partito Comunista. Jung ChangJon Halliday (Mao. La storia sconosciuta) danno però un’interpretazione diversa dei fatti.

Il Grande Balzo in Avanti aveva l’unico scopo di produrre più generi alimentari per poterli scambiare con l’URSS in cambio di tecnologia e know-how, in funzione della costruzione della bomba atomica (fatta scoppiare in Cina per la prima volta nel 1964). Non fu fatto nulla per favorire un’effettiva maggiore produzione agricola, e vennero invece incentivate le espropriazioni e i sequestri, tanto che i contadini che sopravvissero lo fecero mangiando le foglie degli alberi e addirittura le cortecce. Un visitatore sovietico affermò che “era evidente che in Cina c’era la carestia, bastava guardare gli alberi”.

Rivoluzione Culturale[modifica | modifica wikitesto]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi Grande rivoluzione culturale.

Come reazione alla perdita di potere politico, Mao rispose a Liu e Deng lanciando nel 1966 la Rivoluzione Culturale, nella quale la gerarchia comunista venne scavalcata, affidando il potere direttamente alle Guardie Rosse, gruppi di giovani, spesso adolescenti, autorizzati a formare propri tribunali. La rivoluzione portò alla distruzione di molto del patrimonio culturale cinese, ivi compresi migliaia di antichi monumenti, ritenuti (a torto) retaggio della “borghesia” e all’imprigionamento di un gran numero di dissidenti, oltre ad altri sconvolgimenti sociali. Fu durante questo periodo che Mao scelse Lin Biao come suo successore, ma questi tuttavia tentò un colpo di stato militare nel 1971, fallito anche a causa della sua morte in un incidente aereo. Da quel momento in poi, Mao perse fiducia in molti dei vertici del PCC.

Mao saluta il Presidente degli Stati Uniti Richard Nixon durante una sua visita in Cina nel 1972

La Rivoluzione Culturale ebbe un grande impatto sulla Cina, ma Mao, che temeva la degenerazione del movimento, definì chiusa questa stagione nell’aprile del 1969, durante il IX congresso del PCC (anche se la storia ufficiale della Repubblica Popolare Cinese ne indica la fine nel 1976, alla morte di Mao).

Ultimi anni e successione[modifica | modifica wikitesto]

Negli ultimi anni della sua vita, Mao dovette affrontare una salute in declino, a causa della malattia di Parkinson o, secondo Li Zhisui, di un’altra malattia neuro-motoria (probabilmente una malattia del motoneurone, come lasclerosi laterale amiotrofica[7]), oltre ai danni polmonari causati dal fumo e ai problemi cardiaci, e rimase passivo rispetto alla politica, mentre diverse fazioni del Partito Comunista si mobilitavano nella lotta per il potere in previsione della sua morte.

Quando Mao non poté più nuotare, la piscina coperta che aveva a Zhongnanhai venne convertita, sempre secondo Li Zhisui, in un grande salone d’accoglienza. Durante questo decennio, venne creato attorno a Mao un culto della personalità nel quale la sua immagine veniva mostrata ovunque e le sue citazioni venivano inserite in grassetto o in caratteri rossi anche nelle pubblicazioni più mondane. Ormai stanco e malato, il “grande timoniere” iniziò una politica di avvicinamento all’Occidente che ebbe come risultati l’ingresso della Cina nell’ONU (1971) e la visita ufficiale nel 1972 del presidente Richard Nixon a Pechino.

In seguito agli accordi SALT I dello stesso anno, iniziò anche un disgelo tra Mao e Leonid Brežnev: anche se non risolta definitivamente, la questione dei confini russo-cinesi non fu più un motivo di scontro tra le due superpotenze.

