Archivi giornalieri: 27 luglio 2014

dall’Osservatore Romano

Non solo terra dei fuochi

 · A colloquio col vescovo D’Alise che accoglie il Pontefice in visita a Caserta ·

26 luglio 2014

  

Una città e una diocesi che hanno voglia di risvegliarsi, di trovare nuovo coraggio per affrontare le difficili sfide che le attendono. A cominciare dalla disoccupazione, dalla crisi economica, dalla malavita organizzata. Perché Caserta non sia più identificata soltanto come la “terra dei fuochi”. Alla vigilia dell’arrivo di Francesco nella città campana il vescovo Giovanni D’Alise, in questa intervista al nostro giornale, parla delle speranze e delle attese della comunità che si prepara ad accogliere il vescovo di Roma.

Quale Chiesa troverà a Caserta al suo arrivo Papa Francesco?

La Chiesa in Caserta è pronta per ascoltare la parola del Papa: una parola forte e soprattutto di incoraggiamento per la nostra situazione. Credo che Caserta abbia bisogno di questa parola per un risveglio a livello ecclesiale e civile. Anche perché, quando si parla di vivibilità, la città è sempre annoverata tra le provincie italiane in fondo alle classifiche.

La visita sarà breve. Ci sarà spazio per l’incontro con tutte le componenti della diocesi?

La nostra priorità è l’accoglienza verso tutti. Abbiamo fatto in modo di poter accogliere chiunque venga in diocesi, anche quelli più lontani. In particolare, abbiamo riservato posti speciali per malati e anziani e fatto sì che l’incontro sia aperto a tutti anche a quelli che vengono da fuori diocesi. Credo che questa visita, benché breve, sarà intensa e lascerà un’impressione molto forte in noi.

In che modo questa visita orienterà il futuro della comunità diocesana?

Noi abbiamo letto l’incontro con il Papa in una duplice ottica. Anzitutto come un dono gratuito, improvviso e inatteso — e di questo ringraziamo il Signore — ma anche come un momento di sprone per tutti noi, perché avvertiamo fortemente che non ci può essere la novità di una vita quotidiana rispondente agli insegnamenti del Vangelo se non c’è un risveglio a tutti i livelli. E intendo sia il risveglio della Chiesa, sia della società civile.

di Nicola Gori

 

Sardegna: l’Isola dalle vene d’argento

Una bella recensione della mia “Letteratura e civiltà della Sardegna” (2 volumi, Edizioni Grafica del Parteolla) da parte di

Alessandra Mulas, giornalista freelance a Roma,

sull’Agenzia agccomunication.eu

 

ITALIA – Roma 25/07/2014.

Letteratura e civiltà della Sardegna, Edizioni Grafica del Parteolla, è un’opera di Francesco Casula intellettuale e studioso di storia, lingua e cultura sarda già autore di numerosi volumi riguardanti queste tematiche.

