Archivi giornalieri: 8 febbraio 2012

Cresce il welfare, cresce l’Italia

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Proposte per il welfare del XXI secolo

Il welfare – quello straordinario complesso di aiuto e promozione offerto ai cittadini dalla sanità, dall’istruzione, dalla previdenza e dall’assistenza pubbliche – è il risultato più alto realizzato dalle democrazie europee.

Democrazia, infatti, significa anche poter costruire autonomamente un proprio progetto di vita. Il sistema di protezione sociale sostiene i cittadini nella realizzazione del loro progetto lavorativo ed esistenziale, consentendo di affrontare le difficoltà individuali (malattie, infortuni…), ma anche gli effetti dei cambiamenti sociali ed economici che incidono pesantemente sulla vita delle persone.

Il modello sociale europeo è nato proprio dal riconoscimento che, abbandonando gli individui a se stessi, perderemmo o non valorizzeremmo energie, creatività, aspirazioni: creare le condizioni per sviluppare queste risorse è diventato il compito di una responsabilità pubblica, collettiva, ancorata alla tutela dei diritti di cittadinanza.

Inoltre, questo modello – grazie alla certezza di un sistema di aiuto offerto a tutti i cittadini – ha permesso di sviluppare senso di appartenenza alla collettività, che difficilmente può nascere dove non c’è reciprocità e disponibilità a sostenersi vicendevolmente. Più è forte il welfare, più è forte la cittadinanza.

Infine, il welfare è stato una condizione per lo sviluppo economico e sociale che l’Europa, esempio unico nel mondo, ha conosciuto dal dopoguerra a oggi. La coesione sociale, la fiducia, la solidarietà, la redistribuzione delle risorse aiutano l’economia.

Alla luce di queste convinzioni, i soggetti che promuovono l’iniziativa “Cresce il welfare, cresce l’Italia” propongono a tutti i cittadini responsabili del proprio e altrui futuro, agli addetti ai lavori e ai decisori politici un’importante occasione di confronto e di riflessione sullo stato del welfare italiano, sulle sue criticità, nonché sulle proposte concrete e attuabili per renderlo più adeguato agli standard europei e a bisogni sociali sempre più acuti, e dunque più equo e più efficiente.

Non v’è dubbio che il sistema italiano di protezione sociale soffra di numerosi e rilevanti problemi: i tagli indiscriminati realizzati negli ultimi anni, oltre a ridurre diritti e tutele, rendono ancora più grave la mancata copertura dinanzi a fenomeni sociali nuovi e rilevanti (come la povertà e l’esclusione sociale crescenti, l’impoverimento del ceto medio, la non autosufficienza, la conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro), la profonda differenziazione territoriale – effetto anche dell’assenza di un disegno organico sulle politiche sociali –, l’insufficienza delle risorse economiche disponibili, l’incidenza di clientele e interessi particolari, la grave carenza di servizi e interventi promozionali.

Questi limiti e storture, tuttavia, non inficiano il valore e il significato di un sistema di protezione sociale a responsabilità pubblica, nel senso che a questo termine viene dato dall’articolo 118 della Costituzione.

I promotori dell’iniziativa considerano non più sostenibile – come ha evidenziato con chiarezza la crisi economica e finanziaria che stiamo attraversando – una prospettiva che veda nel welfare un mero costo, un freno alla crescita economica. Piuttosto, invitano gli attori politici, economici e sociali a ragionare insieme su un nuovo patto per il sociale, una nuova idea di responsabilità collettiva, che tenga insieme libertà e uguaglianza; sviluppo economico, sviluppo sociale, giustizia redistributiva.

Se da un lato vanno contrastati sprechi e iniquità, dall’altro bisogna aver chiaro che l’austerità e i “sacrifici” non ci permetteranno di rilanciare l’economia e si abbatteranno, ancora una volta, sui più deboli e sul ceto medio. È invece il momento di investire nel welfare, parte rilevante di quei beni comuni che possono essere – con la green economy – il motore di un nuovo modello di sviluppo. In questo modo contribuiremmo a rilanciare la domanda e a innovare istituzioni, reti, organizzazioni, imprese e competenze che producono benessere non solo sociale, ma anche economico.

A Roma, il 1 e il 2 marzo vogliamo parlare di tutto questo, con chiunque vorrà confrontarsi, perché siamo convinti non sia più rinviabile una discussione pubblica – tra opinioni differenti – sul futuro del nostro sistema di protezione sociale e, dunque, della nostra democrazia.

