Archivi giornalieri: 3 ottobre 2014

Rapporto Eurispes 2014

 Rapporto Italia 2014

 

 Sei dicotomie per capire l’Italia che cambia: 
ITALIA/EUROPA • FINANZA/FINANZA • DESTRA/SINISTRA • ETICA/ESTETICA • RICCHEZZA/POVERTÀ • CONSERVAZIONE/CAMBIAMENTO

Il Rapporto Italia 2014, giunto quest’anno alla 26a edizione, è diventato, nel tempo, un apprezzato punto di riferimento per gli studiosi, per le Istituzioni, per il sistema dell’informazione e per gli osservatori internazionali.
Il Rapporto, per scelta metodologica, si costruisce ogni anno attorno a sei dicotomie, illustrate attraverso altrettanti saggi accompagnati da sessanta schede fenomenologiche. Vengono affrontati, quindi, attraverso una lettura duale della realtà, temi che l’Istituto ritiene rappresentativi, anche se non esaustivi, della attualità politica, economica e sociale del nostro Paese.
Ad arricchire il Rapporto, le indagini campionarie che nell’edizione di quest’anno hanno sondato alcuni dei temi tradizionalmente proposti dall’Eurispes: un focus sulla religione e la fede, la situazione economica delle famiglie e i consumi, la fiducia nelle Istituzioni, la giustizia, il mondo del lavoro, l’euro e l’Europa, lo sport, il mondo degli animali e diversi altri temi di stretta attualità.

 

 

Indice

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Contenuti

  Rapporto Italia 2014 – Sintesi
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 1. Saggio Italia/Europa: La giovane Europa
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 1. Scheda 1: La credibilità della programmazione economica di medio termine
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 1. Scheda 2: L’Italia controlla, l’Europa apre le frontiere. La normativa agroalimentare comunitaria
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 1. Scheda 3: Inclusione ed esclusione in Italia e in Europa: la povertà e la deprivazione materiale…
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 1. Scheda 4: …Il mercato del lavoro, il sistema scolastico e l’esclusione di genere
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 1. Scheda 5: Retribuzioni e disuguaglianze
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 1. Scheda 6: La Commissione Europea sull’utilizzo del Fondo di Solidarietà dell’Unione nel terremoto del 2009 in Abruzzo
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 1. Scheda 7: Una nuova politica di accoglienza
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 1. Scheda 8: Le coppie miste in Italia
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 1. Scheda 9: La crisi morde anche il calcio: i club italiani sempre meno competitivi in Europa
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 1. Scheda 10: La scuola italiana e la sfida della Media Literacy
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 2. Saggio Finanza/Finanza: Finanza vs Finanza
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 2. Scheda 11: Anche i ricchi piangono?
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 2. Scheda 12: Da “spending review” a “riduzione dei costi”
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 2. Scheda 13: Caratteristiche e criticità del partenariato pubblico-privato in Italia
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 2. Scheda 14: Mezzogiorno, sempre più in basso
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 2. Scheda 15: Crowdfunding: la creatività come risposta alla crisi
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 2. Scheda 16: Microcredito contro le nuove povertà
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 2. Scheda 17: Imprese e crescitta: gli investimenti stranieri in Italia (come favorirli)
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 2. Scheda 18: Il fenomeno delle Reti di Imprese: la creazione di valore attraverso la logica aggregativa
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 2. Scheda 19: I consumi degli italiani durante la crisi, tra “trading-up” e “tradin-down”
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 2. Scheda 20: Le aziende italiane oltre i confini
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 3. Saggio Destra/Sinistra: Senza destra e senza sinistra
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 3. Scheda 21: Uno “Stato” di necessità (Sondaggio)
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 3. Scheda 22: Dall’euro all’Europa…passando per le Province (Sondaggio)
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 3. Scheda 23: Giustizia: riforme non più rinviabili (Sondaggio)
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 3. Scheda 24: Comunicazione politica on line: i partiti su Internet (Sondaggio)
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 3. Scheda 25: Coincidentia oppositorum
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 3. Scheda 26: Il MoVimento 5 Stelle
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 3. Scheda 27: Ict, risorsa per la Pubblica amministrazione
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 3. Scheda 28: Il patrimonio culturale italiano, vera Cenerentola delle politiche pubbliche
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 3. Scheda 29: Il cinema visto da Destra e da Sinistra
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 3. Scheda 30: Questioni e valori etici (Sondaggio)
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 4. Saggio Etica/Estetica: Anestesie pericolose
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 4. Scheda 31: Cenerentola d’Europa: la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 4. Scheda 32: La burocrazia blocca il lavoro
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 4. Scheda 33: Criminalità del territorio
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 4. Scheda 34: Il Comitato Media e Minori
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 4. Scheda 35: Il gioco alla ricerca della fortuna (Sondaggio)
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 4. Scheda 36: Troppe tasse, per le imprese è fuga dall’Italia
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 4. Scheda 37: Animali domestici, i più cari amici di sempre (Sondaggio)
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 4. Scheda 38: Pet review: la crisi e i migliori amici dell’uomo. La testimonianza dei veterinari (Sondaggio)
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 4. Scheda 39: La ricerca del benessere psico-fisico tra fitness, beauty farm e interventi di chirurgia estetica
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 4. Scheda 40: La nuova era digitale: oblio e memoria perduta
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 5. Saggio Ricchezza/Povertà: Poveri di idee
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 5. Scheda 41: I consumatori italiani ancora in difficoltà: tagli alla spesa e consumi low cost (Sondaggio)
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 5. Scheda 42: Gli acquisti dei single: risparmiatori per forza? (Sondaggio)
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 5. Scheda 43: La condizione economica delle famiglie (Sondaggio)
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 5. Scheda 44: L’approccio degli italiani al cibo
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 5. Scheda 45: Sprechi alimentari: un’analisi sul comportamento dei giovani
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 5. Scheda 46: Made in Italy: tradizione e cultura d’impresa
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 5. Scheda 47: Consumatori al “verde”
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 5. Scheda 48: Un popolo pigro: poco sport e calcio lontano dagli stadi (Sondaggio)
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 5. Scheda 49: Lo scarso utilizzo dei fondi ex Gescal: la responsabilità delle Regioni
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 5. Scheda 50: I rifiuti plastici e il loro riciclo
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 6. Saggio Conservazione/Cambiamento: Ipotesi per un cambiamento permanente
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 6. Scheda 51: …Ma il cielo è sempre più blu: l’Aeronautica Militare al servizio della collettività
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 6. Scheda 52: Mare nostro, la Marina Militare al servizio della collettività
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 6. Scheda 53: La protezione internazionale
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 6. Scheda 54: Alla ricerca di Dio (Sondaggio)
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 6. Scheda 55: Gli italiani e il lavoro: un equilibrio precario (Sondaggio)
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 6. Scheda 56: Parenti poveri: l’artigianato
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 6. Scheda 57: Il trasporto nelle grandi aree metropolitane
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 6. Scheda 58: Le rinnovabili e la crisi economica: quale futuro?
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 6. Scheda 59: In medias res: il Paese interpretato in Tv dai soliti noti
  Rapporto Italia 2014 – Capitolo 6. Scheda 60: Videogiochi: il nuovo volto dell’entertainment

Inca Pescara

Inca Pescara: crescono le richieste di aiuto agli sportelli dei patronati

«Dietro ai numeri ci sono persone. Non sempre questa cosa viene percepita bene». Nicola Primavera, sindacalista di lunga esperienza, è il direttore provinciale del patronato Inca di Pescara, l’organismo che si occupa di “tutela individuale”.