Si tratta di un’opera in due volumi, presentata anche nella sala Protomoteca del Campidoglio, in cui l’autore propone un viaggio storico-letterario partendo dalla nascita della lingua sarda e dai primi documenti in volgare sardo per giungere fino ai nostri giorni. Siamo in presenza di una cultura letteraria autonoma, con caratteri e segni peculiari che non possono essere inseriti in un contesto dialettale, all’interno di un percorso di letteratura nazionale sarda. Dalle parole dell’autore si comprende che si parla di un popolo che viaggia sempre con indosso le proprie radici ovunque vada «Una Letteratura sarda esiste se, come ogni letteratura, ha i tratti universali della qualità estetica, e se in più è specifica, non tanto per questioni grammaticali e sintattiche, quanto per una questione di Identità» e dunque «che gli autori sappiano andare per il mondo con pistoccu in bertula, perché proprio in questo andare per il mondo, mostrano le stimmate dei sardi e, quale che sia lo scenario delle loro opere, vedono la vita alla sarda». Tanti gli autori presi in esame da romanzieri come Grazia Deledda, Salvatore Satta e Giuseppe Dessi; ma anche di Sigismondo Arquer, Peppino Mereu, Antonio Gramsci, Emilio Lussu, Nereide Rudas, Salvatore Niffoi e di tanti altri nomi meno noti ma la cui produzione è di grande importanza per inoltrarsi in una terra antica che si inserisce in un panorama geopolitico importantissimo per la sua posizione strategica, al centro del Mediterraneo. I volumi si presentano in forma didattica rivolta a studenti docenti e appassionati in cui è dato al lettore di inoltrarsi all’interno di una cultura identitaria fortissima che traspare in tutta l’opera perché nella «complessa e difficile tematica dell’autoconsapevolezza e dell’individuazione personale e collettiva l’Identità è andata assumendo grande rilievo …». Un’identità che pone degli interrogativi alla psichiatra, intellettuale e studiosa Nereide Rudas sui vari significati che questo termine e modello di rappresentazione sociale voglia esprimere. Argomento che ritroviamo in alcuni autori citati prima i quali sottolineano che la Sardegna non è solo «uno scenario, uno sfondo, ma la vera protagonista, non un luogo ma il luogo, non l’oggetto ma il soggetto». La storia dei Sardi, come nel passato, continua infatti ad essere caratterizzata da quella che il già citato Giovanni Lilliu chiama la costante resistenziale che ha loro permesso di conservare il senso d’appartenenza ovvero «quell’umore esistenziale del proprio essere sardo […] costantemente resistenti, antagonisti e ribelli, non nel senso di voler fermare, con l’attaccamento spasmodico alla tradizione, il movimento della vita e della loro storia, ma di sprigionarlo il movimento, attivandolo dinamicamente dalle catene imposte dal dominio esterno». I Sardi infatti, nonostante le tormentate vicende storiche costellate di invasioni, dominazioni e spoliazioni, hanno avuto la capacità di metabolizzare gli influssi esterni producendo una cultura viva e articolata che ha poche similitudini nel resto del Mediterraneo. Presi dalla foga euro-centrica molti studiosi hanno volutamente dimenticato che la civiltà nuragica è stata la più grande della storia di tutto il Mediterraneo centro-occidentale del secondo millennio avanti Cristo. Terra aperta al mondo, che combatte, alleata con i Popoli del mare contro i potenti eserciti dei Faraoni e dei re di Atti che tiranneggiano e opprimono i popoli. La Sardegna, l’Isola sacra in fondo al mare di Esiodo, l’Isola dalle vene d’argento di Platone poi Ichnusa Sandalia ecc. oltre che Isola felice è infatti Isola libera, indipendente e senza stato, organizzata in una confederazione di comunità nuragiche mentre altrove dominano monarchi e faraoni, tiranni e oligarchi. Non a caso le comunità nuragiche costruiscono nuraghi, monumenti alla libertà, all’egualitarismo e all’autonomia. Finché i Cartaginesi non invasero la Sardegna, per depredare e dominare l’Isola. Con il dominio romano fu ancora peggio, un etnocidio spaventoso. La comunità etnica fu inghiottita dal baratro, almeno metà della popolazione fu annientata, ammazzata e ridotta in schiavitù. Chi scampò al massacro fuggì e si rinchiuse nelle montagne, diventando dunque “barbara” e barbaricina, perché rifiutava la civiltà romana: ovvero arrendersi e sottomettersi. La lingua nuragica, la primigenia lingua sarda del ceppo basco-caucasico, fu sostanzialmente cancellata: di essa a noi oggi sono pervenuti qualche migliaio di toponimi: nomi di fiumi e di monti, di paesi, di animali e di piante. Le esuberanti creatività e ingegnosità popolari furono represse, la gestione comunitaria delle risorse, terre foreste e acque, fu disfatta e sostituita dal latifondo, dalle piantagioni di grano lavorate da schiere di schiavi incatenati, dalle acque privatizzate, dai boschi inceneriti. La Sardegna fu reclusa entro la cinta confinaria dell’impero romano e isolata dal mondo. È da qui che nascono l’isolamento e la divisione dei sardi, non dall’insularità o da una presunta asocialità. A questo flagello i Sardi opposero seicento anni di guerriglie e insurrezioni, rivolte e bardane. Un’altra spaventosa ondata di “malasorte” si abbatté sull’Isola, soprattutto nell’800 ma anche nel ’900, e si snoderà attraverso una serie di eventi devastanti: socio-culturali prima ancora che politico-economici. Fino ad arrivare ai nostri giorni: allo stato centralizzato.

San Pantaleone

San Pantaleone


San Pantaleone

Nome: San Pantaleone
Titolo: Medico e martire
Ricorrenza: 27 luglio

Pantaleone Martire, santo (sec. IV). Uno di quei santi la cui popolarità fu tanto grande in Occidente quanto in Oriente. La sua Passione greca — che non ha purtroppo nessun valore storico — ebbe numerose versioni latine, oltre a traduzioni nelle diverse lingue orientali. Il racconto ci riferisce che P. era nato da madre cristiana, ma non era stato battezzato; aveva iniziato una brillante carriera medica quando un prete gli rivelò la potenza di Cristo, medico dell’anima e del corpo. Convertitosi alla fede cristiana e fiducioso da allora nell’efficacia della preghiera, compì parecchi miracoli, guarendo in particolare un giovane morso da un serpente e ridando la vista a un cieco. Denunciato probabilmente da alcuni colleghi invidiosi dei suoi successi, comparve dinanzi all’imperatore (Galerio), che lo sottopose a un’ordalia per verificare i suoi doni di taumaturgo; poco convinto, a quanto pare, dal buon esito della prova, l’imperatore consegnò il santo ai carnefici. Dopo torture tanto numerose quanto raffinate, Pantaleone fu infine decapitato un 27 luglio (forse del 305). Quando il martire ebbe terminato la sua ultima preghiera, i testimoni dell’esecuzione udirono venire dal cielo una voce che diceva: «Di suo nome non sarà più Pantaleone, ma Pantaleemone (dal greco Pantaleémon, cioè ‘colui che è misericordioso verso tutti’)”. Il culto di P. è molto antico; il santo compare sia nel gruppo greco dei medici «anargiri” sia nel gruppo occidentale dei Quattordici Intercessori (o Quattordici Ausiliatori). A Costantinopoli, gli fu dedicata una chiesa da Giustiniano nel VI secolo; nella medesima epoca gli furono intitolati un monastero di Gerusalemme e un altro nel deserto del Giordano. Dall’Oriente il culto passò in Italia; a Roma, P. era il patrono di tre chiese. È inoltre patrono della diocesi di Crema. Venezia si mostrò ancora più ospitale verso il martire di Nicomedia; sulla laguna, P era così popolare e il suo nome così diffuso che fini con E designare il veneziano tipo nella commedia italiana.