Organizzazioni promotrici (al 1 febbraio 2012)

Agricoltura Capodarco, Aiab, Alpa, Alternative europee, Altramente, Antigone, Anpas, Arci, Arciragazzi, Associazione Nuovo Welfare, Associazione Servizi Nuovi, Assifero, Auser, Campagna Batti il cinque, Campagna I diritti alzano la voce, Campagna Sbilanciamoci!, Cgil, Cilap-Eapn Italia, Cnca, Conferenza nazionale volontariato giustizia, Convol, Federconsumatori, Fish, Forum nazionale dell’agricoltura sociale, Forum nazionale salute mentale, Gruppo Abele, Gruppo solidarietà, Inca, Ires, Legacoopsociali, Libera, Movi, Movimento federalista europeo, Osservatorio Europa, Psichiatria democratica, Rete fattorie sociali, la Rivista delle politiche sociali, Sos Sanità, Spi Cgil, Uisp, Unasam ….

Lettera aperta delle lavoratrici Fiat al ministro Fornero

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Le lavoratrici del gruppo Fiat e Fiat industrial hanno inviato una lettera alla ministra Elsa Fornero, con la quale tentano di spiegare tutti i motivi per cui “il cosiddetto contratto collettivo specifico di lavoro di primo livello del 29 dicembre 2010” – applicato dal gennaio 2012 e che “pretende di sostituire ogni precedente accordo e contratto previgente nelle aziende del gruppo” – è particolarmente discriminatorio per le donne.

“Il contratto – si legge nella lettera – è stato stipulato con associazioni sindacali rappresentative di una minoranza di addetti del gruppo e contro il parere della Fiom, associazione sindacale di maggioranza in Fiat e a cui molte di noi aderiscono e nelle cui posizioni tutte ci riconosciamo. Ci teniamo a farle presente che ad oggi nessun sindacalista delle associazioni firmatarie ha mai chiesto il nostro parere sulle materie che andava a sottoscrivere e che nessuno ha inteso sottoporre al voto di lavoratrici e lavoratori le intese realizzate”. Per questo le lavoratrici firmatarie della missiva hanno condiviso la scelta di promuovere il referendum abrogativo del contratto in questione, “perché ci toglie diritti e libertà fondamentali in un paese democratico e peggiora drammaticamente le condizioni di lavoro e di fatica per ciascuna di noi”.

Ma c’è una ragione in più, sostengono le lavoratrici, per voler cancellare quell’accordo: in esso sono contenute norme gravemente discriminatorie nei confronti di madri e padri, lesive della legislazione vigente e dei principi di parità sanciti dalla Costituzione italiana e riaffermati dalle normative europee: “Nel testo dell’accordo è chiaro che è esclusa dal computo delle ore di effettiva prestazione lavorativa ogni assenza-mancata prestazione lavorativa retribuita e non retribuita a qualsiasi titolo, ivi comprese le assenze la cui copertura è per legge e/o contratto parificata alla prestazione lavorativa”.

Detto in altri termini, ciò vuol dire che in Fiat qualsiasi assenza dovuta a maternità, le due ore di riposo per allattamento, congedi parentali, assenze per malattia figlio, permessi per legge 104, faranno perdere il diritto a percepire il premio 2012.

“Sul codice delle pari opportunità tra uomo e donna – proseguono le lavoratrici – è scritto che in Italia è considerato discriminatorio ogni trattamento meno favorevole in ragione dello stato di gravidanza, nonché di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità e dell’esercizio dei relativi diritti; riteniamo quindi palesemente discriminatorio un accordo che nega l’erogazione del premio in ragione dell’esercizio da parte di lavoratrici e lavoratori dei diritti a tutela della maternità e a favore della conciliazione”.

Vittime sangue infetto: nulla di fatto ….

 

A oltre 4 anni dalla legge che prevede il risarcimento delle persone contagiate da trasfusioni ed emoderivati infetti, “la maggior parte delle vittime non avrà giustizia. Il decreto firmato dal ministro della Salute, e a breve dal ministro dell’Economia, prevede una prescrizione quinquennale che esclude la maggior parte dei 7 mila contagiati da sangue ed emoderivati infetti”. Lo ha sottolineato in un comunicato  il Comitato vittime sangue infetto.

Con il decreto amministrativo si legge “riuscirà a essere ammesso a questa transazione solo il 15-20%, in totale contraddizione con la ‘ratio’ della legge che prevedeva il pagamento del maggior numero di persone possibile, anche per chiudere il maggior numero di contenziosi possibile”. Non solo.