Il 2 settembre 1976, Mao Zedong si sentì male per una crisi respiratoria e venne trasferito all’ospedale 202 di Pechino. Il 5 settembre, le sue condizioni erano critiche e il primo ministro Hua Guofeng richiamò Jiang Qing a Pechino per assistere suo marito. Jiang assistette lungamente Mao, apparentemente arrivando quasi a impazzire di dolore. La mattina dell’8 settembre, notando che egli dormiva sempre sul fianco sinistro, chiese ai medici di spostarlo di schiena; essi obiettarono che egli poteva respirare solo stando sul fianco sinistro, ma Jiang volle spostarlo ugualmente. La respirazione di Mao si arrestò ed i medici dovettero ricorrere ad un respiratore. Per il giorno successivo, il presidente del Partito Comunista Cinese era già cerebralmente morto e il governo decise di rimuovere il sistema di supporto vitale. Mao morì il 9 settembre 1976: dopo i funerali (con la partecipazione di circa un milione di persone) la salma venne esposta per otto giorni in Piazza Tienanmen[8]. Dopo la morte di Mao si svolse una lotta per il controllo del potere in Cina. Da una parte c’era la sinistra della Banda dei quattro, tra cui la vedova del presidente, che voleva proseguire la politica di mobilitazione delle masse rivoluzionarie; dall’altra la destra, che consisteva di due gruppi: i restaurazionisti guidati da Hua Guofeng, che sostenevano il ritorno ad una pianificazione centralizzata in stile sovietico, e i riformatori, guidati da Deng Xiaoping, che volevano una revisione dell’economia cinese, basata su politiche pragmatiche, e la de-enfatizzazione del ruolo dell’ideologia nel determinare le regole politiche ed economiche. Dopo l’arresto della “Banda dei quattro” e l’iniziale dominio di Hua (che fino al 1980 sarebbe stato capo del governo e fino al 1981 guidò il PCC), questa lotta fu vinta da Deng Xiaoping, il quale introdusse riforme economiche in stile capitalista che si sono rivelate di ampio successo, aiutando la Cina a sostenere il più alto tasso di crescita economica del mondo negli ultimi due decenni.

Eredità[modifica | modifica wikitesto]

Ritratto di Mao situato sull’entrata di Tienanmen

Mao si considerava un nemico dei proprietari terrieri, degli uomini d’affari, dell’imperialismo occidentale e statunitense, e un alleato dei contadini impoveriti, dei coltivatori e dei lavoratori[senza fonte]. Le sue teorie militari e le sue idee filosofiche sono riassunte nelle Citazioni del Presidente Mao Tse-tung (note in occidente come il Libretto rosso) e nelle Opere scelte di Mao Tse-tung. Numerosi manifesti e componimenti musicali dell’epoca citavano Mao come “Un sole rosso al centro dei nostri cuori” (我们心中的红太阳) e un “Salvatore del popolo” (人民的大救星).

L’eredità di Mao ha prodotto un grande quantitativo di controversie, incentrati in particolar modo sui fallimenti del “grande balzo” e sui disastri della Rivoluzione Culturale. Il punto di vista ufficiale della Repubblica Popolare Cinese è che Mao Tse-tung fu un grande leader rivoluzionario, anche se commise gravi errori nell’ultima parte della sua vita. Secondo Deng Xiaoping, Mao fu “70% buono e 30% cattivo”, e i suoi “contributi sono importanti e i suoi errori secondari”[9].

I sostenitori di Mao[senza fonte] evidenziano, ad esempio,che prima del 1949 il tasso di analfabetismo in Cina era dell’80%, e l’aspettativa di vita arrivava a soli 35 anni. Alla sua morte, essi sostengono che l’analfabetismo era calato a meno del sette percento e che l’aspettativa media di vita aveva oltrepassato i 70 anni[senza fonte] (statistiche alternative citano miglioramenti, anche se non così impressionanti)[senza fonte]. In aggiunta a questi miglioramenti, la popolazione totale della Cina aumentò del 57% a 700 milioni[senza fonte], dalla cifra costante di 400 milioni del periodo che va dalla guerra dell’oppio alla guerra civile cinese.

I maoisti affermano che sotto il suo regime la Cina chiuse il suo “secolo di umiliazioni” e tornò allo status di grande potenza mondiale[senza fonte], e che Mao industrializzò la nazione in modo considerevole e assicurò la sovranità della Cina durante il suo governo.[senza fonte] Gli scettici osservano che {{cn|simili miglioramenti nell’aspettativa di vita si sono avute anche nelle Tigri del Sud-Est Asiatico, soprattutto a Taiwan, governata dai Cinesi anti-maoisti, il Kuomintang}.

Alcuni dei miglioramenti potrebbero semplicemente essere conseguenza di una nazione non più in guerra, cioè della fine delle intrusioni europee e giapponesi in Cina, e in tal senso Mao sarebbe debitore dell’operato degli Alleati durante la seconda guerra mondiale. Tuttavia, i politici filo-statunitensi, di nazioni asiatiche principalmente rurali, non ottennero tali miglioramenti – si vedano FilippineThailandia, e l’Indonesia di Suharto[senza fonte]. Le esperienze delle Tigri asiatiche e delle riforme di Deng Xiaoping suggeriscono che la politica economica di Mao portò a risultati economici molto più poveri rispetto a quelli basati sul mercato.