Chi del sindacato ha l’immagine di una casta ormai lontana dai lavoratori, se non estranea al mondo del lavoro reale, dovrebbe venire qui al piano terra di via Benedetto Croce: servizio di reception, sala gremita, impiegati indaffarati, pratiche che viaggiano da una stanza all’altra. Seduti in attesa: pensionati, esodati, donne in maternità, giovani, disoccupati, cassintegrati, infortunati, invalidi civili, immigrati, familiari di disabili. Le domande sono sempre le stesse: quando otterrò il mio primo assegno di pensione? Ho diritto ai contributi familiari? Che farò dopo la fine della Cassa integrazione? Che cosa devo fare per farmi riconoscere la malattia professionale? Riuscirò ad avere l’assegno di accompagnamento per mio figlio disabile? Come faccio ad arrivare alla fine del mese?

«Con la crisi economica», spiega Primavera, «il nostro lavoro è aumentato ed è in qualche modo cambiato. Ormai non facciamo più solo consulenza, ma siamo chiamati a dare supporto psicologico. Siamo diventati veri e propri centri d’ascolto. Abbiamo a che fare con un numero crescente di persone che non ce la fanno più e che hanno bisogno di sostegno. Riscontriamo molta solitudine ed emarginazione, che possono portare anche a comportamenti patologici, basti pensare all’aumento del gioco d’azzardo. Questi cittadini, si sentono soli, e per loro è difficile farsi ascoltare dalle istituzioni». Paradossalmente il progressivo uso della telematica nell’amministrazione pubblica accentua questo disagio, soprattutto in alcune fasce di lavoratori e di anziani, e l’Inca si trova a fare da front-office di enti (con i quali ci sono anche accordi diretti) come Inps, Inail, Agenzia delle Entrate, centro per l’impiego, direzione territoriale del lavoro. Uno sportello unico che tenta di mettere ordine e di dare senso al caos della burocrazia italiana. Un esempio di caos? Il 35% delle pensioni in Italia hanno un importo errato al momento della loro liquidazione. «Le istituzioni dovrebbero dare risposte più puntuali», dice Primavera, «e penso che anche il sindacato dovrebbe porsi un problema di tutela più complessiva».

Nelle parole del sindacalista non c’è solo una richiesta di efficienza o efficacia dell’azione pubblica. Primavera pensa soprattutto alla domanda inevasa di aiuto. «Anche noi viviamo questo disagio, tanto che in queste settimane siamo impegnati in corsi di team-building (sono attività formative di gruppo, ndr) per essere in grado di sopportare questa crescente pressione psicologica».

Ci sono naturalmente anche i numeri a tracciare il diagramma della crisi. Le pratiche affrontate registrano incrementi annui a due cifre: 18.850 pratiche nel 2013 contro le 14.593 del 2012. E corrispondono non solo alla caduta dell’occupazione (7.354 interventi per ammortizzatori sociali nel Pescarese su un totale regionale di 43.884), o alle varie leggi Fornero, ma anche all’aumento delle malattie professionali (1.400 nel 2013 contro le 772 del 2008) e delle invalidità civili (21.505 prestazioni in provincia di Pescara nel 2013, 76.188 in Abruzzo con pochissimi casi di revoche) che viaggiano in controtendenza rispetto alla diminuzione degli incidenti sul lavoro.

 

03/10/2014 11.41

Stato Sociale

 

di Carlo Felice Casula

 La questione dello Stato sociale, di grande rilevanza in tutta la storia del Novecento, è, in questi ultimi anni, al centro del dibattito politico. E’ anche oggetto di discussione e di polemica da parte dei media, che, però, prediligono la categoria dello Stato assistenziale: in questa preferenza terminologica è già emblematicamente evidente come esso sia presentato in molti ambienti, non solo conservatori, in forma riduttiva per un verso, dispregiativa per l’altro. Il termine anglosassone di Welfare State, Stato del benessere compare raramente, anche perché è più difficile compiere di esso un diffuso riscontro nella realtà.[1]

Specialmente tra i giovani, compresi quelli scolarizzati, è diffusa e condivisa l’idea che colloca la nascita e la crescita dello Stato sociale in un ambito spaziale di cui l’Italia è parte centrale, se non esclusiva, e in un ambito cronologico circoscritto non solo al secondo dopoguerra ma, addirittura, agli anni Sessanta e Settanta. Una tesi che, pur essendo con tutta evidenza infondata, è diventata un radicato luogo comune, che necessita di essere demistificato.[2]

La questione dello Stato sociale è complessa, con vaste implicazioni giuridico-istituzionali, per un verso, sociali ed economiche, per l’altro.[3]

Sul piano della codificazione costituzionale, lo Stato sociale, dopo i coraggiosi, ma isolati e non duraturi, casi della Repubblica di Weimar e di quella cecoslovacca degli anni Venti[4], si diffonde come normale forma di statualità nel Secondo dopoguerra. Le costituzioni di alcuni grandi Stati europei, quella italiana in primo luogo, dopo la sconvolgente esperienza dei regimi totalitari di massa, per la prima volta sanciscono congiuntamente diritti civili, diritti politici e diritti sociali. Uomini e donne non sono più solo cittadini, astrattamente uguali di fronte alla legge e isolati di fronte allo Stato. Non a caso i diritti che le istituzioni debbono non solo riconoscere, ma garantire e promuovere, sono diritti delle persone e la cittadinanza si fonda non più sulla proprietà o sull’istruzione, ma sul lavoro. Una codificazione, ancora più solenne, si ha nell’articolo 22 (“Ogni individuo, in quanto membro della società, ha diritto alla sicurezza sociale, nonché alla realizzazione, attraverso lo sforzo nazionale e la cooperazione internazionale ed in rapporto con l’organizzazione e le risorse di ogni Stato, dei diritti economici, sociali e culturali indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità”) della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, del dicembre del 1948, la cui accettazione divenne requisito per l’ingresso degli Stati nella Organizzazione delle Nazioni Unite.[5]

La questione delle politiche sociali aveva cominciato a porsi in un periodo ben più lontano nel tempo. Percorre tutta la modernità, quantomeno nell’Europa più avanzata[6], a partire dalle Old Poor Laws dell’Inghilterra del Cinquecento e del Seicento.

L’attenzione dello Stato nei confronti delle problematiche sociali è legata alla crisi definitiva del sistema feudale e del mondo medievale, che aveva al proprio interno una rete di solidarietà, di assistenza e di tutela delle singole persone e, in primo luogo, dei poveri. Fino all’epoca moderna e contemporanea, i poveri costituivano una delle tre componenti della società signorile: le altre due erano costituite dai signori e dai servi. I poveri, massa fluttuante, ma sempre corposa, avevano contemporaneamente il privilegio e la dannazione del non lavoro. Marginali, ma non esclusi, sopravvivevano, sia pure come Lazzaro della parabola evangelica, grazie agli avanzi delle mense dei signori[7].

Caduta questa rete di protezione e di solidarietà, è necessario garantire una qualche forma di assistenza tramite specifiche leggi. Il provvedimento più significativo in tal senso fu la Speenhamland Law, del 1795. In Inghilterra le autorità sono mosse più che da ragioni umanitarie o di giustizia distributiva, dalla preoccupazione e dal timore crescente che i poveri possano diventare ceti pericolosi, subire il contagio della Rivoluzione francese e mettere in discussione l’assetto istituzionale[8].