A “indignare” le associazioni è anche il fatto che “il decreto prevede la riduzione delle cifre dei trasfusi occasionali rispetto a quelle comunicate in passato, fino a offrire a un danneggiato da epatite C o Aids 27 mila euro. Eppure – ricordano – per concludere questa vicenda dal 2008 sono stati stanziati 180 milioni di euro l’anno e i fondi ci sono per pagare le persone come è avvenuto con la transazione del 2003, che non prevedeva prescrizione né differenziava le cifre in base alla malattia.

È palese che il progetto finale del ministero sia quello di non transare con nessuno, consapevole che un provvedimento del genere verrà impugnato un secondo dopo la sua emanazione. Non verrebbero utilizzati soldi per pagare i malati e si conterrebbero le spese in un momento così delicato per il nostro paese, ma al contempo il ministero adempirebbe agli obblighi derivanti dalle sentenze del Tar. Nessuno ha pensato a quanto potrebbe incidere sui costi della giustizia un ricorso al Tar di oltre 5.000 persone?”

www.sanitaincifre.it

Lavoro: appello delle donne sulle dimissioni in bianco

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“Subito la legge contro le dimissioni in bianco”. E’ stata questa la richiesta rivolta al ministro del Lavoro e delle pari opportunità, Elsa Fornero, da una delegazione delle donne promotrici dell’appello “188 donne per la legge 188”.
 
“Nell’incontro – si legge nel comunicato – abbiamo ribadito l’urgenza del ripristino di una procedura semplice e priva di costi per impedire che alle persone al momento dell’assunzione venga fatta firmare una lettera di finte dimissioni volontarie da utilizzare quando quelle persone incorrano in un infortunio,un incidente o non siano più gradite oppure quelle donne inizino una gravidanza”. Infatti, osservano le donne, “le dimissioni in bianco sono una pratica medievale, non degna di un paese civile, utilizzata non solo ma anche nei confronti delle giovani madri-native e migranti”.
 
La cancellazione della legge, aggiungono, “fa sì che oggi non ci sia uno strumento di contrasto efficace e preventivo dell’abuso. Anche per questo in questi tre anni e mezzo non abbiamo mai smesso di chiederne il ripristino. L’efficacia della legge, la sua semplicità, il suo valore simbolico ci hanno fatto chiedere alla Ministra di trovare una soluzione in tempi brevi”. Il Ministro del Lavoro e delle pari opportunità nel corso dell’incontro, fanno sapere, “ha espresso la consapevolezza del problema e la volontà di affrontarlo con una soluzione adeguata. A nostro avviso esiste l’urgenza di impedire l’abuso delle dimissioni, per garantire i diritti delle persone e le imprese che rispettano le regole”.

Per sostenere questa urgenza il 23 febbraio ci saranno iniziative in tutta Italia e una Conferenza stampa a Roma.

Ma quale generazione 1.000 euro ….

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L’identikit del precario oggi

Percepisce mediamente 836 euro al mese, solo il 15% ha una laurea, la Pubblica amministrazione è il suo principale datore di lavoro e nella maggioranza dei casi lavora nel Mezzogiorno (35,18% del totale). Secondo un’analisi realizzata dalla CGIA di Mestre  è questo l’identikit del lavoratore precario italiano.
 
In termini assoluti l’esercito dei precari è pari a 3.315.580 unità e la retribuzione netta mensile media tra i giovani con meno di 34 anni è di 836 euro. Come al solito emerge la differenza di genere con una retribuzione che sale a 927 euro mensili per gli uomini e scende a 759 euro per le donne. Sono esclusi da questi importi la tredicesima, quattordicesima e le voci accessorie come ad esempio i premi di produttività, le indennità per missioni, etc.
 
Per quanto riguarda il titolo di studio, quasi uno su due ha un diploma di scuola media superiore, il 39% circa ha concluso il percorso scolastico con il conseguimento della licenza media e solo il 15,1% è in possesso di una laurea.
 
Il 38,9% del totale, non ha proseguito gli studi dopo aver terminato la scuola dell’obbligo e in questa fase di crisi economica sono quelli più a rischio. Nella stragrande maggioranza dei casi svolgono mansioni molto pesanti da un punto di vista fisico e sono occupati soprattutto nel settore alberghiero, in quello della ristorazione e nell’agricoltura.

Nella ricerca si sottolinea che i percorsi formativi  devono essere posti al centro di un seria riflessione  tra i politici e gli addetti ai lavori, affinchè  si individuino delle risposte in grado di avvicinare in maniera più costruttiva l’attività formativa e il mondo delle imprese.