Comunque, Mao stesso credeva che il “socialismo è l’unica via d’uscita per la Cina”, poiché gli Stati Uniti e altre nazioni imperialiste non volevano permetterle di entrare nel circolo dei paesi del capitalismoavanzato. Come a supportare questa teoria[senza fonte], gli USA posero un embargo commerciale sulla Cina che durò fino a quando Richard Nixon decise che Mao aveva reso sé e la Cina una forza con cui collaborare contro l’URSS.[senza fonte] Mentre gli Stati Uniti concessero alle Tigri asiatiche delle condizioni commerciali favorevoli, gran parte delle nazioni capitaliste del terzo mondo non godettero dello stesso trattamento,[senza fonte] e queste non videro niente di simile ai miglioramenti sociali della Cina o alla crescita economica delle Tigri.[senza fonte]

Statua di Mao a Lijiang

Quindi, si ripropone la questione dell’uovo e della gallina: fu il successo comunista a spingere gli USA a fare concessioni commerciali ai paesi anti-comunisti circostanti, o fu il comunismo cinese che fece sorgere gli ostacoli al commercio posti nei suoi confronti?[senza fonte] Molti, compreso il Partito Comunista Cinese, ritengono Mao largamente responsabile per il “grande balzo in avanti” e per la “Rivoluzione culturale“, entrambe ampiamente ritenute un disastro economico e politico. Altri critici di Mao lo incolpano per non aver incoraggiato il controllo delle nascite e per aver creato il balzo demografico cui i successivi leader cinesi risposero adottando la politica del figlio unico.

Le stime del numero di vittime totali del periodo 1949-1976 sono molto discordanti fra loro[senza fonte] e variano da 20 a 80 milioni: comprendono da 2 a 5 milioni di contadini durante il terrore della riforma agraria nel 1951-1952, da 20 a 40 milioni per la carestia del 1959, alcuni milioni per i laogai e da 1 a 3 milioni per la Rivoluzione Culturale.

Sono controversi i giudizi di colpa, negligenza e responsabilità rispetto alla terribile carestia del 1959-1961: alcuni autori (Jung Chang, John Halliday Mao. La Storia Sconosciuta, 2005) sostengono che sia stata causata volontariamente da Mao vendendo una quantità di derrate alimentari insostenibile per il paese all’Unione Sovietica in cambio di tecnologia militare nucleare.

La maggior parte degli storici e lo stesso governo cinese sostengono comunque che la principale causa non furono i disastri naturali, ma la politica del Grande balzo in avanti (vedi cause della carestia).L’intellettuale statunitense Noam Chomsky ha sottolineato, facendo sua una riflessione del premio Nobel Amartya Sen, come il conteggio dei morti provocati non intenzionalmente a fine di valutazioni politiche sia fuorviante.[senza fonte] Tralasciando le discussioni sulle stime delle vittime, i due hanno proposto una comparazione tra le condizioni dei due giganti asiatici Cina ed India dal 1950 al 1979.

Sebbene la democratica India sotto la spinta dell’opinione pubblica abbia risposto in modo relativamente efficiente alle carestie evitando tragedie di portata paragonabile a quelle cinesi (causate da errori diretti o indiretti del regime), non ha saputo ridurre il tasso di mortalità come invece ha fatto la Cina nello stesso periodo. Gli autori immaginano una situazione del tutto ipotetica in cui l’India fosse stata in grado di attuare le stesse riforme, ottenendo la stessa riduzione di mortalità: in tal caso, stimano che in India sarebbero morte circa 100 milioni di persone in meno[10]. Tuttavia, un ragionamento analogo può portare a considerare che la politica maoista che favorì le nascite ha portato la popolazione cinese a raddoppiare dal 1949 al 1982, causando pesanti ripercussioni anche a lungo termine.

Esiste un relativo consenso sul ruolo di Mao come stratega e tattico militare durante la guerra civile cinese e la guerra di Corea. Anche alcuni che trovano l’ideologia di Mao impraticabile o abominevole riconoscono che Mao fu un brillante stratega militare, e gli scritti militari di Mao continuano in buona misura a influenzare quelli che cercano di creare un’insurrezione e quelli che cercano di reprimerla.[senza fonte]Restano, tuttavia, delle ombre circa alcune sue decisioni di strategia militare prese durante la guerra contro i nazionalisti.