Nei decenni a cavallo tra Settecento e Ottocento la Rivoluzione industriale trionfa in Inghilterra e comincia anche a affermarsi in alcune aree dell’Europa continentale. Gli Stati rivendicano a sé il compito organizzare forme nuove di protezione sociale, esautorando progressivamente in questo campo, di conseguenza, le istituzioni religiose e corporative. Contemporaneamente attivano strumenti di controllo e di prevenzione-repressione per garantire l’ordine costituito. Si confrontano, sul terreno delle idee e su quello delle pratiche politiche, due posizioni. La prima, di evidente ispirazione giusnaturalistica, rivendica un coraggioso intervento dello Stato per garantire a tutti i cittadini il diritto di esistere. La seconda, ispirandosi alla filosofia dell’utilitarismo e alla rigorosa morale del cristianesimo riformato, diffidando delle interferenze dello Stato nella sfera economica e sociale, ritiene che solo il perseguimento dell’utile personale, accompagnato da costumi austeri e dalla capacità di rischio, possa garantire la fuoruscita dal bisogno e dalla dipendenza[9]

Le variegate legislazioni sui poveri in Inghilterra, ma anche in Prussia e nell’Impero Asburgico, si propongono di evitare, da un lato, che essi possano, come nei secoli precedenti, continuare a muoversi liberamente nel paese, vivendo di lavori occasionali, di espedienti e di carità, o, addirittura, ritagliarsi propri autonomi spazi nelle corti dei miracoli, sfuggendo in tal modo a quel controllo del territorio, sempre più rigido e capillare, che le autorità di polizia stanno imponendo. Non a caso le leggi sui poveri prevedono di norma, accanto ad aiuti in natura, specie alimenti, e esigui contributi finanziari, forti sollecitazioni-imposizioni perché gli assistiti-assistite dimorino in strutture apposite di accoglienza e di lavoro. L’Inghilterra sperimenta variegate forme di Poorhauses e di Workhouses. Esperimenti simili vengono tentati in Francia con gli Hospitaux generaux  e i Dépôts de mendicitè e, nell’Impero Asburgico, con gli Armeninstitut. I nomi stessi di queste istituzioni rinviano  ad una realtà penosa  e opprimente[10].

L’interesse dello Stato per la questione sociale, non ancora per i diritti sociali, è già, dunque, presente nella fase iniziale del lungo processo di modernizzazione e dinamizzazione che segue alla scomparsa del vecchio universo statico, regolato da norme e consuetudini consolidate, di cui la Rivoluzione industriale fu, allo stesso tempo, conseguenza evidente e causa dirompente[11].

E’ nota la necessità economico-strutturale, ma anche politica e ideologica, della trasformazione dei poveri in lavoratori salariati, sia nelle campagne, sia nelle aree urbane industrializzate. L’esito di questo processo nella Coketown per eccellenza, Manchester, è stato descritto con rigore anatomico da Engels, nel 1844, nel suo notissimo saggio La situazione della classe operaia in Inghilterra e mirabilmente rievocato nel romanzo di Charles Dickens, pubblicato dieci anni dopo, Tempi difficili.

Modernità, industrializzazione, urbanesimo costituiscono il nuovo contesto in cui uomini e donne sono progressivamente trasformati in individui atomizzati, che, solo in questa veste, sono riconosciuti dallo Stato liberale come titolari di diritti. Essi non solo sono soggetti  livelli salariali molto bassi e a tempi e ritmi di lavoro penosi, ma perdono, con lo sradicamento  dalle campagne e con il passaggio dal lavoro contadino e artigianale a quello di fabbrica, i rassicuranti tradizionali punti di riferimento precedenti e rischiano di smarrire la propria identità[12].

L’azione sociale dei governi, in tutta una prima fase dell’industrializzazione, si estrinseca in numerosi, ma episodici, provvedimenti legislativi, spesso preceduti da momenti di indagine e di conoscenza, come le inchieste parlamentari, che portano a misure migliorative delle condizioni di lavoro, specialmente per i soggetti più deboli, come le donne e i bambini. Talvolta, con l’introduzione di prime forme di assicurazione sulla morte o sull’invalidità, si hanno anche trasferimenti di risorse finanziarie, anche pubbliche, a favore dei lavoratori e delle loro famiglie. A spingere in tal senso più che il riconoscimento della cittadinanza sociale, o anche solo l’esigenza di stimolare la domanda con la crescita del potere di acquisto dei ceti operai, è la preoccupazione assillante di ridurre e porre sotto controllo il dissenso e il conflitto sociale. Le ristrette e sospettose élites, che gestiscono il potere politico e economico e controllano le istituzioni parlamentari, grazie al suffragio ristretto, hanno coscienza, per usare un’espressione emblematica del cattolicesimo intransigente italiano dell’Ottocento, che il Paese reale ha nei confronti del Paese legale diffidenza e avversione[13].

Con la trasformazione degli Stati moderni assolutisti negli Stati liberali costituzionali, si erano poste le premesse per un nuovo processo[14]. La questione sociale non può più, alla lunga, essere affrontata in forma autoritaria e paternalistica, dall’alto e neppure demandando ad altre istituzioni quali le Chiese, come, per molti secoli, era avvenuto. Lo Stato-soggetto è orgoglioso e geloso del proprio esclusivo potere e delle proprie competenze che non intende delegare ad altri enti intermedi. Nella sua configurazione liberal-costituzionale elitaria ha come dottrina economica il liberismo, cioè l’ideologia del mercato autoregolato,  che ritiene di raggiungere al proprio interno equilibri sempre più avanzati e razionali modalità di funzionamento. Lo Stato solo a seguito di precise emergenze o per scongiurare gravi tensioni si vede costretto a intervenire a tutela di gruppi determinati di cittadini, per non contraddire il principio della loro formale e astratta uguaglianza di fronte alla legge.

La Rivoluzione francese certamente aveva avuto una triade ideale: libertè, egalitè, fraternitè. Ben lungi dal diventare programma di governo, la fraternité era stata progressivamente espunta dal lessico politico liberale, divenendo nostalgia residuale del sanculottismo di sinistra e, successivamente, fondamento ideologico del nascente movimento socialista[15].

 Lo Stato, anzi, tende, persino – è il caso emblematico e anticipatore della Francia rivoluzionaria con la legge Le Chapelier, del 1791 – ad interdire qualsiasi organizzazione sindacale, vista come una messa in discussione del libero incontro sul mercato del lavoro del singolo datore di lavoro e del singolo prestatore d’opera. Non a caso la legge Le Chapelier era strettamente connessa con la legge d’Algarde, che sopprimeva tutte le residue antiche  corporazioni. L’Inghilterra con le  Anti-Combination Laws, del 1799, sia pure con lo scopo primario di impedire la diffusione di simpatie giacobine, era giunta a esiti simili che, però, saranno, già all’inizio degli anni Venti dell’Ottocento, rimessi in discussione[16].

Non solo in Inghilterra, ma anche in Europa occidentale, quando “succede il Quarantotto”, la Restaurazione progettata dal Congresso di Vienna nel 1815, ma anche quel particolare universo, finora preso in esame, comincia a dare segni evidenti di crisi[17]. In Francia, il paese che, secondo la nota definizione di Marx, era il laboratorio più avanzato delle dinamiche politiche, nel passaggio dalla Monarchia Orleanista alla Seconda Repubblica, si ha la soppressione della schiavitù nelle colonie e si sancisce il diritto al lavoro, come diritto preliminare e fondante per garantire il concreto esercizio di quelli civili e politici. L’effimera soluzione che venne imposta dagli esponenti radicali e socialisti parigini, quella degli Ateliers nationaux, che non solo per assonanza rinviano agli Hospitaux generaux, sconta l’utopica illusione che, nella nuova economia di mercato, sia possibile creare e conservare nel tempo posti di lavoro sulla base di una decisione politica. Un esperimento, che pur rivelandosi fallimentare nella sua applicazione, pone con forza premonitrice una questione difficile e complessa, ma non eludibile: il lavoro come fondamento della cittadinanza[18].

Negli ultimi decenni dell’Ottocento e nel primo Novecento, la Seconda rivoluzione industriale, con la nuova centralità della metallurgia e della chimica e con la parziale sostituzione, come fonte energetica, del carbone con l’energia elettrica, vede coinvolti nuovi soggetti, come la Germania e l’Italia, in Europa e, fuori di essa, gli Stati Uniti, in America, e, in Asia, il lontano Giappone, della cui subitanea potenza militare e tecnologica, nello stupore dell’opinione pubblica mondiale, fece drammaticamente le spese, nel 1904, la declinante grande potenza della Russia zarista[19].

Sul terreno politico-istituzionale è in atto un mutamento profondo nelle costituzioni materiali di molti paesi: con l’estensione del diritto di voto, sino al raggiungimento del suffragio universale, sia pure di un suffragio universale dimezzato, per la perdurante esclusione delle donne e con l’affermarsi dei grandi partiti di massa, socialisti e socialcristiani, si passa dallo Stato monarchico-costituzionale a quello democratico-parlamentare. La ricerca e l’organizzazione del consenso nello Stato liberale non può più essere elusa  neppure da parte delle élites ostili alla nuova centralità del parlamento e favorevoli alla gestione verticistica del potere[20].

Sul terreno dell’economia è ritenuto necessario un coinvolgimento crescente dello Stato: l’economia diventa sempre più, anche dal punto di vista teorico, economia politica. Il coinvolgimento è duplice: da una parte gli investimenti che richiede l’industria pesante, l’industria meccanica, l’industria chimica, per i costi dei loro impianti e della continua innovazione tecnologica, sono di tale ampiezza che gli imprenditori autonomamente non sono più in grado di garantirli. E’ lo Stato che deve intervenire, con frequenti ricche sovvenzioni, rastrellando a tal fine anche il piccolo risparmio individuale. Dall’altra, lo Stato assorbe gran parte della produzione, tramite le commesse pubbliche di armamenti, di materiale rotabile e ferroviario, che costituivano una parte rilevante della produzione delle nuove industrie meccaniche e chimiche. Non è certo casuale che all’avanguardia su questo nuovo terreno siano la Germania bismarckiana e guglielmina e il Giappone del governo Meiji, i paesi che sono leader della Seconda rivoluzione industriale[21].

Lo Stato è impegnato a garantire alcuni servizi essenziali, come i trasporti ferroviari e marittimi, che passano sotto la sua gestione diretta o indiretta. Primario diritto sociale, anche perché ritenuta efficace strumento di emancipazione, è l’istruzione, che ai livelli elementari è divenuta obbligatoria e gratuita. E’ allo stesso tempo un terreno privilegiato di intervento e di impegno dello Stato per due ordini di motivi: per rispondere alla domanda crescente di lavoratori qualificati e di tecnici nell’industria e nell’amministrazione e per formare i cittadini che non sono più dei sudditi ossequiosi o turbolenti, ma pur sempre impotenti, ma  titolari del diritto di voto, cioè di un potente democratico strumento di pressione.

Il modello tedesco, anche su questo terreno, è forte e fascinoso: era la dimostrazione che l’interesse dello Stato per la formazione e la scuola garantiva non solo dei cittadini disciplinati, ma anche dei cittadini produttori di straordinaria bravura. Una delle ragioni del successo economico tedesco di fine secolo è anche il suo essere all’avanguardia della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica. Questa condizione si fondava sull’efficiente e avanzato sistema scolastico, dalle elementari fino alle università[22].

État providence, in francese, Wohlfahrstaat, in tedesco, è stato definito questo tipo di intervento statale dall’alto, con forti connotazioni autoritarie, anche quando sono benevolmente paternalistiche: è tipico della Germania e del Giappone[23], ma alcuni suoi tratti sono presenti anche in Italia e, persino, nella Russia zarista[24].

Un modello alternativo fu, invece, praticato in Inghilterra, dove lo Stato, smantella la legislazione sui poveri, ma anche, negli anni Trenta e Quaranta dell’Ottocento, quella protezionistica, permettendo, con le Corn Laws, l’importazione, senza dazi doganali, di granaglie americane e australiane, rendendo, di conseguenza, possibile per i ceti popolari un’alimentazione, che era ancora quasi esclusivamente farinacea, a costi molto minori, colpendo gli interessi della nobiltà terriera che non poteva più disporre di un mercato protetto per la propria produzione cerealicola. Provvedimento di segno opposto adotterà, invece l’Italia, nel 1887, con la legislazione protezionistica, che contribuirà a saldare un solido blocco sociale tra nascente borghesia industriale del Nord e proprietari terrieri del Sud[25].

Il modello in questione è quello del Mutual Aid e del Self Help: in due distinte ma convergenti direzioni, entrambe ispirate dal socialismo utopico di Robert Owen. Da una parte le società di mutuo soccorso e di resistenza da cui trarranno origine le Trade Unions, dall’altra le cooperative, a partire da quella di consumo, quasi mitica, fondata dai Probi Pionieri di Rochdale, nel 1843, a seguito di un lungo e vano sciopero[26].

Oltre che in Inghilterra, anche in diversi altri paesi europei, i diritti sociali, prima ancora di essere tutelati dallo Stato, vengono sperimentati sul campo, in forma diffusa e crescente, dai diretti interessati, e, in particolare, dai ceti operai urbani con la costruzione di fitto tessuto di organizzazioni sindacali e cooperative. L’iniziativa spontanea dal basso si interconnette, nel tempo, con prime forme di tutela dall’alto, soprattutto nei confronti del proletariato di fabbrica, in particolare nei confronti della cosiddetta aristocrazia operaia[27], che, secondo la classica interpretazione di Lenin, finì per essere coinvolta nella politica e nell’ideologia dell’impertialismo[28].

Gli Stati sono costretti a cedere alla richiesta delle organizzazioni sindacali di garantire, con interventi legislativi e coperture finanziarie, forme assicurative in caso di malattia e di morte e anche pensioni d’invalidità o di vecchiaia, perché essi, spontaneamente, da tempo, avevano tutelato in tal senso i propri servitori, pubblici dipendenti e, in particolare, militari professionali. Questo modello, già sperimentato e garantito dallo Stato, diventa un possibile, forte, esempio da imitare e da estendere ad altri lavoratori dipendenti[29].

All’inizio del Ventesimo secolo, anche in Italia, nel giolittiano decennio riformatore, seguito alla drammatica crisi sociale e istituzionale di fine secolo, si scopre un terreno nuovo in cui i diritti sociali possono essere realizzati, permettendo una più elevata qualità della vita individuale e collettiva. Il soggetto istituzionale coinvolto non è più lo Stato, ma i comuni, nella storia italiana di lunga durata percepiti, quasi sempre, senza ostilità, diffidenza e estraneità. Attraverso lo strumento delle aziende municipalizzate, i comuni provvedono alla mobilità urbana, alla distribuzione dell’acqua, dell’energia elettrica, del gas. Nei Comuni, inoltre, si esercita e si sperimenta una classe dirigente nuova, espressione dell’universo socialista e di quel mondo cattolico che, a causa del non expedit, cioè del divieto papale di poter essere eletti o anche solo elettori, neppure concorre alla formazione di una propria rappresentanza parlamentare. Anche in questo caso l’esperimento della erogazione pubblica, sia pure decentrata, di alcuni servizi collettivi, fu una sorta di scelta obbligata, per la manifesta incapacità gestionale dei privati e per il peso, in termini finanziari, gravissimo, per lo Stato che doveva ogni anno appianare i bilanci largamente passivi[30].