L’ideologia del Maoismo ha influenzato molti comunisti in tutto il mondo, compresi i movimenti rivoluzionari del terzo mondo, come i Khmer Rossi in CambogiaSendero Luminoso in Perù, il movimento rivoluzionario del Nepal e persino il Partito Comunista Rivoluzionario degli Stati Uniti. Ironicamente, la Cina si è distanziata nettamente dal Maoismo fin dalla morte di Mao, e molte delle persone al di fuori della Cina che si descrivono come Maoiste, considerano le riforme di Deng Xiaoping come un tradimento dell’eredità di Mao.

Nella Cina continentale molte persone considerano ancora Mao come un eroe nella prima metà della sua vita, ma sostengono che divenne un mostro dopo aver ottenuto il potere. In particolare Mao viene criticato per aver creato un culto della personalità. Comunque, in un’epoca dove la crescita economica ha provocato l’aumento della corruzione in Cina, c’è chi guarda a Mao come a un simbolo di incorruttibilità morale e di auto-sacrificio, in contrasto con l’attuale leadership.[senza fonte] A metà degli anni novanta, il ritratto di Mao iniziò a comparire su tutti i nuovi renminbi, la valuta della Repubblica Popolare Cinese. La scelta era concepita principalmente come misura anti-contraffazione, poiché il volto di Mao è ampiamente con

osciuto, al contrario delle figure generiche che comparivano sulle vecchie banconote.

Vita privata[modifica | modifica wikitesto]

Poche fonti accademiche discutono della vita privata di Mao, che era mantenuta nel totale segreto al tempo del suo regime. Comunque, dopo la sua morte, il suo medico personale Li Zhisui pubblicò le sue memorie col titolo La vita privata del presidente Mao, nel quale afferma che Mao fumava moltissime sigarette, si faceva molto raramente il bagno e non si lavava mai i denti, passava molto tempo a letto, era dipendente dai barbiturici e aveva un folto gruppo di partner sessuali da cui aveva contratto malattie veneree[11].

Il suo nome cinese di cortesia era originariamente Yǒngzhī 詠芝[senza fonte], ma quello pubblicamente noto fu Rùnzhī 潤芝 (in cinese semplificato 润芝).

Famiglia[modifica | modifica wikitesto]

Mogli:

  1. Yang Kaihui (杨开慧, 1901-1930) da Changsha: moglie dal 1921 al 1927, giustiziata dal Kuomintang nel 1930.
  2. He Zizhen (贺子珍, 1909-1984) dallo Jiangxi: moglie dal maggio 1928 al 1939.
  3. Jiang Qing (李淑蒙, 1914-1991) moglie dal 1939 alla morte di Mao.

Parenti:

Fratelli e sorelle:

I genitori di Mao Tse-tung ebbero complessivamente cinque figli e due figlie. Due dei figli ed una figlia morirono giovani. Come le tre mogli di Mao, Mao Zemin e Mao Zetan erano comunisti. Come Yang Kaihui, sia Zemin che Zetan vennero uccisi in guerra mentre Mao Tse-tung era in vita.

Si noti che il carattere ze (泽) appare nei nomi di tutti i figli, una comune convenzione cinese.

Figli:

  • Mao Anying (毛岸英): avuto da Yang, sposatosi con Liu Siqi (刘思齐), che nacque come Liu Songlin (刘松林)
  • Mao Anqing (毛岸青): avuto da Yang, sposatosi con Zhao Hua (邵华), ebbe un figlio, Mao Xinyu (毛新宇)
  • Li Min (李敏): avuta da He, sposatasi con Kong Linghua (孔令华), ebbe un figlio, Kong Ji’ning (孔继宁), e una figlia Kong Dongmei (孔冬梅)
  • Li Na (李讷): avuta da Jiang (il cui nome di nascita era Li), sposatasi con Wang Jingqing (王景清), ebbe un figlio, Wang Xiaozhi (王效芝)
Alcune fonti suggeriscono che Mao ebbe altri figli durante i giorni della rivoluzione; in molti casi i figli vennero affidati a famiglie di contadini perché era difficile prendersene cura e al contempo concentrarsi sulla rivoluzione.