E’ diffusa la convinzione che lo Stato democratico-sociale costituisca un’ulteriore evoluzione, non solo in senso cronologico, ma anche per la qualità e la quantità dell’intervento pubblico nel campo del benessere dei cittadini, rispetto allo Stato democratico-parlamentare. In realtà, negli anni Venti e Trenta, dopo gli sconvolgimenti bellici e postbellici, a seguito anche della crisi dell’idea di progresso e di democrazia e, contemporaneamente, del diffondersi di culture e mentalità violente e illiberali, si presenta un’altra variante, per molti aspetti non prevista: lo Stato sociale di connotazione autoritaria o totalitaria. Uno Stato, che fa i conti con la moderna società di massa, utilizzando al contempo efficienti strumenti di dominio e di consenso; che si fa carico dei diritti sociali, ma mortifica i diritti civili e politici, fino, talvolta, alla morte stessa di coloro che continuano a testimoniarli e a difenderli.

Sintetica e efficace l’interpretazione di Karl Polanyi sulla soluzione autoritaria dell’impasse del capitalismo: “una riforma dell’economia di mercato raggiunta al prezzo dell’estirpazione di tutte le istituzioni democratiche (…). Il sistema economico che era in pericolo di disfacimento veniva così rivitalizzato mentre i popoli stessi venivano sottoposti ad una rieducazione destinata a snaturalizzare l’individuo e a renderlo incapace di funzionare come unità responsabile del corpo politico”[31].

Dopo la Seconda Guerra mondiale si ha l’affermazione definitiva, anche dal punto di vista della sua definizione costituzionale, dello Stato democratico-sociale. La Costituzione italiana è esemplare, al riguardo, già nel suo incipit: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Non si tratta di una semplice petizione di principio voluta dai deputati socialcomunisti e socialcristiani, che alle elezioni per l’Assemblea costituente avevano avuto congiuntamente il 75% dei seggi. Non si tratta, neppure, di una sorta di risarcimento politico e morale, a posteriori, per la classe operaia che in Italia, durante il Fascismo, aveva subito forme di repressione più forte e che, durante la Resistenza, era stata più presente ed attiva nella lotta partigiana, bensì della sanzione solenne, che costituisce anche una necessaria presa d’atto, del punto di arrivo di un lungo percorso evolutivo della economia, della società e delle istituzioni. Fondamento della cittadinanza non è più l’essere proprietari o istruiti, ma l’essere lavoratori, perché è il lavoro che, oltre a produrre la ricchezza materiale del paese, attiva i processi socializzazione e di coscientizzazione degli uomini e delle donne in una prospettiva di crescita civile che non è più monogenere. I diritti non possono che essere di queste tre tipologie, tra loro strettamente connesse: diritti civili, diritti politici e diritti sociali.

Ha scritto con esemplare chiarezza e capacità di sintesi, in una prospettiva universale, il sociologo inglese T.H. Marshall, in un libro giustamente famoso, Cittadinanza e classe sociale: “ diritti civili sono venuti prima (…). Poi sono venuti i diritti politici (…). I diritti sociali arretrarono fino a scomparire nel secolo diciottesimo e all’inizio del diciannovesimo. La loro rinascita iniziò con lo sviluppo dell’istruzione elementare pubblica, ma prima del secolo ventesimo non acquistarono una dignità pari a quella degli altri due elementi della cittadinanza”[32].

Lo Stato sociale, ossia il superamento della estraneità e dell’indifferenza delle istituzioni nei confronti dei processi economici e delle connesse dinamiche sociali, nel Novecento, ha avuto, nel suo finale e generalizzato affermarsi,  una forte e strutturale spinta con il compimento della Grande trasformazione. Di quel vasto e intrecciato complesso di profondi, sia pur vischiosi mutamenti economici, sociali, istituzionali, ma anche culturali e emozionali, magistralmente ricostruiti e decodificati da Karl Polanyi.[33] La sconvolgente Grande crisi del 1929, a partire dal crollo di Wall Street, investe l’intero pianeta e, in particolare, i punti alti del capitalismo, portando quasi all’arresto della produzione e alla disoccupazione di massa. La teoria del mercato autoregolato, che al proprio interno trova le regole di funzionamento, di sviluppo e di aggiustamento, si rivela un’illusione. Viene, perciò, messa in discussione, a livello di teoria, con l’elaborazione di John Maynard Keynes che trovò una ormai classica sistemazione nel libro The general Theory of the Employement, Interest and Money, pubblicato nel 1935. Crisi assurda e paradossale, perché di abbondanza, non di penuria, come sempre era avvenuto nella millenaria storia dell’umanità: la domanda ancora asfittica non è in grado di assorbire l’offerta, ormai tendenzialmente quasi illimitata.

Di qui la necessità impellente di un forte stabile sostegno della domanda da parte delle istituzioni pubbliche, con l’adozione di innovative politiche economiche e finanziarie. Ne conseguono variegati esperimenti di economia orientata, per usare l’espressione coniata dal presidente americano Franklin Delano Roosevelt nel lanciare il New Deal, elaborato nel 1932 da un poderoso Brains Trust di collaboratori e consiglieri. Il programma di Roosevelt prevede: un rigido controllo sul sistema bancario e sul mercato borsistico; un sostegno finanziario, attraverso il nuovo strumento della National Recovery Administration, alle industrie in crisi che si impegnassero, in dialogo con i sindacati, a garantire i livelli salariali, assumere personale aggiuntivo e diminuire l’orario di lavoro; un piano di grandi lavori pubblici, come il risanamento idrico e ambientale di un’intera regione realizzato dalla Tennesse Valley Authority; un esteso sistema previdenziale per disoccupati, inabili al lavoro e anziani. Una sorta di modello fordista dello Stato sociale che coniuga sviluppo e inclusione, efficienza economica e equità sociale.[34]

Un originale e creativo nuovo corso, che suscita non poche diffidenze e ostilità, ma che si rivela ben più efficace delle tradizionali politiche deflative e protezionistiche adottate in Inghilterra e in Francia, prima della vittoria del Fonte popolare, nella primavera del 1936, che ha come programma di governo la settimana di 40 ore, le ferie retribuite e la nazionalizzazione delle industrie connesse con la difesa nazionale.

La creazione nell’Italia fascista di un’economia mista, di cui sono espressione l’Istituto mobiliare italiano (IMI) e l’Istituto per la ricostruzione industriale (IRI), non è finalizzato solo a rispondere alla crisi del 1929, ma anche a sperimentare una sorta di terza via, tra capitalismo e socialismo, il corporativismo, che avrebbe dovuto riordinare l’economia, assicurare l’autarchia e superare il conflitto sociale, nel nome del comune interesse nazionale.

In Germania, nel turbolento dopoguerra, Walter Rathenau, industriale e ministro della ricostruzione, prima di essere assassinato, nel 1922, da estremisti di destra, aveva sostenuto la necessità di un’economia nuova, di un capitalismo in cui il profitto fosse subordinato agli interessi collettivi.  Nei successivi anni Trenta, con la vittoria del Nazismo, specie quando, nel 1936, Hermann Göring assume la direzione dell’economia tedesca, l’intervento dello Stato diventa massiccio, soprattutto nel campo dei lavori pubblici e degli armamenti. L’ideologia del Nazionalsocialismo e della Volksgemeischhaft, razzista e antisemita, si diffonde anche all’interno dei ceti popolari anche perché Hitler può esibire successi evidenti nel campo della lotta all’inflazione, dell’occupazione, della ripresa dei consumi, dell’erogazione di articolati servizi sociali. Essi, però, sono sottoposti a un rigido controllo e inquadramento quasi militare[35].

In Unione Sovietica, dove Stalin, dopo avere vinto il confronto con i suoi concorrenti-avversari, nell’ordine, Bucharin, Trockij, Zinoviev e Kamenev, ha in mano tutte le leve del potere, il Socialismo in solo paese è costruito, dopo l’esperienza della NEP,  con i grandi piani quinquennali, elaborati e imposti dall’alto, al fine di raggiungere una rapida industrializzazione e una forzata collettivizzazione delle campagne, senza nessun margine residuo per l’economia di mercato[36]. L’economia pianificata di questo peculiare Stato sociale, in cui il Socialismo si è fatto Stato e il Partito comunista gestisce in forma esclusiva e dittatoriale il potere, in nome e per conto dei lavoratori, riuscì ad avere un indubbio fascino nel mondo operaio e, anche, intellettuale, dell’Occidente, perché sembrò costituire una risposta efficace non solo alla Grande depressione del 1929, ma anche al previsto-sognato-propagandato Crollo del capitalismo[37]. Se, pur in assenza delle libertà individuali  e in presenza di perdurante, diffusa dura repressione del dissenso, il diritto al lavoro e alla pensione, all’assistenza sanitaria, all’istruzione, è garantito; i consumi, invece, inclusi quelli alimentari, sono compressi e il tenore di vita complessivo quanto mai basso, contribuendo non poco a consolidare una sorta di disincanto rassegnato e impotente, così lontano dagli entusiasmi rivoluzionari del 1917[38].

E’, tuttavia, il notissimo rapporto, Social Insurance and Allied Services, elaborato dall’economista William H. Beveridge, nel dicembre del 1942, per conto del governo inglese, di cui era apprezzato consulente, anche per il suo ruolo di direttore della prestigiosa London School of Economics and Political Science, a costituire la magna carta del odierno Welfare State[39]. Dichiarato obbiettivo finale del Rapporto Beveridge, allo tesso tempo utopista e/o messianico (per la esplicita ispirazione socialista e evangelica), ma anche storicamente e politicamente impellente, per l’esigenza di una generale convinta mobilitazione per abbattere il Nazifascismo e impedirne nel futuro qualsiasi rinascita, è la sconfitta dei “cinque giganti che tengono schiava l’umanità: il bisogno, la malattia, l’ignoranza, la miseria e l’ozio”[40].

Seguono una serie di leggi, l’Education Act (scuola dell’obbligo fino a 15 anni del tutto gratuita e forte sostegno ai giovani capaci, privi di mezzi per completare gli studi superiori), del 1944, e, successivamente, con il nuovo governo laburista di Clement Attlee, il National Insurance Act e il National Assistence Act, che realizzarono a un sistema assicurativo e pensionistico avanzatissimo e a un efficiente servizio sanitario pubblico, il mitico National Health Service. Se si tiene conto della contemporanea nazionalizzazione dei trasporti, di tutte le fonti energetiche e dell’industria siderurgica, nonché dell’esistenza di un vasto patrimonio abitativo pubblico, si comprende come la Gran Bretagna, più che la periferica Scandinavia e la lontana Nuova Zelanda, nel Secondo dopoguerra, sia diventata il punto di riferimento obbligato, quasi un modello insuperabile di Welfare State[41]. Anche se – lo ha notato uno storico inglese, autore della più nota sintesi sulla storia del Novecento, Eric Hobsbawm – in Inghilterra, a differenza di quanto avvenne in altri paesi, come la Francia, l’Italia e la stessa Germania federale, non fece presa l’ideologia e la pratica pianificatrice e programmatrice[42].

La Gran Bretagna è stata anche il paese dove, anticipatamente, con il passaggio dal Welfare dell’austerità posbellica alle sfide della società opulenta, si sono manifestate le derive dello Stato sociale con i suoi costi crescenti, i suoi effetti perversi sui conti pubblici e la conseguente  pressione fiscale. E’ il primo paese in cui, negli anni Ottanta, con i governi della lady di ferro, Margaret Thatcher, si è pensato di ridare efficienza e slancio al sistema produttivo attraverso le privatizzazioni e di uscire dalla crisi fiscale con il ridimensionamento del sistema assistenziale e previdenziale.

Su questo terreno, nell’ultimo decennio del nostro secolo declinante, pur nel nuovo contesto di prevalenti governi di centrosinistra in Europa, la politica avviata da Margaret Thatcher continua ad essere nella sostanza perseguita, sia pure con maggiore circospezione. Per intanto, già nei primi anni Settanta, il sociologo americano O’Connor aveva dimostrato come la crisi fiscale dello Stato, con la conseguente sempre più forte contraddizione tra le esigenze di accumulazione e quelle di legittimazione, è presente in tutti i paesi a capitalismo maturo[43].

Al di là delle storture dello Stato sociale-assistenziale, occorre tenere presente, per comprendere i suoi costi crescenti, che il peculiare sviluppo demografico di questi ultimi decenni, con l’innalzamento della vita media, con la drastica riduzione della natalità, ma anche, in paesi come l’Italia, con la contrazione degli occupati, è cresciuta enormemente la spesa per le pensioni e per l’assistenza sanitaria[44]. E’ maturata, inoltre, la consapevolezza della doverosità e della necessità di nuove solidarietà: quella tra le generazioni di oggi e di domani, nonché quelle, strettamente connesse, tra gli uomini e la natura, tra il Nord e il Sud del mondo.

In quest’ottica lo Stato sociale, che ha rappresentato una delle grandi conquiste di civiltà dell’età contemporanea, va certamente ripensato, ma non per essere smantellato, bensì per essere ulteriormente esteso e rilanciato, con l’intervento generoso e previdente delle istituzioni pubbliche e il creativo self help, mutuo soccorso, anche attraverso la valorizzazione delle potenzialità del terzo settore, dei diretti interessati alla sua conservazione[45].   


[1] Per una visione d’insieme cfr. P. Flora, A. J. Heidenheimer (a cura di ), Lo svilppo del  Welfare State in Europa e in America, Il Mulino, Bologna 1983.

[2] Sulle vicende dello Stato sociale italiano, sulle sue vicende, sulle sue peculiarità e sulla sua diffusa percezione negativa di capitalismo assistenziale, cfr. U. Ascoli (a cura di), Welfare State all’italiana, Laterza, Roma-Bari 1984. 

[3] Cfr. G. A. Ritter, Storia dello Stato sociale, Laterza, Roma-Bari 1991.

[4] Su queste due costituzioni della Europe nouvelle, per usare la definizione del noto costituzionalista Mirkine Gutzevich, e, più in generale sulle revisioni costituzionali del primo dopoguerra, cfr. M. Toscano, Le costituenti europee postbelliche 81918-1931), Sansoni, Firenze 1946.

[5] Cfr. R. Aron, The Imperial Republic: The United Nations and the World, 1945-1973, Prentice-Hall, New York 1974.

[6] F. Girotti, Welfare State. Storia, modelli, critica, Carocci, Roma 1998.

[7] Per un approccio storico, cfr. B. Geremek, La pietà e la forca . Storia della miseria e della carità in Europa,  Laterza, Roma-Bari 1986; per un approccio filosofico, cfr. F. Rodano, Lezioni su servo e signore, Editori Riuniti, Roma 1990.

[8] La categoria di classi laboriose e classi pericolose è stata codificata da L. Chevalier, Classi laboriose e classi pericolose. Parigi nella rivoluzione industriale, Laterza, Roma-Bari 1976.

[9] Cfr. J. Alber, Dalla carità allo Stato sociale, Il Mulino, Bologna 1987.

[10] Non è un caso che di queste anomale istituzioni  totali, si parli a lungo nel volume di M. Foucault, Sorvegliare e punire, Einaudi, Torino 1969.

[11] Cfr. P. Deane, La prima rivoluzione industriale, Il Mulino, Bologna 1971.

[12] Cfr. E. P. Thompson, Rivoluzione industriale e classe operaia in Inghilterra, Il Saggiatore, Milano 1969.

[13] Un quadro d’insieme in S. Eisenstadt, S. Rokkan (a cura di), Building States and Nations, Sage, Beverly Hills 1974.

[14] Sulla vicenda dello Stato moderno, dalla fondazione alla realtà attuale, cfr. G. Poggi, Lo Stato. Natura, sviluppo, prospettive, Il Mulino, Bologna 1992.

[15] L’evoluzione del trinomio liberté-egalité-fraternité, nel contesto dello sviluppo storico del capitalismo, è ricostruita da P. Vilar, Le parole della storia, Editori Riuniti, Roma 1992, pp. 262-305.

[16] Cfr. J. D. Reynaud, I sindacati francesi. Dall’anarcosindacalismo al governo delle sinistre, ed. italiana a cura di C. F. Casula, Edizioni Lavoro, Roma 1982.

[17] Il 1848 è stato presentato come la rivincita della Rivoluzione e come definitiva affermazione della borghesia. Cfr. al riguardo E. J. Hobsbawm, Le rivoluzioni borghesi, Il Saggiatore, Milano 1971. Completamente diversa la tesi, implicita già nel titolo del libro, sostenuta da A. Mayer, Il potere dell’Ancien Régime fino alla Prima guerra mondiale, Laterza, Roma-Bari 1982.

[18] Cfr. M. Agulhon, 1848 ou l’apprentissage de la République (184-1852), Seuil, Parigi 1992.

[19] Per una visione d’insieme, cfr. D. S. Landes, Prometreo liberato. Trasformazioni tecnologiche e sviluppo industriale nell’Europa occidentale dal 1750 ai nostri giorni, Einaudi, Torino 1978.

[20] Cfr. P. Pombeni (a cura di), La trasformazione politica nell’Europa liberale 1870-1890, Il Mulino, Bologna 1986.

[21] Una stimolante sintesi del periodo in M. Beaud, Storia del capitalismo, Edizioni Lavoro, Roma 1984, pp. 119.147.

[22] Cfr. H. U. Wehler, L’impero guglielmino 1871-1918, De Donato, Bari 1981.,

[23] Cfr. E. H. Norman, La nascita del Giappone moderno. Il ruolo dello Stato nella transizione dal feudalesimo al capitalismo, Einaudi, Torino 1967.

[24] Cfr. D. Werth, Storia della Russia, Il Mulino, Bologna 1995.

[25]  Cfr. A. M. Banti, Storia della borghesia italiana. L’età liberale, Donzelli, Roma 1996.

[26] Cfr. S. Pollard, Il sogno di Robert Owen: mito e realtà. Le origini della cooperazione in Gran Bretagna, Bulzoni 1992.

[27] Cfr. Parkin, Disiguaglianza di classe e ordinamento politico, Einaudi, Torino 1976.

[28] W. J. Mommsen, L’età dell’imperialismo, Feltrinelli, Milano 1970.

[29] Per quanto concerne specificamente il caso italiano. Cfr. G. Melis, Storia dell’amministrazione italiana. 1861-1993, Il Mulino, Bologna 1996.

[30] Cfr. A. Acquarone, L’Italia giolittiana, Il Mulino, Bologna 1988. Sul tema specifico, in particolare, G. Melis, Burocrazia e socialismo, Il Mulino, Bologna 1980.

[31] K. Polanyi, La grande trasformazione. Le origini economiche e politiche della nostra epoca, Einaudi, Torino 1974,  p. 297.

[32] T. H. Marshall, Cittadinanza e classe sociale, UTET, Torino 1976, p. 23.

[33] K. Polanyi, La grande trasformazione, cit.

[34]  Il giudizio è di P. Rosanvallon, La crisi dello Stato assistenziale, Marsilio, Venezia 1982..

[35] Cfr. T. W. Mason, La politica sociale del Terzo Reich, De Donato, Bari 1980.

[36] Cfr. A. Natoli, S. Pons, L’età dello stalinismo, Editori Riuniti, Roma 1991.

[37] Un Keynesiano militante, come Federico Caffè, prima della sua misteriosa scomparsa, ha scritto un provocatorio saggio, sostenendo che le posizioni sull’ineluttabilità della  fine del Welfare State, costituivano una sorta di riedizione del crollismo. I saggio è pubblicato in E. Fano, G. Marramao, S. Rodotà (a cura di), Trasformazione e crisi del Welfare State, De Donato, Bari 1983.

[38] Una stimolante riflessione al riguardo, precedente il rivolgimento del 1989, è stata compiuta da Marc Ferro in un succinto saggio, Penser le Communisme, comparso nel volume collettaneo, Penser le XX siecle, a cura di A. Versaille, Editions Complexe, Parigi 1990

[39] Lo ha riconosciuto uno dei più noti studiosi dell’argomento. Cfr. R. M. Tittmus, Saggi sul Welfare State, Edizioni Lavoro, Roma 1986.

[40] Cfr. N. Timmins, The Five Giants, Fontana Press, Londra 1995.

[41] Cfr. H. Heclo, Modern Social Politics in Britain and Sweden, Yale University Press, New Haven 1974.

[42] E. Hobsbawm, Il secolo breve. 1914-1991: l’era dei grandi cataclismi, Rizzoli, Milano 1995.

[43] J. O’Connor, La crisi fiscale dello Stato, Einaudi, Torino 1977.

[44] Cfr. V. Cotesta (a cura di), Il Welfare italiano. Teorie, modelli e pratiche dei sistemi di solidarietà sociale, Donzelli, Roma 1995.

[45] Cfr. G. Esping-Andersen, Risposte alla crisi del Welfare State: ridurre o trasformare le politiche sociali, Angeli, Milano 1986.

ULTIMISSIME LAVORO – FISCALE03/10/2014

GIURISPRUDENZA

COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE

SENTENZA

COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE BOLOGNA – Sentenza 04 giugno 2014, n. 870FISCALE

Tributi – IRAP – Deducibilità ai fini delle imposte sui redditi – Mutamento del quadro normativo di riferimento – Irrilevanza – Efficacia retroattiva – Non sussiste in quanto riferibile solo alle modalità di presentazione delle istanze di rimborso – Rimborso delle quote dell’IRES pagate nel triennio 2003-2005 – Non compete

CORTE DI CASSAZIONE

SENTENZA

CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 01 ottobre 2014, n. 40526LAVORO, FISCALE

Omesso versamento delle ritenute ai dipendenti – Reato – Certificazione rilasciata ai sostituti di imposta – Prova

CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 01 ottobre 2014, n. 40558FISCALE

Tributi – Reati fiscali – Omessa dichiarazione – Sequestro preventivo – Indizi di evasione fiscale – Indagato – Sussiste

CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 02 ottobre 2014, n. 20826LAVORO

Lavoro autonomo – Licenziamento – Mobilità – Contratto di collaborazione coordinata e continuativa – Diritto all’indennità

CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 02 ottobre 2014, n. 20839LAVORO, FISCALE

Incarico professionale – Limiti al divieto del patto di quota lite – Soluzioni giuridiche e/o amministrative – Compenso

CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 02 ottobre 2014, n. 40795FISCALE

Tributi – IVA – Omesso versamento – Reati fiscali – Dolo generico – Immobili ipotecati – Irrilevanza

CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 02 ottobre 2014, n. 41055FISCALE

Fallimento ed altre procedure concorsuali – Bancarotta fraudolenta impropria – Reati fiscali – Evasione IVA – Frode carosello – Fatture soggettivamente false – Recupero credito IVA indebitamente rimborsato

TRIBUNALE

SENTENZA

TRIBUNALE DI VARESE – Sentenza 26 agosto 2014, n. 909FISCALE

Società di persone – Costituzione in epoca anteriore alla riforma di cui decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 6 – Statuto – Modifica – Quorum – Articolo 2500-ter c.c. – Irretroattività

LEGISLAZIONE

DECRETO MINISTERIALE

MINISTERO LAVORO – Decreto ministeriale 08 agosto 2014, n. 1709LAVORO

“Bonus occupazione” del “Programma Operativo nazionale per l’attuazione della iniziativa Europea per l’Occupazione dei Giovani”

MINISTERO SVILUPPO ECONOMICO – Decreto ministeriale 07 agosto 2014LAVORO, FISCALE

Attuazione dell’articolo 4, commi da 2 a 10 e 14, del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, relativo all’istituzione di un credito d’imposta per le imprese sottoscrittrici di accordi di programma nei Siti inquinati di interesse nazionale

PRASSI

AGENZIA DELLE ENTRATE

RISOLUZIONE

AGENZIA DELLE ENTRATE – Risoluzione 02 ottobre 2014, n. 85/ELAVORO, FISCALE

Soppressione del codice tributo “6831” – Credito d’imposta di cui alla legge regionale n. 5/2009 della Regione Autonoma della Sardegna

INPS

CIRCOLARE

INPS – Circolare 02 ottobre 2014, n. 117LAVORO

Convenzione fra l’INPS e la Federazione del Commercio, Turismo, Servizi, Artigianato, Agricoltura, Terziario, Piccole e Medie Imprese (FEDIMPRESE) per la riscossione dei contributi sindacali sulle prestazioni pensionistiche ai sensi della legge 11 agosto 1972, n. 485. Istruzioni operative e contabili. Variazioni al piano dei conti.

MESSAGGIO

INPS – Messaggio 02 ottobre 2014, n. 7415LAVORO

Prestiti contro cessione del quinto dello stipendio e della pensione.

PRINCIPI IN MATERIA TRIBUTARIA

NORMA DI COMPORTAMENTO 01 ottobre 2014, n. 191FISCALE

Trattamento ai fini fiscali del contratto “rent to buy” di immobili

ULTIMISSIME EDILIZIA – COOPERATIVE03/10/2014

GIURISPRUDENZA

CORTE DI CASSAZIONE

SENTENZA

CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 01 ottobre 2014, n. 40526COOPERATIVE, EDILIZIA

Omesso versamento delle ritenute ai dipendenti – Reato – Certificazione rilasciata ai sostituti di imposta – Prova

CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 02 ottobre 2014, n. 20826COOPERATIVE, EDILIZIA

Lavoro autonomo – Licenziamento – Mobilità – Contratto di collaborazione coordinata e continuativa – Diritto all’indennità

LEGISLAZIONE

DECRETO MINISTERIALE

MINISTERO LAVORO – Decreto ministeriale 08 agosto 2014, n. 1709COOPERATIVE, EDILIZIA

“Bonus occupazione” del “Programma Operativo nazionale per l’attuazione della iniziativa Europea per l’Occupazione dei Giovani”

PRASSI

AGENZIA DELLE ENTRATE

RISOLUZIONE

AGENZIA DELLE ENTRATE – Risoluzione 02 ottobre 2014, n. 85/ECOOPERATIVE, EDILIZIA

Soppressione del codice tributo “6831” – Credito d’imposta di cui alla legge regionale n. 5/2009 della Regione Autonoma della Sardegna

INPS

Estinti i contenziosi con l’Inps ante 2011

A distanza di oltre tre anni dal provvedimento normativo che l’ha previsto, l’Inps chiuderà i contenziosi pendenti in primo grado alla data del 31 dicembre 2010 e di valore non superiore a 500 euro.

Il decreto legge n. 98/11, al fine di ridurre il contenzioso in atto, aveva stabilito che sarebbero stati estinti di diritto, con riconoscimento della pretesa economica a favore del ricorrente (quindi a carico dell’Inps), i processi in materia previdenziale pendenti nel primo grado di giudizio al 31 dicembre 2010, per i quali a tale data non era intervenuta senza e il cui valore complessivo non fosse superiore a 550 euro.

Con il messaggio 7383/14 l’Inps, prendendo atto della decisione ha dato indicazione alle sue strutture di eseguire tempestivamente i decreti di estinzione emessi dai giudici di primo grado. Erano oltre 160.000 le liti pendenti a fine 2010 oggetto del decreto 98/11, di cui quasi 130mila riguardavano la retribuzione agricola effettiva e 14mila la disoccupazione agricola.

da Sole24Ore

Cassazione

Cassazione – Chi diventa cocopro perde indennità di mobilità

Chi ottiene un contratto di collaborazione coordinata e continuativa, oggi cocopro, deve rinunciare all’indennità di mobilità, dal momento che risulta cessato lo stato di bisogno connesso alla disoccupazione involontaria. Lo ha stabilito la sentenza di Cassazione n. 20826/2014.

Niente da fare per l ricorso del precario: deve infatti osservarsi che la norma contenuta nel % comma dell’art. 7 della L. 223/91 persegue la finalità di indirizzare e incentivare il disoccupato in mobilità verso attività autonome, in modo da ridurre la pressione sul mercato del lavoro subordinato: l’indennità di mobilità, insomma, assume la funzione di un contributo finanziario destinato a sopperire alle spese iniziali di un’attività che il lavoratore in mobilità svolgerà in proprio perdendo l sua connotazione di tipica prestazione di sicurezza sociale. Il carattere speciale della norma non consente di farne applicazione al di fuori dei casi in essa previsti né consente di trarne l’affermazione di un principio generale di compatibilità della percezione dell’indennità con lo svolgimento di lavoro autonomo.

da Cassazione.net

Garanzia giovani

Garanzia giovani: parte il “bonus” occupazionale

Al via il ”bonus occupazionale”. Il ministero del Lavoro, infatti, ha pubblicato ieri sul proprio sito istituzionale e sul sito di Garanzia Giovani il Decreto Direttoriale dell’8 agosto che regola l”intervento ”bonus occupazionale” in attuazione dell’iniziativa Occupazione Giovani di competenza del ministero. Tramite questa misura, volta a favorire le assunzioni a tempo indeterminato e a tempo determinato, si legge nella nota, verrà erogato un incentivo economico ai datori di lavoro privati che assumono giovani tra i 16 ed i 29 anni di età non occupati né inseriti in un percorso di studio o formazione registrati al programma Garanzia Giovani. L’importo complessivo messo a disposizione ammonta a 188.755.343,66 euro.

L’incentivo, che sarà fruibile mediante conguaglio con i contributi previdenziali mensilmente dovuti, spetta per le assunzioni effettuate da oggi. L’Inps, d’intesa con il ministero del lavoro, è in procinto di emanare una apposita Circolare per fornire le indicazioni operative per i datori di lavoro interessati, mettendo contestualmente a disposizione la procedura telematica per la fruizione dell’incentivo.

03/10/2014 08.24

Rassegna stampa sarda del 03/10/2014

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